Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11211 del 29/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 11211 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul.ricorso proposto da:
RAMIREZ MORALES CHIARA JASMINE N. IL 31/03/1981
avverso la sentenza n. 1937/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
13/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 29/01/2014

R. G. 24085 / 2013

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Genova ha confermato in
punto di responsabilità la decisione del Tribunale con cui Chiara Jasmine Ramirez Morales
è stata riconosciuta colpevole del reato di falsa testimonianza per avere, deponendo (previa
rinuncia alla facoltà di astenersi) il 15.6.2006 come testimone in un giudizio penale a carico
della sorella, assecondato l’alibi difensivo della congiunta, falsamente riferendo di aver
trascorso la notte tra il 25 e il 26 marzo 2005 in compagnia della sorella. La Corte territoriale
ha unicamente mitigato l’entità della pena inflitta alla Ramirez, escludendo l’apprezzabilità
della recidiva (non formalmente contestata all’imputata contumace) e per l’effetto riducendo
la pena per il predetto reato ex art. 372 c.p. a un anno e quattro mesi di reclusione.
Con il ministero del difensore l’imputata ha proposto ricorso avverso la sentenza di
appello, deducendo violazione dell’art. 163 c.p. ed erroneità della motivazione con riguardo
all’ingiustificato diniego della sospensione condizionale della pena. In vero la Corte territoriale
non ha accolto il corrispondente motivo di appello dell’imputata (appello formulato per il solo
trattamento sanzionatorio) in base al rilievo che il suo certificato penale registrerebbe cinque
anteriori condanne per delitti. Rilievo erroneo perché basato, per mero errore di fatto, sul
certificato penale della sorella dell’imputata (che realmente annovera tali precedenti penali) e
non su quello dell’odierna ricorrente, che include soltanto “due reati di minima gravità e
risalenti nel tempo” (un furto e un fatto di false generalità).
Il ricorso è inammissibile per genericità e indeducibilità della doglianza, che attiene ad
un profilo della regiudicanda, quello del trattamento sanzionatorio, che è rimesso all’esclusivo
apprezzamento del giudice di merito ed è sottratto a scrutinio di legittimità, quando -come
deve constatarsi nel caso di specie- la tematica della pena risulti valutata e sorretta da
sufficiente motivazione. In particolare occorre ribadire che il beneficio della sospensione della
pena non costituisce un diritto dell’imputato condannato, essendo rimesso alla discrezionalità
del giudice di merito, tenuto ad esperire una positiva prognosi comportamentale di non
pericolosità entro il perimetro valutativo delineato dagli artt. 163 e 164. Prognosi favorevole
che i giudici del gravame hanno ritenuto non formulabile, se non altro all’implicita stregua del
divieto dettato dall’art. 164 -co. 2, n. 1- c.p., avendo l’imputata comunque riportato
anteriore condanna per delitto. Più esattamente per due delitti (come si riconosce nello
stesso ricorso), per altro temporalmente contigui alla falsa testimonianza oggetto dell’odierno
ricorso. Ne discende l’irrilevanza o comunque l’ultroneità dell’addotto errore sul certificato
penale presso in considerazione dalla Corte di Appello (erroneità ribadita con memoria
difensiva depositata il 17.10.2013), atteso che -a prescindere dalla originaria genericità della
richiesta ex art. 163 c.p. (oggetto di subordinato motivo di appello)- i giudici di secondo
grado neppure avrebbero dovuto pronunciarsi sul tema, non potendosi ritenere sussistente
un obbligo di motivazione del diniego del beneficio, ove questo non risulti concedibile per
mancanza dei presupposti di legge (Cass. Sez. 6, 21.4.2009 n. 20383, Bomboi, rv. 243881;
Cass. Sez. 5, 26.5.2011 n. 30410, Albanito, rv. 250583).
La genetica inammissibilità del ricorso, impedendo l’instaurarsi di un valido rapporto
impugnatorio, preclude la possibilità di rilevare di ufficio l’estinzione del reato per
prescrizione sopravvenuta alla sentenza di secondo grado (S.U., 22.11.2000 n. 32, De Luca,
rv. 217266; S.U., 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164; Sez. 3, 8.10.2009 n. 42839,
Imperato, rv. 244999). All’inammissibilità dell’impugnazione segue ex lege la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla cassa
delle ammende, equamente fissata in euro 1.000,00 (mille).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 29 gennai 2014

Motivi della decisione

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