Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1128 del 20/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1128 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PALLA STEFANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) PIGNOTTI GABRIELE N. IL 02/08/1957
avverso la sentenza n. 2069/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del
31/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. STEFANO PALLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Koog 0.9
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv. Hary-i. uk

Data Udienza: 20/11/2012

FATTO E DIRITTO

Pignotti Gabriele ricorre avverso la sentenza 31.5.11 della Corte di appello di Ancona che ha
confermato quella in data 29.10.08 del Tribunale di Ascoli con la quale è stato condannato, per il
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, alla pena di anni tre e mesi sei di

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo
violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e) c.p.p. con riferimento ai presupposti legittimanti la
dichiarazione di fallimento, secondo il testo novellato dell’art.1, comma 2, 1.fall.
Appartenendo la relativa questione esclusivamente all’ambito penalistico, occorreva fare
riferimento alle norme di diritto penale e poiché è onere dell’accusa provare che la fattispecie
penale risulti integrata in tutti i suoi elementi costitutivi, anche soltanto il dubbio sul mancato
superamento dei parametri dimensionali de quibus non poteva che giovare all’imputato e
illogicamente i giudici di merito non avevano tenuto conto che dalla relazione del curatore e dalle
dichiarazioni testimoniali era risultato che i debiti del fallito erano rimasti circoscritti a quelli verso
la ditta Mantovana Diesel, per un valore di circa C 130.000,00, oltre a quelli di natura previdenziale
per le sue posizioni personali di artigiano-commerciante, con la conseguenza che il Pignotti avrebbe
dovuto essere assolto con la formula ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato’.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e) c.p.p. per mancanza
di motivazione in ordine ai presupposti soggettivi inerenti le condizioni previste per la fallibilità
dell’imprenditore, essendosi la sentenza impugnata limitata a richiamare la pronuncia delle Sezioni
unite della Cassazione 28 febbraio 2008, n.19601, senza considerare le osservazioni della difesa
secondo cui il punto più fragile della pronuncia delle Sezioni unite riguardava l’affermazione per
cui la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento
giurisdizionale e non per i fatti in essa accertati, laddove invece la dichiarazione di fallimento,
essendo un accadimento eventuale, non concorre in alcun modo all’integrazione del reato in quanto,

reclusione, oltre le pene accessorie di legge.

ove ne costituisse elemento costitutivo, dovrebbe quantomeno entrare nel momento conoscitivo del
dolo.
La sentenza di fallimento — sostiene il ricorrente — è una semplice condizione di punibilità, in
quanto estranea alla sfera conoscitivo-volitiva del soggetto agente ed addirittura non prevedibile, a
ciò dovendosi aggiungere la considerazione della ingiustizia derivante — in violazione quindi

siano da considerare entrambi piccoli imprenditori, possano avere conseguenze penali
diametralmente opposte solo in virtù del tempo in cui si è verificato l’evento.
L’unica interpretazione possibile, quindi — secondo il ricorrente — della norma incriminatrice del
reato di bancarotta consiste nel considerare quale elemento della fattispecie, anziché la sentenza, la
qualità di fallito, con la conseguenza che se il novum legislativo introduce nuovi differenti parametri
ai fini del conseguimento della qualità di fallito, deve trovare applicazione la disciplina di cui
all’art.2 c.p.
Se un simile orientamento non fosse condiviso — sostiene il ricorrente con il terzo motivo —
, in palese
contrasto con gli artt.2, 3, 25 comma 2 e 27 della Costituzione, anche alla luce dell’interpretazione
fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n.364/88, secondo cui non è ammissibile
rimproverare ad alcuno , con conseguente
necessità di sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale.
Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lette) c.p.p. per non avere la
sentenza impugnata riconosciuto la violazione dell’art.521 c.p.p. sebbene la condanna del tribunale
sia intervenuta per la ritenuta sottrazione della contabilità mentre l’imputazione riguardava soltanto
l’omessa tenuta della stessa.
Con il quinto motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.e) c.p.p. nella parte in cui il
giudice di appello ha ritenuto provata la sottrazione della documentazione sulla base delle
dichiarazioni dello stesso imputato, che aveva dichiarato di aver tenuto le scritture contabili e di

dell’art.2 c.p. — dall’avere due situazioni identiche, riferibili a soggetti che, per la vigente normativa,

averle poi smarrite incolpevolmente durante un trasloco, nonché del fatto che lo stesso imputato
aveva consegnato qualche documento al curatore, non apparendo invece ipotizzabile alcuna
violazione.
Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e) c.p.p. per essere stata
ritenuta certa la connotazione dolosa della condotta del Pignotti — in luogo del ben più plausibile

curatore dotato di ‘scarsa capacità imprenditoriale’ – , al quale era stata contestata una condotta
omissiva, quale appunto la mancata tenuta delle scritture contabili, mentre la condanna era
intervenuta per la ritenuta sottrazione della contabilità, con motivazione quindi manifestamente
illogica e contraddittoria anche nella parte in cui era stata ritenuta provata la avvenuta sottrazione, le
dichiarazioni dell’imputato riportate da un testimone non potendo mai rappresentare una prova
piena, non avendo valore di confessione stragiudiziale, peraltro inammissibilmente ritenute veritiere
per quel che concerneva l’esistenza delle scritture e mendaci con riferimento allo smarrimento non
voluto.
Con il settimo motivo (rubricato come 8°) si censura l’assunto secondo cui la distrazione di mezzi
ed attrezzature, per un valore di

e 50.000,00, era da ritenersi provata per il solo fatto che non erano

stati rinvenuti dal curatore in sede di inventario, non sussistendo invece alcuna prova della loro
esistenza, avendo il curatore ammesso che il valore delle attrezzature era stato calcolato sull’
quod plerumque aceidit,

id

senza alcun riscontro con il caso concreto.

Con il nono motivo si lamenta la mancata pronuncia in ordine all’attenuante di cui al comma 3
dell’art.219 1.fall., che andava ritenuta essendo comunque minimo l’allarme sociale creato dalla
fattispecie in esame.
Con il decimo motivo si lamenta la mancata pronuncia circa la concessione delle attemhanii

generiche con il criterio della prevalenza, essendosi il giudice di appello — si sostiene con
l’undicesimo motivo — limitato a ribadire quanto già insufficientemente sostenuto nella sentenza di

primo grado circa l’intensità del dolo e il disvalore patrimoniale delle condotte.

atteggiamento di semplice negligenza e superficialità, essendo l’imputato stato definito dallo stesso

Osserva la Corte che il ricorso non è fondato.
Quanto ai primi tre motivi di ricorso, riguardanti tutti la pretesa mancata assoluzione del ricorrente
dai reati di bancarotta ascrittigli in conseguenza della asserita inapplicabilità nei suoi confronti della
nuova disciplina sul fallimento, di cui all’art.1 1.fall., come novellato dall’art.1 del d.lgs. n.5106, , deve rilevarsi che le Sezioni unite di questa

per la assoggettabilità al fallimento, con riferimento alle procedure concorsuali e penali avviate —
come quella in esame — prima della data di entrata in vigore della 1.n.5/06 (il Pignotti, titolare
dell’omonima impresa individuale, è stato infatti dichiarato fallito dal Tribunale di Ascoli Piceno
con sentenza 10.3.05), che ha modificato la nozione di ‘piccolo imprenditore’ contenuta nell’art.1,
comma 2, 1.fall., hanno statuito che il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di
bancarotta ex artt.216 ss. 1.fall., non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al
presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle
modifiche apportate all’ait.1 della legge fallimentare dal d.lgs. n.5/06 e dal d.lgs. n.169/07, che non
esercitano influenza ai sensi dell’art.2 c.p. sui procedimenti penali in corso.
Correttamente pertanto i giudici di appello hanno ritenuto che sulla dichiarazione di fallimento
pronunciata nei confronti dell’odierno ricorrente, la nuova normativa non ha inciso in alcun modo,
evidenziando peraltro come proprio la consegna da parte del Pignotti al curatore fallimentare di
scritture contabili assolutamente incomplete ed inattendibili, fosse finalizzata — secondo quanto
rilevato dallo stesso curatore — ad evitare l’emergere di ulteriori situazioni debitorie e distrattive che
avrebbero aggravato la sua posizione, con la conseguenza che in ogni caso, analizzati anche i dati
parziali emersi dalla relazione del curatore fallimentare, l’importo dei debiti complessivi è
certamente superiore al ‘nuovo’ limite nonnativamente previsto.
Trattasi di un giudizio di fatto, non affetto da illogicità, in ragione del quale diviene irrilevante la
prospettata questione di legittimità costituzionale, in quanto al Pignotti non potrebbero in ogni caso

Corte, risolvendo il contrasto insorto sull’incidenza delle modifiche normative circa i presupposti

essere riferiti i nuovi parametri dettati dall’art.! 1.fall. sulla assoggettabilità delle imprese al
fallimento.
Le considerazioni che precedono involgono necessariamente – nel senso della infondatezza — anche
gli altri motivi di gravame riguardanti la ritenuta violazione dell’art.52 I c.p.p. e l’insussistenza, per
mancanza dell’elemento soggettivo, del reato di bancarotta fraudolenta documentale.

sentenza, va ricordato che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei
suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista
dalla legge, sì da pervenire ad una incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un
reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez.un., 19 giugno 1996, n.16; Sez.un., 15 luglio 2010,
n.36551) e pertanto non viola il principio di correlazione con l’accusa la sentenza che condanni
l’imputato del reato di bancarotta fraudolenta per una delle condotte alternativamente previste dalla
norma incriminatrice e diverse da quella indicata in imputazione ove questa contenga — come nella
specie – la descrizione anche sommaria del comportamento addebitato (Cass., sez. V 5 luglio 2010,
n.37920), dal momento che in ogni caso l’imputato, attraverso l’ iter del processo, si è
concretamente difeso in ordine all’oggetto dell’imputazione.
E’ stato poi lo stesso imputato — hanno sottolineato i giudici territoriali — a dichiarare di aver tenuto
le scritture contabili consegnandole parzialmente al curatore, comportamento non certo dettato da
superficialità, negligenza o inesperienza — secondo la riduttiva lettura fattane dalla difesa del
ricorrente – , quanto invece proprio dalla volontà di impedire la ricostruzione delle vicende
imprenditoriali onde occultare la rilevante condotta distrattiva, secondo le risultanze acclarate dal
curatore e fatte proprie, con congrua motivazione, dai giudici di merito.
Quanto poi alla fattispecie distrattiva, oggetto dell’ottavo motivo di ricorso, la prova dell’esistenza
dei beni poi non più rinvenuti nella disponibilità del fallito, deriva — come perspicuamente osservato
dalla Corte di appello — dall’avere il Pignotti con certezza acquistato mezzi e veicoli dalla
`Mantovana Diesel’ (circostanza implicitamente ma chiaramente ammessa dallo stesso ricorrente

Con riferimento, infatti, alla asserita mancanza di correlazione tra l’imputazione contestata e la

allorché, nel primo motivo di ricorso, ha riferito dei debiti del fallito nei confronti della Mantovana
Diesel ammontanti ad E 130.000,00), sottratti all’attivo fallimentare, così come il corrispettivo della
eventuale loro alienazione, unitamente ai mezzi e alle attrezzature da officina che pur dovevano
essere presenti al momento del fallimento, con la conseguenza che il mancato rinvenimento, all’atto
della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari — la cui esistenza e disponibilità in capo

distrazione, rilevante ai sensi dell’art.192 c.p.p., al fine di affermare la responsabilità dell’imputato,
non costituendo inversione dell’onere della prova il fatto che sia rimessa all’interessato la
dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato (Cass., sez.V, 2 febbraio
2005, n.3400; Sez.V, 17 giugno 2010, n. 35882), nella specie non avutasi per non avere il Pignotti
fornito alcuna giustificazione della destinazione del denaro e dei beni, senza che la possibilità che
questi ultimi potessero aver perso valore valga ad escludere la rilevanza penale — come
correttamente sottolineato dalla Corte anconetana — della accertata condotta distrattiva.
Quanto alla mancata applicazione dell’attenuante del fatto di ‘speciale tenuità’, oggetto del nono
motivo di impugnazione, i giudici di appello hanno congruamente e correttamente motivato in
ordine alla non ricorrenza di detta attenuante in considerazione della pluralità delle condotte
distrattive e della loro stessa entità , senza che peraltro il ricorrente abbia indicato concreti elementi
di segno positivo non considerati dai giudici di merito.
In ordine, infine, agli ultimi due motivi di gravame, concernenti l’entità del trattamento
sanzionatorio e la mancata concessione delle attenuanti generiche, legittimamente i giudici di
appello, facendo riferimento alla intensità del dolo manifestata dall’imputato e consistita in una
pervicace condotta deliberatamente posta in essere per distrarre a proprio personale vantaggio e ai
danni dei creditori tutte le cospicue attività aziendali ed occultare altresì tale disegno criminoso,
hanno negato, facendo corretta applicazione dei criteri di cui all’art.133 c.p., le attenuanti generiche,
ritenendo congruo il trattamento sanzionatorio irrogato dal primo giudice anche in considerazione
dei plurimi precedenti a carico dell’imputato, trattandosi di parametro considerato dall’art.133 c.p.

all’imputato è rimasta concretamente accertata – costituisce valida presunzione della loro dolosa

ed applicabile anche ai fini di cui all’art.62-bis c.p., a fronte del quale il ricorso non evidenzia alcun
significativo elemento di segno opposto non considerato dai giudici di merito.
Alla conferma della sentenza impugnata segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.

Roma, 20 novembre 2012

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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