Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1134 del 22/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1134 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Marchì Rosario, nato a Catania il 29/07/1978
avverso la sentenza emessa il 09/03/2012 dalla Corte di appello di Catania
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Mario Fraticelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Catena Rita Giovanna Marano, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Rosario Marchì ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza di condanna a mesi 10 di reclusione
– a carico dello stesso imputato, per reati di cui agli artt. 482 cod. pen. e 9 della
legge n. 1423 del 1956 – emessa dal Tribunale di Catania in data 29/09/2009. I

Data Udienza: 22/03/2013

fatti si riferiscono ad attività di controllo nei confronti del Marchì, che

sottoposto a misura di prevenzione – era risultato associarsi ad un pregiudicato,
tale Giuseppe Strano, così violando le prescrizioni impartitegli con la predetta
misura; inoltre, sulla “carta precettiva” inerente l’esecuzione della misura
medesima, egli aveva sostituito il nome di battesimo dello Strano in quello di
Nicola, ottenendo generalità rispondenti a persona incensurata.
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta:
1. inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, atteso che –

per il 09/03/2012 – era stata depositata il 01/03/2012 istanza di rinvio,
con allegata documentazione da cui poteva evincersi che il giorno 9 il
difensore di fiducia dell’imputato era contestualmente impegnato in un
giudizio di legittimità, proprio dinanzi a questa Sezione.

La Corte

territoriale avrebbe del tutto omesso di prendere in esame la richiesta di
differimento;
2. erronea applicazione della legge penale, e manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata, in punto di affermazione della
penale responsabilità dell’imputato per il delitto di falso. Secondo la
difesa, il documento denominato “carta precettiva” non è che un libretto,
custodito dal diretto interessato, in cui annotare le date di presentazione
del sorvegliato speciale all’autorità di p.s.: non si tratterebbe pertanto di
un atto pubblico, né potrebbe considerarsi formato da un pubblico
ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.

Inoltre, dall’istruttoria

dibattimentale era emerso che la falsificazione aveva carattere di palese
grossolanità, con conseguente inidoneità a ledere la fede pubblica;
3. erronea applicazione della legge penale, e manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata, in punto di affermazione della
penale responsabilità dell’imputato per il delitto di cui all’art. 9 della legge
n. 1423 del 1956. Nella prospettazione difensiva, la Corte territoriale
avrebbe correttamente richiamato i principi giurisprudenziali secondo cui,
per rendere configurabile una inosservanza di rilievo penale relativamente
alle prescrizioni impartite con una misura di prevenzione, occorre che il
sottoposto abbia un rapporto di abituale frequentazione con pregiudicati:
tuttavia, non ne avrebbe tratto le logiche conseguenze nel caso di specie,
risultando provato soltanto un incontro occasionale tra il Marchì e
Giuseppe Strano, senza neppure che fossero emersi elementi oggettivi da
cui inferire che l’imputato conoscesse lo
quest’ultimo.

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status di pregiudicato di

in vista della celebrazione dell’udienza per il processo di appello, fissata

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 Quanto al primo motivo, dall’esame degli atti si rileva che – in vista della
celebrazione dell’udienza per il giudizio di secondo grado, programmata per il
09/03/2012 – il difensore del Marchì presentò alla Corte di appello di Catania
istanza di rinvio: in tale istanza, datata 29/02/2012 e depositata il giorno

l’udienza pubblica dello stesso 09/03/2012. Nel corpo della richiesta il medesimo
difensore, Avv. Marano, segnalava di non avere sostituti di cui potersi avvalere.
Va precisato che, anche in base alle allegazioni della difesa, risulta:
la spedizione dell’avviso di fissazione dell’udienza all’Avv. Marano, da
parte della Cancelleria di questa Sezione, 1’11/01/2012;
la notifica allo stesso Avv. Marano del decreto di citazione per il giudizio di
appello, nel presente processo, il 06/02/2012;
la presenza, all’udienza del 09/03/2012 dinanzi alla Corte di appello di
Catania, di un difensore di ufficio, limitatosi ad insistere per
l’accoglimento dei motivi di gravame senza riportarsi alla richiesta di
rinvio; a detta udienza era peraltro presente personalmente l’imputato.
Se deve prendersi atto della mancata disamina della richiesta di rinvio da
parte dei giudici di appello, peraltro a fronte della circostanza che il difensore di
ufficio comunque nominato non intese richiamarla, è al contempo assolutamente
pacifica, fin da epoca remota, la giurisprudenza di legittimità secondo cui «il
giudice di secondo grado non ha l’obbligo di esaminare un motivo di appello
manifestamente infondato» (v.,

ex plurimis,

Cass., Sez. III, n. 8851 del

25/05/1982, Garraffo, Rv 155462): principio che deve intendersi valido non solo
con riguardo ai motivi di gravame stricto sensu, ma a tutte le istanze o deduzioni
di parte in genere. Ed il collegio non può non rilevare che la richiesta di rinvio
de qua era da un lato certamente intempestiva, e dall’altro non adeguatamente

motivata.
Ai sensi dell’art. 420-ter del codice di rito, il giudice è infatti tenuto a rinviare
l’udienza quando l’assenza del difensore sia dovuta a legittimo impedimento
purché prontamente comunicato, e le Sezioni Unite di questa Corte hanno
affermato (con la sentenza n. 4708 del 27/03/1992, ric. Fogliani) che
l’impedimento è “prontamente” comunicato quando tale comunicazione avvenga
“non appena” conosciuta la contestualità degli impegni professionali. Perciò,
ricevuta la notificazione della fissazione di udienza davanti al giudice rispetto al
quale poi si intende far valere l’impedimento professionale, il difensore deve

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successivo, adduceva un impegno dinanzi a questa Corte, Sezione Quinta, per

intendersi chiamato a verificare se per la medesima data abbia precedenti
impegni di udienza avanti diversa autorità giudiziaria, ed a tali impegni ritenga di
dover dare prevalenza: a quel punto, una comunicazione sarà “prontamente”
effettuata solo in quanto prossima al momento in cui il difensore abbia avuto
conoscenza dell’impedimento.
E’ allora evidente come, nella fattispecie concreta, la richiesta di differimento
– del 01/03/2012 – non fosse stata formulata in un momento immediatamente
prossimo alla data di ricezione della notificazione dell’avviso di fissazione

la data in cui il difensore aveva avuto contezza dell’impegno che aveva inteso
privilegiare.
Sotto altro profilo, deve ricordarsi che il difensore che chiede il rinvio del
dibattimento per assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento
non deve limitarsi a documentare la contemporanea esistenza di altro suo
impegno professionale, ma deve fornire l’attestazione dell’assenza di un
codifensore nell’altro procedimento e prospettare le specifiche ragioni per le quali
non possa farsi sostituire nell’uno o nell’altro dei due processi contemporanei (v.
a riguardo Cass., Sez. I, n. 13351 de1111/02/2004, Appio). Nella fattispecie in
esame, la mera affermazione di non avere sostituti di cui l’Avv. Marano potesse
avvalersi ai fini del giudizio di appello non conteneva alcuna enunciazione
specifica dei motivi di tale impossibilità.
1.2 Quanto al secondo profilo di doglianza, la Corte territoriale risulta avere
congruamente motivato che la “carta precettiva” promanava dall’autorità di
pubblica sicurezza, sia pure ammettendo che non rispondesse a modelli di atti
pubblici necessariamente imposti ex lege: peraltro, non va trascurato che la
casistica giudiziaria conosce frequenti ipotesi di violazioni dell’art. 9 della legge
n. 1423 del 1956 qualora il sottoposto a misura di prevenzione non rispetti
l’obbligo impostogli di portare al seguito proprio la carta precettiva in questione.
Inoltre, il fatto che di quanto ivi attestato (sui controlli effettuati, ovvero su date
ed orari di presentazione) si dovesse rendere conto alla stessa autorità rendeva
evidente la finalità pubblicistica perseguita, immediatamente correlata ai fini
istituzionali.
1.3 Sul terzo motivo, dalla lettura della sentenza impugnata si evince che gli
episodi assunti come rilevanti ai fini della affermazione della penale
responsabilità dell’imputato furono “reiterati”, “non evitati”, ed avvenuti al di
fuori dell’attività lavorativa in ipotesi svolta dal Marchì: pur non avendo la Corte
territoriale enumerato gli episodi in questione, il dato trova conferma dalla
lettura della pronuncia oggetto di ricorso in unicum con quella del giudice di
prime cure, dovendosi ricordare che «in tema di sentenza penale di appello, non

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dell’udienza di cui si chiedeva il rinvio (il 06/02/2012), essendo ancora anteriore

sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo
grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta
in primo grado, nonché della corrispondente motivazione, seguano le grandi
linee del discorso del primo giudice. Ed invero, le motivazioni della sentenza di
primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione» (Cass., Sez. III, n. 4700 del
14/02/1994, Scauri, Rv 197497; v. anche Sez. II, n. 11220 del 13/11/1997,

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 22/03/2013.

Ambrosino).

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