Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 112 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 112 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) FAMA’ CARMELO N. IL 22/04/1958
avverso l’ordinanza n. 149/2012 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
05/04/2012
senta la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
l e/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi dife

Avv.;

Data Udienza: 30/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22.9.2011 il Tribunale di Messina, decidendo quale
giudice del riesame, confermava l’ordinanza emessa dal Gip dello stesso
tribunale, in data 16.11.2011, con la quale era stata applicata a Carmelo Famà
la misura cautelare dell’obbligo di dimora in relazione ai reati di cui agli artt. 48,
479 e 640 cod. pen., per essersi reso responsabile, in qualità di privato
deternninatore, di due distinte fattispecie di falso ideologico in atto pubblico e del

avviata dal Comune di Messina in base al piano annuale delle assunzioni per la
copertura di un posto di dirigente tecnico responsabile del dipartimento attività
edilizie e repressione abusivismo.
A seguito del ricorso per cassazione, questa Corte, con sentenza del 23
gennaio 2012, ha annullato la predetta ordinanza limitatamente alle esigenze
cautelari rinviando al Tribunale di Messina per nuovo esame, ritenendo non
esaustivo l’esame delle concrete esigenze cautelari da garantirsi con la misura
applicata. In particolare, la Corte affermava che la motivazione era carente non
riuscendo a chiarire quali esigenze collegate agli specifici addebiti mossi al
prevenuto che paiono prescindere dal concreto esercizio delle sue attuali
funzioni, si dovessero e potessero efficacemente garantire con una misura di
inibizione ai movimenti, incisiva solo in linea di mero fatto in assenza di
provvedimenti sospensivi ed inibitori, sull’esercizio delle funzioni e sulla
percezione delle retribuzioni.
Con ordinanza del 5 aprile 2012, il Tribunale di Messina, premessa la esatta
perimetrazione del giudizio di rinvio relativo esclusivamente alla motivazione in
ordine alle esigenze cautelari poste a fondamento della misura applicata al
Famà, confermava l’ordinanza impugnata.
Ad avviso del tribunale, la misura dell’obbligo di dimora deve ritenersi
idonea a fronteggiare il rischio di recidiva imponendo una restrizione della libertà
personale dell’indagato limitata ed idonea a soddisfare le specifiche esigenze
cautelari innanzi evidenziate, ossia ad inibire l’effettiva possibilità che lo stesso,
esercitando la funzione illecitamente acquisita presso il Comune di Messina,
possa porre in essere analoghe condotte lesive della fede pubblica.

2. Avverso detto ultimo provvedimento l’indagato ha proposto ricorso per
cassazione, tramite i difensori di fiducia, denunciando la violazione di legge ed il
vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato risulta all’evidenza
altrettanto carente in ordine alla motivazione relativa alla sussistenza delle
esigenze cautelari poste a fondamento della misura applicata. Invero, il tribunale
2

reato di truffa aggravata nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica

non ha saputo ovviare alle carenze denunziante adottando un provvedimento
incomprensibilmente ed eccessivamente punitivo, senza tenere in alcun conto
non solo dello stato di incensuratezza, ma anche della precedente attività svolta
all’interno della pubblica amministrazione e contraddistinta da totale tutela
dell’interesse pubblico, risultando documentalmente che il ricorrente, durante il
periodo di lavoro presso il Comune di Taormina non ha mai formulato alcuna
dichiarazione o attestazione che lo riguardasse personalmente, essendo stato
investito di funzioni e compiti dirigenziali attraverso atti e provvedimenti di altri

Censura, inoltre, la valutazione in ordine alla adeguatezza e proporzionalità
della misura applicata, laddove si assume che la prognosi sfavorevole nei
confronti dell’indagato risulta confermata dal comportamento successivo
all’instaurazione del procedimento penale con specifico riferimento alle mancate
dimissioni da un ruolo «raggiunto in maniera disonesta». Sul punto rileva
come non possa escludersi che il ricorrente dimostri nel procedimento la propria
estraneità ai fatti; pertanto, detto giudizio contrasta col principio di non
colpevolezza costituzionalmente garantito.
Infine, il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte ed i principi
affermati in ordine alla valutazione della proporzionalità della misura cautelare
cui il giudice è chiamato tanto al momento della scelta dell’adozione del
provvedimento coercitivo, quanto per tutta la durata della stessa, effettuando
una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a
fronteggiare le esigenze che concretamente permangono.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Ad avviso del Collegio, il ricorso non è fondato e deve essere rigettato.
Ferma la preclusione di qualsivoglia valutazione in ordine alla sussistenza
del compendio indiziario avuto riguardo ai reati contestati, il tribunale ha
adeguatamente argomentato sui punti indicati nella sentenza di annullamento di
questa Corte nella quale – è opportuno precisarlo – è stato censurato
esclusivamente per la sua insufficienza il discorso giustificativo della pronuncia in
esame con riferimento alla adeguatezza della misura cautelare applicata in
relazione alla concrete esigenze cautelari e non è stato affermato, né è stato
richiamato alcun principio di diritto, cui il giudice del rinvio doveva attenersi,
relativamente alla legittimità dell’applicazione della misura cautelare in oggetto
in rapporto alla natura dei reati contestati all’indagato in relazione ai quali è
stata ritenuta la gravità indiziaria.

3

organi istituzionali.

Contrariamente a quanto affermato, il tribunale ha tenuto conto nella
valutazione operata della condizione di incensuratezza del ricorrente ed ha
utilizzando argomenti logici ed ancorati alle circostanze di fatto emerse dagli atti.
In particolare, ha evidenziato come la condotta truffaldina attuata attraverso
atti falsificati induce ad una prognosi sfavorevole in ordine al futuro svolgimento
delle funzioni attribuite al ricorrente con conseguente concreto ed attuale
pericolo che l’indagato commetta delitti della stessa specie di quello in
contestazione. Ha sottolineato che il Famà ben potrebbe perseverare nelle

strumentalizzando per fini personali il ruolo indebitamente ricoperto. Tale
valutazione è stata fondata dal tribunale in primo luogo, sulle modalità di
commissione dei fatti contestati ed, in particolare, sulle caratteristiche peculiari
degli illeciti che evidenziano la reiterazione delle condotte e dimostrano l’assoluto
dispregio delle regole che dovrebbero governare la gestione della cosa pubblica,
ponendo in essere una sistematica alterazione di atti fidefacenti per il
soddisfacimento delle proprie esigenze personali che hanno consentito
all’indagato di pervenire al risultato di ricoprire un ruolo cui non avrebbe avuto
diritto e di percepire il corrispondente differenziale retributivo, così perpetrando
una truffa ai danni dell’amministrazione.
Inoltre,

il

tribunale

ha

sottolineato

che,

pur

tenendo

conto

dell’incensuratezza dell’indagato, risultava evidente la notevole spregiudicatezza
nella gestione di atti pubblici e nel loro strumentale utilizzo, tale da indurre a
ritenere che, se non fosse stato scoperto, il Famà avrebbe perseverato nella
condotta truffaldina.
In tal modo il giudice del rinvio ha fatto corretta applicazione dei principi più
volte affermati in ordine al giudizio prognostico relativo al pericolo di recidiva che
deve avere riguardo alle specifiche modalità e circostanze del fatto, indicative
dell’inclinazione del soggetto a commettere reati della stessa specie, alla
personalità dell’indagato e di ogni altro elemento compreso fra quelli enunciati
nell’art. 133 cod. pen..
Sono, all’evidenza aspecifiche per mancanza di correlazione con quanto
effettivamente valutato dal tribunale le doglianze del ricorrente, come innanzi
sintetizzate, in ordine alla valutazione della proporzionalità della misura
cautelare applicata.
Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

4
)(

medesime condotte sia alterando le attività di gestione dei beni pubblici, sia

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, il 30 novembre 2012.

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