Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1137 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1137 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Pezzano Francesco, nato a Castrovillari il 21/05/1990

avverso la sentenza emessa il 14/05/2012 dal Tribunale di Castrovillari

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Pigro Gaeta, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Francesco Pezzano ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza di condanna emessa nei confronti
dello stesso Pezzano dal Giudice di pace di San Sosti in data 02/03/2011;
l’imputato risulta essere stato condannato alla pena di 250,00 euro di multa per
il delitto di ingiuria, in ipotesi commesso in danno di Gregorio Cortese e Maria

Data Udienza: 05/04/2013

Francesca Pandolfo (con l’ulteriore condanna al risarcimento dei danni subiti da
costoro, costituitisi parti civili).
Il ricorrente deduce inosservanza dell’art. 192 del codice di rito, in quanto il
giudice di appello avrebbe omesso di sottoporre le dichiarazioni dei querelanti al
doveroso vaglio di attendibilità, essendosi limitato a riconoscere apoditticamente
credibilità alle persone offese (mediante il solo richiamo alle considerazioni svolte
dal giudice di prime cure) in virtù della chiarezza, della specificità e della non
contraddittorietà dei loro assunti; sarebbe quindi meritevole di censura

cui l’imputato avrebbe offerto riscontro alle deposizioni dei suddetti querelanti,
per avere confermato che tra gli stessi e suo padre vi erano rapporti molto tesi
(a riguardo, la difesa rappresenta che non si comprende come mai il Pezzano
sarebbe stato credibile limitatamente a quella precisazione, e non laddove aveva
sostenuto di non aver mai avuto rapporti con il Cortese e la Pandolfo, che
giammai aveva inteso offendere).
Il difensore dell’imputato lamenta altresì mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui
viene dato credito alla ricostruzione delle persone offese: costoro avevano infatti
rappresentato che i comportamenti ingiuriosi del Pezzano si sarebbero protratti
dal gennaio al luglio 2008, senza spiegare perché vi sarebbe stata poi una
interruzione, e soltanto a settembre avrebbero deciso di sporgere querela.
Inoltre, i giudici di merito non avrebbero motivato sull’ipotesi concorsuale, visto
che il reato era stato addebitato all’imputato in concorso con Luigi Pezzano, e
sarebbe pertanto rimasto incerto quale contributo causale il ricorrente offrì
all’azione delittuosa, come pure se egli fosse stato consapevole di compiere il
reato medesimo unitamente ad altri.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile.
Entrambi i motivi si palesano infatti del tutto generici e manifestamente
infondati, atteso che:
– l’ammissione da parte dell’imputato circa l’esistenza di rapporti tesi tra la sua
famiglia e le persone offese appare correttamente valutata, ed in nulla scalfita
dalla ritenuta non credibilità del Pezzano nel momento in cui (esercitando il
proprio diritto di difesa) aveva inteso negare di avere arrecato offese verbali a
chicchessia;

2

l’osservazione formulata nella motivazione della sentenza impugnata, secondo

- congrua, ed immune da vizi di contraddittorietà od illogicità, appare la
motivazione del Tribunale, nella parte in cui si segnala che quel clima di tensione
ben può offrire una spiegazione della condotta dell’imputato, piuttosto che porre
in dubbio l’attendibilità dei querelanti, dai quali era peraltro stata prospettata
una narrazione concorde e lineare;
– irrilevante è la presa d’atto che i fatti lamentati vengano indicati come
commessi in una data dimensione cronologica, in assenza di elementi contrari
che dimostrino l’inverosimiglianza di quella collocazione temporale, ed altrettanto

querela non nell’immediatezza ma nel termine di legge;
– è ragionevolmente insostenibile la tesi che, dinanzi alla contestazione di un
reato di ingiuria continuata (commesso pronunciando contumelie e compiendo
gesti offensivi con le mani, peraltro in concorso con un minore), il soggetto
accusato di avere usato quelle frasi e quei gesti possa non avere causato la
lesione dell’altrui reputazione, o non essersi reso conto che qualcuno insieme a
lui stesse facendo le identiche cose.

2. La declaratoria di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., impone la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del
procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla volontà del ricorrente (v.
Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al versamento in favore della Cassa
delle Ammende della somma di C 1.000,00, così equitativamente stabilita.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 05/04/2013.

insignificante è registrare che le persone offese, come loro diritto, proposero

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