Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11162 del 27/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 11162 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SGANZERLA BARBARA N. IL 27/03/1974
SGANZERLA ETTORE N. IL 14/06/1946
avverso la sentenza n. 1139/2012 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
03/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 4iv6-eL o DI (2’01’04.0
che ha concluso per
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per la parte civile, ‘Avv

Udit difensor Avv.

e’2L414A”

Data Udienza: 27/02/2014

Ritenuto in fatto

1. Barbara e Ettore Sganzerla venivano tratti a giudizio avanti il Tribunale di
Udine per rispondere del reato p. e p. dagli artt. 113 e 590 cod. pen. perché,
nelle rispettive qualità – la prima di legale rappresentante della Railfer S.r.l.; il
secondo di direttore dell’ufficio di Udine che materialmente dava istruzioni in
ordine alle mansioni da svolgere – creavano un antecedente causale all’infortunio
di Mouaouiya Salah il quale, impiegato nella movimentazione di un convoglio

Partidor, scivolava dal predellino finendo nei binari e sbattendo la testa con ciò
procurandosi una lesione personale consistita nella frattura della seconda
vertebra cervicale e nella lussazione della quarta vertebra cervicale con postumi
invalidanti nella misura del 18%.
Si contestava infatti agli imputati di aver violato le norme poste a tutela
della salute e della sicurezza sul lavoro consentendo che il Mouaouiya svolgesse
attività di manovratore pur essendo privo del prescritto patentino e inoltre
lavorasse in condizioni di estremo sovraccarico venendo impiegato in attività
lavorativa sino a 300 ore mensili (rispetto alle 168 ore mensili previste) e per 14
ore nella giornata precedente l’infortunio, ‘ in violazione del decreto d. Igs. 8
aprile 2003, n. 66

(Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE

concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro).

La responsabilità penale di entrambi i prevenuti, riconosciuta in primo grado,
era confermata dalla Corte d’appello di Trieste, che, disattesi gli appelli proposti
dagli imputati, in accoglimento di quello proposto dal procuratore generale
distrettuale, aumentava la pena inflitta a Sganzerla Ettore revocando nei suoi
confronti la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.

2. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione entrambi gli
imputati, personalmente, sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo motivo deducono vizio di motivazione censurando il
convincimento espresso nella sentenza impugnata secondo cui essi dovevano
ritenersi perfettamente consapevoli della situazione di rischio in cui versava il
lavoratore.
Rilevano che, di contro, dagli atti dibattimentali era emerso come Barbara
Sganzerla avesse ottemperato regolarmente a quanto previsto dall’art. 2087
c.c., alle prescrizioni in materia di sicurezza e prevenzione e non fosse mai
presente nell’unità locale di Udine che era autonomamente gestita. Quanto a
Sganzerla Ettore rilevano che dagli atti emergeva anche che egli non era sempre

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composto da 30 carri merci proveniente dalla fonderia ABS e diretto allo scalo

presente presso lo stabilimento di Udine, e soprattutto non lo era il giorno del
sinistro.
Lamentano che pertanto la motivazione è carente poiché non spiega come
essi avrebbero potuto impedire che il Mouaouiya manovrasse e ancor prima
perché non dà conto di come sarebbe avvenuto l’infortunio, non tenendo in
considerazione in particolare le dichiarazioni del Mouaouiya che dice di essere
scivolato mentre pensava alle etichette, di avere sempre avuto a disposizione i

2.2. Con un secondo motivo deducono violazione di legge penale e
segnatamente degli art. 192, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen., per
essere la condanna fondata su prova indiziaria priva dei necessari requisiti della
gravità, univocità e concordanza e dunque sulla base di elementi inidonei a
giustificarla al di la di ogni ragionevole dubbio.
Sotto altro profilo, con riferimento alla posizione di Sganzerla Ettore,
deducono erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. con riferimento alla revoca
del beneficio della conversione della pena, in quanto disposta sul presupposto di
una precedente condanna per omicidio colposo, senza che fosse prodotta la
relativa sentenza che, secondo il ricorrente, avrebbe meglio chiarito le
circostanze dei fatti, peraltro risalenti nel tempo, e la personalità dell’imputato.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
Le osservazioni dei ricorrenti non scalfiscono l’impostazione della
motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa, ma
appaiono, piuttosto, ripetitive di argomenti, già disattesi in termini congrui e
logici dai giudici di merito.
In particolare, la ricostruzione del fatto risulta incensurabile in questa sede,
non ravvisandosi alcun contrasto disarticolante tra le emergenze processuali e il
ragionamento seguito.
La Corte d’appello, invero, ha dato adeguatamente conto del proprio
convincimento, evidenziando tra l’altro, per quello che qui maggiormente rileva
in relazione agli aspetti della vicenda specificamente investiti dei motivi di
ricorso, che:
– in ordine al rilevante eccesso di ore lavorate e all’assenza di giorni di
riposo, nonché in ordine all’impiego del giorno precedente quello dell’infortunio,
confortano l’ipotesi d’accusa sia gli elementi documentali rimessi agli atti e
relativi ai turni di lavoro e alle presenze, sia le conformi e inequivoche

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presidi antinfortunistici e di non aver mai parlato di stanchezza.

deposizioni della stessa persona offesa nonché dei testi Martinig, Pittino e
Narduzzi;

non è poi contestabile la posizione dell’infortunato al momento

dell’incidente perché, al posto del manovratore e nell’esercizio delle relative
funzioni, era stato visto anche dai testi Pittino e Michelizza; del resto, egli
dichiara di essere scivolato da un predellino del carro di testa che era
appositamente predisposto per il manovratore e che Pittino si era allarmato
proprio perché non sentiva più, via radio, le comunicazioni del Mouaouiya;

locale di Udine e si limitava a compiti meramente amministrativi, non vale ad
escluderne la responsabilità, discendendo essa dalla sua qualifica di datore di
lavoro come tale certamente tenuto a conoscere e governare l’organizzazione del
lavoro e dei turni dei dipendenti, tanto più considerando che la predetta era
perfettamente a conoscenza del dato di causa più rilevante, e cioè del numero
esorbitante di ore lavorate dai dipendenti, se non anche delle loro specifiche
funzioni, posto che i dati le erano direttamente comunicati dall’impiegata
amministrativa Narduzzi Michela, e che sulla base di tali dati erano anche
predisposti i pagamenti dei lavoratori;
– altrettanto deve affermarsi quanto a Sganzerla Ettore atteso che egli, in
quanto direttore dello stabilimento udinese, era proprio colui che materialmente
impartiva le istruzioni ai dipendenti e aveva incaricato la persona offesa di
svolgere quei compiti di manovratore per i quali non era abilitato (testi
Mouaouiya, Pittino e Narduzzi): ad ancor maggior ragione, dunque, non giova
all’imputato la presunta, sua, saltuaria presenza in azienda non essendo
pensabile che una decisione strategica, quale quella di far lavorare i dipendenti
un numero esorbitante di ore e di non concedere riposi non fosse riconducibile
alla società, al datore di lavoro e al di lei padre e direttore di stabilimento,
Sganzerla Ettore.
Con tali ampie e stringenti considerazioni, i motivi di ricorso non si
confrontano minimamente, risolvendosi in buona sostanza nella mera apodittica
negazione della contestata responsabilità penale.

4. Ad analoghi rilievi si espone anche il secondo motivo di ricorso, nella sua
prima parte in sostanza meramente e ancor più sinteticamente ripetitivo della
prima generica censura.
Appare evidente, infatti, che – in mancanza di precisazione del motivo per
cui i vari elementi istruttori raccolti debbano ritenersi dotati di debole valenza
indiziaria ovvero dei motivi per cui il collegamento inferenziale che da essi
conduce il giudice a quo alla affermazione della responsabilità degli imputati

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– la circostanza che Sganzerla Barbara non era quasi mai presente nell’unità

debba ritenersi debole sul piano logico -la dedotta violazione dei canoni di cui
all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. in null’altro si risolva se non in una
generica contestazione del convincimento espresso o, tutt’al più, nella mera
sintetica riproposizione delle medesime prospettazioni difensive già svolte nel
precedente motivo e della cui manifesta infondatezza già s’è detto.
Tanto deve dirsi anche della dedotta violazione della regola di giudizio
dell’oltre il ragionevole dubbio.
Questa invero rappresenta nient’altro che, a contrario, la verifica del grado

ricollega, sulla base delle prove raccolte, il fatto concreto alla ipotizzata
spiegazione causale.
Ed invero, intanto tale ragionamento può ritenersi dotato di elevato grado di
probabilità logica ed in grado pertanto di supportare il convincimento della
sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa dell’imputato ed evento
con «elevato grado di credibilità razionale», in quanto non permanga un «dubbio
ragionevole» (ossia, non meramente congetturale) che l’evento possa essere
stato determinato da una causa diversa.
Né ad una diversa conclusione sul punto può indurre la modifica introdotta
dall’art. 5 della legge 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la sostituzione del
comma 1 dell’art. 533 del codice di procedura penale con la disposizione secondo
cui «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del
reato al di là di ogni ragionevole dubbio».
Secondo l’opinione prevalente in giurisprudenza, infatti, tale novella non ha
avuto sul punto un reale contenuto innovativo, non avendo introdotto un diverso
e più restrittivo criterio di valutazione della prova, essendosi invece limitata a
codificare un principio già desumibile dal sistema, in forza del quale il giudice
può pronunciare sentenza di condanna solo quando non ha ragionevoli dubbi
sulla responsabilità dell’imputato. La novella, dunque, non avrebbe inciso sulla
funzione di controllo del giudice di legittimità che rimarrebbe limitata alla
struttura del discorso giustificativo del provvedimento, con l’impossibilità di
procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza
e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (v., in tal senso, tra le ultime pronunce, Sez. 5, n. 10411
del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579, la quale ha precisato che tale regola di
giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è possibile
escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità; cfr. anche in tal
senso Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, )avad, Rv. 251507).

5. Generica è infine la doglianza in punto di trattamento sanzionatorio, non

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di probabilità logica attribuibile al ragionamento inferenziale con cui il giudice

essendo spiegato per quale motivo la precedente condanna, in sé non
contestata, dovrebbe ritenersi elemento insufficiente a giustificare la risposta
revoca della conversione della pena.

6. Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 27/02/2014

P.Q.M.

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