Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11163 del 12/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 11163 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

DI PRIMA SALVATORE

n.il 25.05.1970

avverso l’ORDINANZA n. 71/2012 della Corte d’appello di Catania
dell’11.10.2012.
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
Udita in UDIENZA CAMERALE del 12 dicembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Lette le richieste del Procuratore Generale nella persona del dott.
Francesco Salzano che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Il Ministero dell’Economia e delle finanze con memoria depositata in
termini chiede dichiararsi l’inammissibilità e/o il rigetto del ricorso.

(-4

Data Udienza: 12/12/2013

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
DI PRIMA Salvatore ricorre per cassazione avverso l’ordinanza, indicata in
epigrafe, con cui la Corte d’appello di Catania ha rigettato la sua richiesta di
riparazione per ingiusta detenzione subita dall’1.11.2009 al 26.11.2011 in ordine
al procedimento penale a suo carico per i reati di cui agli artt. 110 e 628 comma
qsz,_ Qui 2.,-w-g
2 cpv. n. 1, cod. penirassoito alla
Corte d’appello di Catania del 28.01.2011.
Rifacendosi alle risultanze istruttorie esaminate nella sentenza di assoluzione, la
Corte di Appello ha ritenuto che l’istante aveva contribuito, con colpa grave,

Il ricorrente deduce violazione di legge e carenza di motivazione del
provvedimento impugnato in ordine alla sussistenza del presupposto del dolo o
della colpa grave del richiedente che costituiva causa impeditiva per il
riconoscimento dell’indennizzo riparatorio ed aveva operato un’anomala
rivisitazione delle conclusioni cui era giunto la Corte del merito nella sentenza di
assoluzione. Poneva, altresì, in evidenza che la Corte distrettuale non aveva in
alcun modo motivato in ordine alla sussistenza del nesso causale tra l’asserita
condotta colposa e l’emissione del provvedimento restrittivo, né era stata
analizzata la sua condotta processuale al fine di verificare la legittimità del
mantenimento in carcere.
(((((((((((((0))))))))))))
Il ricorso va accolto con conseguente annullamento ,e-i-i-nvio dell’ordinanza
impugnata,
Appare conferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo
cui (cfr. fra tutte Cass. Pen., IV” sez., n. 2830, del 12.5.2000) “il sindacato del
Giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento
logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare il
presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive
attribuzioni del giudice di merito la valutazione sull’esistenza e la gravità della
colpa o sull’esistenza del dolo restando al giudice di legittimità soltanto il
compito di verificare la correttezza logica del ragionamento”.
In fatto, dagli atti risulta che il ricorrente era stato tratto in arresto in data
1.11.2009, a seguito dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare per il
delitto di cui agli artt.110 e 628 comma 2 cpv n1 cod. pen.. Tale
provvedimento cautelare era stato confermato dal Tribunale del riesame in
data 19-11-2009. Il Di Prima era stato condannato in primo grado, con
5g

2,

all’emissione del provvedimento restrittivo.

sentenza emessa in data 25-05.2010, mentre la Corte di appello, con
sentenza, emessa in data 14-3-2011, aveva assolto l’istante dai delitti
ascrittigli con decisone divenuta irrevocabile. La Corte di appello rilevava in
particolare che dalla perizia antropometrica, appositamente disposta,
risultava che l’immagine del rapinatore riprodotta nei fotogrammi del “c.d.” di
videosorveglianza dell’ufficio postale non era quella dell’imputato.
La Corte di appello di Catania rileva che l’emissione ed il mantenimento
del provvedimento restrittivo in relazione ai delitti ascritti al DI PRIMA ha,

fine il silenzio serbato dall’istante, nel corso dell’interrogatorio di garanzia e
poi nel corso del procedimento a suo carico. Il silenzio prestato era tale da
ingenerare sospetti in ordine al ruolo da lui svolto e sui rapporti intercorsi con
i coimputati. Il protratto silenzio dell’indagato aveva reso impossibile
l’accertamento dei fatti e la ricostruzione delle vicende criminose a lui
addebitate ed era tale da integrare un comportamento colposo che aveva
influito sull’emissione del provvedimento restrittivo.
Orbene, l’iter argomentativo, seguito dalla Corte d’Appello, non resiste alle
censure del ricorrente, in quanto nel proprio provvedimento non chiarisce quali
siano stati i comportamenti colposi o dolosi del ricorrente e quale sia stata,
oltre le dichiarazioni difensive ed il silenzio serbato, la condotta da questi
posta in essere e che possa considerarsi in rapporto di causa ad effetto
9rispetto alla detenzione. La Corte di Appello omette di spiegare seAn che
modo il comportamento posto in essere dal ricorrente abbia avuto efficienza
causale sull’adozione o sul mantenimento della misura cautelare /dal momento
che le sole dichiarazioni rese dall’imputato o il silenzio da questi prestato,
nell’ambito della sua strategia difensiva, non possono costituire di per sé sole
indice di comportamento doloso o colposo in grado di avere incidenza
sull’emissione e sul mantenimento della misura custodiate. La Corte di
appello ha formulato la sua decisione basandosi solo sulla circostanza che
l’indagato si era avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di
garanzia, senza indicare quali siano le circostanze non indicate dall’istante e
che potevano comportare la sua scarcerazione.
In sostanza ,dal provvedimento impugnato non emerge quale sia stato il
comportamento incauto posto in essere dal ricorrente che abbia avuto
incidenza causale sull’evento della carcerazione preventiva atteso che non

anche, avuto causa nella sua condotta gravemente colposa e richiama a tal

vengono specificate tali condotte come realizzatrici o agevolatrici del delitto
di rapina su cui si stava indagando.
Quanto al comportamento processuale dell’istante, si osserva che, ai fini
dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa della colpa grave
dell’interessato, pur dovendosi considerare il diritto del destinatario della misura
ad adottare la strategia difensiva ritenuta più utile nel processo, che comprenda
eventualmente il silenzio o il mendacio, occorre valutare se la condotta di non
collaborazione o di ostruzionismo ovvero di mendacio adottata dall’indagato,

provvedimento di cautela, al procrastinarsi sella sua liberazione ed
all’accertamento della sua innocenza.
Nel giudizio di cui all’art. 314 cod. proc. pen., il giudice, ai fini
dell’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del
diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, può valutare il comportamento
silenzioso o mendace, legittimamente tenuto nel procedimento penale
dall’imputato, per escludere il suo diritto all’equo indennizzo.
Il difensore del ricorrente ritiene, invece, che il silenzio da solo non
assume rilievo ai fini della determinazione della colpa grave, poiché resta fermo
l’insindacabile diritto al silenzio o alla reticenza o alla menzogna da parte della
persona sottoposta alle indagini e dell’imputato.
In linea generale si può concordare con tale osservazione, va, però,
ricordato che, nell’ipotesi in cui solo l’indagato e/o imputato sia in grado di
fornire una logica spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di elementi
acquisiti nel corso delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali,
rilevano, ma il mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano
dell’allegazione di fatti favorevoli. Tale condotta processuale può valere a far
ritenere l’esistenza di un comportamento omissivo causalmente efficiente nel
permanere della misura cautelare. Tuttavia, come esattamente rilevato
dall’opposto indirizzo (Cass. sez. 3^, n. 13714 del 2005), una cosa è il diritto di
difendersi con qualsiasi mezzo per preservare la propria libertà personale da
un’imputazione penale, altra cosa è il diritto a una riparazione giudiziaria quando
la detenzione patita si rivela ingiusta perché la strategia difensiva ha avuto
successo o ha comunque ottenuto l’assoluzione dall’imputazione. Il legislatore
infatti non ha riconosciuto incondizionatamente siffatto diritto alla riparazione,
ma l’ha esplicitamente escluso quando il comportamento dell’indagato, da solo o
con altre circostanze, ha indotto in errore il giudice cautelare circa l’esistenza di

senza necessità e suo beneficio, sia risultata sinergica all’emissione del

indizi di colpevolezza a carico dello stesso indagato. E ciò in forza del principio
generale stabilito dall’art. 1227 c.c., comma 2, secondo cui il risarcimento del
danno non è dovuto quando il creditore avrebbe potuto evitarlo usando
l’ordinaria diligenza.
Anche su questo punto, insomma, opera l’autonomia dei due giudizi: a)nel
giudizio penale, l’imputato ha diritto di difendersi anche col silenzio e il
mendacio; b) nel giudizio di natura civilistica per la riparazione, il giudice può
valutare il comportamento silenzioso o mendace dell’imputato per escludere il

Spetterà poi allo stesso giudice della riparazione decidere se il silenzio o il
mendacio bastino da soli, o necessitino del concorso di altri elementi di colpa,
per escludere il diritto all’indennizzo. In questo ambito potrà per esempio
valutare se il silenzio ha svolto colposamente un ruolo sinergico nel giustificare
la misura detentiva in quanto ha ritardato l’acquisizione di elementi a discarico.”
Orbene, per il caso di specie, come già evidenziato, l’ordinanza pone in
rilievo unicamente il comportamento non collaborativo del ricorrente ma nulla
dice in ordine alla valenza che esso ha assunto nel provocare,

rectius,

mantenere la custodia cautelare
Se tale è la situazione processuale, ancorché la valutazione del
comportamento doloso o gravemente colposo – come insegna la giurisprudenza
di questa Corte – deve essere formulata ex ante, cioè al momento in cui la
misura custodiale è stata emessa o confermata, non è emerso alcun elemento
per potere affermare che il DI PRIMA abbia nascosto circostanze a sé favorevoli
che avrebbero potuto immediatamente scagionarlo dalla accusa di concorso in
rapina.
Dunque, va censurata la motivazione dell’ordinanza impugnata essendosi
essa adagiata, nel rilevare il comportamento “caratterizzato da spiccata
leggerezza e macroscopica trascuratezza”, sul solo comportamento tenuto dal
ricorrente in sede di interrogatorio nei corso del quale egli ebbe ad avvalersi
della facoltà di non rispondere.
La Corte catanese avrebbe dovuto, nel valorizzare il comportamento
silenzioso del ricorrente, indicare quale circostanza a sé favorevole (emergente
dalle carte processuali, con ovvia valutazione ex post) non è stata riferita tale da
evitare l’emissione della misura restrittiva o, quanto meno, il suo perdurare.

15

suo diritto all’equo indennizzo.

Pertanto, il giudice del rinvio dovrà effettuare tali riscontri, potendo
pervenire ad identica conclusione dell’impugnata sentenza, purché fornisca
adeguata motivazione, seguendo l’iter logico ed i principi di diritto su indicati.
Infatti, in tema di giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di
motivazione, il giudice di rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova
decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Suprema Corte,
ma resta libero di pervenire – sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle
censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già

esclusivamente al giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto
risultanti dalle emergenze processuali, non essendo compito di quest’ultimo
sovrapporre il proprio convincimento a quello del giudice di merito in ordine a
tali aspetti (Cass. sez. 3^, 11 giugno 2004 n. 26380 rv. 228929 fra tante).
Il provvedimento in questione non appare quindi congruamente motivato
e pertanto va annullato con rinvio alla Corte di appello di Catania per un
nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio o peri in nuovo esame falla Corte
d’appello di Catania cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del
presente giudizio.
Così deciso in Roma alla udienza camerale del 12 dicembre 2013.

svolte – allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata. Spetta, infatti,

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA