Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11177 del 29/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 11177 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FONDA MARIO N. IL 21/01/1977
avverso la sentenza n. 5884/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
05/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 29/01/2014

R. G. 23592/2013

Con il ministero del difensore l’imputato Mario Fonda ricorre per cassazione contro la
sentenza della Corte di Appello di Roma che ha confermato in punto di responsabilità la
decisione con cui il Tribunale di Civitavecchia, all’esito di giudizio ordinario, lo ha riconosciuto
colpevole dei reati (avvinti da continuazione) di resistenza e lesioni volontarie a pubblico
ufficiale (per aver colpito con un pugno al viso, spaccandogli il labbro e cagionandogli così una
lesione personale, per opporsi -con altri manifestanti- al carabiniere Giuseppe Crabolu che
con un collega procedeva ritualmente alla sua identificazione). La Corte territoriale ha solo,
fermo il diniego delle invocate attenuanti generiche, ridotto la pena inflitta al prevenuto, che
ha rideterminato in un anno di reclusione.
Con il ricorso si denuncia l’erronea applicazione degli artt. 337 e 582 c.p. e la carenza
e l’illogicità della motivazione della sentenza di appello nella parte in cui, riportandosi alla
sentenza di primo grado, non avrebbe operato una corretta ricostruzione della vicenda
integrante la regiudicanda, i cui elementi referenziali inducono ad escludere persuasivi dati
probatori della sussistenza dei reati attribuiti al Fonda e della sua corretta identificazione
quale autore del gesto lesivo nei confronti del carabiniere Crabolu. Ciò avuto riguardo alle
insuperabili discrasie emergenti tra le dichiarazioni del militare e quelle degli altri testimoni
intervenuti in occasione dell’episodio criminoso.
Il ricorso è inammissibile per difetto di specificità (traducendosi nell’acritica replica dei
motivi di gravame correttamente vagliati e disattesi dai giudici di appello), per indeducibilità
dei motivi di censura e per loro coeva palese infondatezza. In vero l’atto impugnatorio delinea
una rivalutazione e una reinterpretazione meramente fattuali delle fonti di prova affatto
estranee all’odierno giudizio di legittimità. Segnatamente quando si abbia riguardo alla
linearità con cui la sentenza di appello è giunta, in base ad un’autonoma riconsiderazione dei
dati processuali, alla conferma della penale responsabilità del ricorrente, evidenziando -con
argomenti storici, sequenziali e logici- l’implausibilità della tesi difensiva dell’imputato sulla
inadeguata ricostruzione della vicenda ovvero sulle incongruenze dichiarative che la
caratterizzerebbero. Incongruenze limpidamente dissolte dalla decisione impugnata anche alla
luce degli univoci contenuti assertivi della testimonianza della p.o. Crabolu.
A prescindere dalla recidiva contestata all’imputato e non esclusa dalle due decisioni di
merito (con effetti incrementali della sanzione applicabile), la genetica inammissibilità del
ricorso, impedendo l’instaurarsi di un valido rapporto impugnatorio, preclude la rilevabilità di
eventuali cause estintive prescrizionali sopravvenute alla sentenza di secondo grado (Cass.
S.U., 22.11.2000 n. 32, De Luca, rv. 217266; Cass. S.U., 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv.
231164; Cass. Sez. 3, 8.10.2009 n. 42839, Imperato, rv. 244999).
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e dell’equa somma di euro 1.000,00 (mille) in favore
della cassa delle ammende.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 29 gennaio 2014
Il consiglier

ensore

Il P esidente
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Motivi della decisione

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