Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11137 del 09/12/2013
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11137 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: MAGI RAFFAELLO
Data Udienza: 09/12/2013
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI CATANIA
nei confronti di:
TRINGALE GIUSEPPE N. IL 30/03/1970
avverso l’ordinanza n. 688/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
02/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. v< , rt--).c_Q_Ttscit .ja t* / „rue
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Lo Uditi difensor Avv.; ■-e x;re?r0 CA-e ( . rcL Feolox_fg.o,
c4)-(11.9 ; (A-Q co-uc.f-ti o tx RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza emessa in data 3.5.2013 il Tribunale di Catania, decidendo in
sede di riesame ai sensi dell'art. 309 cod.proc.pen., annullava l'ordinanza
cautelare emessa dal GIP del locale Tribunale in data 16.4.2013 nei confronti di
Tringale Giuseppe.
La misura cautelare della custodia in carcere era stata disposta in relazione ad
una imputazione provvisoria di partecipazione ad associazione mafiosa (art. 416 Ad avviso del Tribunale gli elementi posti a carico del Tringale non consentono di
ritenere sussistente - nel senso imposto dall'art. 273 cod. proc. pen. - il grave
quadro indiziario circa l'ipotesi formulata.
In particolare, il Tribunale - dopo aver ritenuto utilizzabili le dichiarazioni in atti si sofferma sulla consistenza dei contributi narrativi provenienti dai collaboranti
Sciacca Salvatore, Riso Carmelo e Mirabile Paolo e ritiene che costoro, pur da
ritenersi attendibili sotto il profilo intrinseco, non hanno introdotto elementi
specifici circa il contributo fornito dal Tringali al gruppo crimonoso, limitandosi ad
affermare in modo del tutto generico l'appartenenza al sodalizio in parola.
Sul punto, va ricordato che :
- Sciacca Salvatore, appartenente al clan in questione, individuava in foto il
Tringale e lo indicava come persona facente parte del clan Santapaola e
stipendiato da tale Enzo (responsabile, quest'ultimo, della zona di via Caduti sul
Lavoro). Ricordava altresì di aver commesso con il Tríngale due furti, uno presso
una ASL ed uno in Lentini, in occasione del quale il Tringale era stato arrestato;
- Riso Carmelo, appartenente ad un gruppo alleato, individuava in foto il Tringale
ed affermava che costui faceva parte del clan Santapaola di Picanello, senza
aggiungere altro;
- Mirabile Paolo, appartenente al clan Santapaola, individuava in foto il Tringale e
affermava che costui era affiliato al gruppo di Picanello. bis cod.pen.), in particolare al clan Santapaola, operante in Catania. In sede di applicazione della misura erano state inoltre valorizzate le seguenti
circostanze :
- risultano controlli su strada del Tringale con altri coindagati;
- il 26 maggio del 2010 Tringale si trovava in compagnia di Nista Carmelo e
Cristaldi Alfio quando costoro si facevano consegnare la somma di 2.500,00 euro
dal titolare di un ristorante sito ad Acicastello. Dalle dichiarazioni rese dalla
persona offesa si era appreso che tale somma era stata consegnata quale
acconto su una annuale estorsione cui l'esercizio era da tempo sottoposto. Pur
consapevole il GIP del fatto che l'arresto del Tringale non era stato convalidato 2 o (e nei suoi confronti il procedimento era stato archiviato) il dato viene ritenuto
significativo in sede applicativa.
Va detto inoltre che il Tringale negava l'addebito, affermava di aver subito un
lungo periodo di detenzione per un omicidio (a suo dire, in realtà non
commesso) e da ciò derivava la sua conoscenza in carcere, in particolare, con
Riso Carmelo. Negava di aver mai percepito uno stipendio da associato e negava
di aver mai avuto frequentazioni per ragioni di comune appartenenza ad un clan
con le persone indicate nei controlli. Tribunale riteneva - anche citando precedenti decisioni di questa Corte - non
sufficiente, ai fini imposti dall'art. 273, la 'nuda' indicazione proveniente dalle
fonti dichiarative in termini di generica partecipazione, in quanto nessuna di
dette fonti aveva in concreto indicato una attività specifica svolta dal Tringale a
vantaggio del sodalizio criminoso.
In tal senso, anche l'indicazione sui due furti proveniente dallo Sciacca non
appariva decisiva, posto che non viene indicata dalla fonte alcuna correlazione
tra dette condotte e le attività del gruppo, così come non potevano esser tratti
elementi probatori dalla vicenda della 'constatata presenza' di Tringale nel
momento in cui Nista e Cristaldi ricevevano nel 2010 il pagamento della rata
estorsiva e ciò in virtù del fatto che in detto procedimento la posizione del
Tringale era stata oggetto di archiviazione, dato che lascia ragionevolmente
presumere una sua sostanziale estraneità al fatto delittuoso (fatto per cui Nista e
Cristaldi risultano condannati).
Circa l'affermazione dello Sciacca, più articolata, ed in particolare sulla ipotesi di
percezione di uno 'stipendio', il Tribunale ritiene che da un lato detta indicazione
anch'essa non risulta precisa (non si specifica chi sia la persona indicata come
Enzo) e che in ogni caso pur ipotizzandosi che la persona indicata come Enzo
fosse Dato Vincenzo, responsabile di zona, l'indicazione restava alquanto
generica, non essendo correlata ad un ruolo svolto, al periodo storico di
riferimento, alla entità della erogazione ed alla fonte di conoscenza del dato
indiziante.
La stessa, pertanto, andava qualificata come elemento non assistito - per tutte le
ragioni esplicate - dal connotato della gravità. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Pubblico
Ministero presso la Procura Distrettuale di Catania, deducendo violazione di legge
e vizio di motivazione.
In sintesi, il ricorrente sostiene che erroneamente, sotto il profilo del metodo, il
Tribunale, nel ritenere assente la gravità indiziaria, avrebbe operato una
3 Nel valutare il materiale dimostrativo - sinteticamente qui richiamato - il parcellizzazione del significato dimostrativo degli elementi raccolti. Inoltre, non
condivisibile risulta essere la scelta del Tribunale di negare decisivo rilievo al
fatto che più dichiaranti hanno affermato l'appartenenza al gruppo del Tringale.
Ciò perchè il tema di prova è rappresentato da siffatta circostanza - appunto
l'appartenenza - e non richiede la verifica di condotte specifiche, espressive di
tale intraneità.
L'organizzazione mafiosa trae alimento anche dalla mera disponibilità dei singoli
aderenti e pertanto la convergente indicazione, sul punto, delle fonti - ritenute
attendibili sotto il profilo intrinseco - comportava la formulazione di un giudizio di gravità indiziaria a carico del Tringale. Inoltre il ricorrente evidenzia che in modo
illogico il Tribunale ha ritenuto non decisiva la circostanza, riferita dallo Sciacca,
di percezione dello stipendio, essendo tale dato particolarmente significativo ed
ha sottovalutato la circostanza della presenza del Tringale con i due esattori della
rata estorsiva nell'episodio del 2010. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi
addotti, tesi altresì a sollecitare una non consentita rivalutazione di profili
attinenti al merito nella presente fase di legittimità.
1.1 Vanno premesse all'esame delle doglianze talune considerazioni di ordine
generale.
La prima riguarda l'ambito del sindacato di questa Corte sui vizi di motivazione
del provvedimento impugnato, rappresentato - nel caso di specie - da una
ordinanza in tema di libertà personale.
Dando ormai per scontata la traduzione della espressione «gravi indizi di
colpevolezza» utilizzata dal legislatore nel corpo dell'art. 273 cod. proc. pen. nel
senso di «elementi di conoscenza idonei a far ragionevolmente presumere, allo
stato degli atti, la qualificata probabilità di condanna» è evidente che non può
venire in rilievo - in quanto tale - in sede di legittimità la violazione della
suddetta norma, quanto l'attribuzione di una effettiva «valenza indiziante» ai
singoli elementi oggetto di valutazione, nell'ambito del percorso giustificativo
della decisione adottata.
Trattasi dunque di esaminare la correttezza dei passaggi argomentativi contenuti
nel provvedimento di merito, anche in rapporto ai contenuti della norma
incriminatrice di riferimento (nel caso di specie rappresentata dall'art. 416-bis
cod. pen.) secondo i canoni imposti dalla norma di cui all'art. 606 comma 1
lettera e), su cui vi è copiosa elaborazione giurisprudenziale maturata in questa
sede.
4 ,2. Va dunque - sia pure in sintesi - ricordato che in sede di controllo sulla
motivazione va realizzata una :
- verifica circa la completezza e globalità della valutazione operata in sede di
merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del
materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le altre, Sez. H n. 9269 del
5.12.2012, Della Costa, Rv. 254871) nè omettere la valutazione di elementi
obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. IV,
n.14732 del 1.3.2011, Molinario, Rv 250133 nonchè Sez. I, n.25117 del - verifica circa l'assenza di evidenti errori nell'applicazione delle regole della
logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda
in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la
formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioè su dati ipotetici e
non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in
Sez. VI n. 6582 del 13.11.2012, Cerrito, Rv 254572 nonchè in Sez. H n. 44048
del 13.10.2009, Cassarino, Rv 245627) ;
- verifica circa l'assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi
momenti di articolazione del giudizio (cd. contradditorietà interna) ;
- verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi
valorizzati nell'ambito del percorso seguito e circa l'assenza di incompatibilità di
detto significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di
ricorso (cd. travisamento della prova) lì dove tali atti siano dotati di una
autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l'intero
ragionamento svolto dal giudicante (in tal senso, ex multis , Sez. I n. 41738 del
19.10.2011, Rv 251516, ove si è precisato, sul punto, che «.. non è, dunque,
sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua
ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nè che siano
astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta
propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l'analisi di un complesso di
elementi di segno non univoco e l'individuazione, nel loro ambito, di quei dati
che - per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti
verso un'unica spiegazione - sono in grado di superare obiezioni e dati di segno
contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la
rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da
lettori razionali del provvedimento. E', invece, necessario che gli atti del processo
richiamati dal ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione
siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto
5 14.7.2006, Stojanovic, Rv 234167) ; dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione..» ).
Al giudice di legittimità resta, pertanto, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di
merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del
fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal
legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti
adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente
acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità
di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla
decisione.
1.2 Ciò premesso, va anche compiuta una considerazione - sia pur sintetica circa il significato da attribuirsi alla nozione normativa di «partecipazione» ad
una associazione avente le caratteristiche descritte dal legislatore all'art. 416-bis
cod. pen., stante la necessità di fissare alcuni concetti utili alla valutazione del
contenuto del ricorso.
E' notorio, infatti, che con la particolare formulazione dell'articolo 416-bis cod.
pen. il legislatore ha adottato un modello descrittivo dell' illecito tratto dalla
concreta esperienza criminologica, essendo stata compiuta una valorizzazione di
taluni elementi caratterizzanti della fattispecie ( in particolare l'avvalersi della
forza di intimidazione del vincolo associativo e delle correlate condizioni di
assoggettamento e di omertà ) desunti da dati «fenomenologici» riscontrati in
alcune realtà territoriali del nostro paese.
Ciò, come rilevato anche in dottrina, ha comportato una sorta di alterazione
dell'ordinario metodo di incriminazione delle fattispecie orientate alla tutela
dell'ordine pubblico (art.416 cod. pen.) e basate sul rilievo penalistico del solo
accordo finalizzato alla commissione indeterminata di delitti (cui si accompagni
un minimum di substrato organizzativo), atteso che il carattere «tipico»
dell'associazione che possa dirsi mafiosa è riscontrabile solo nella misura in cui
all'accordo tra più soggetti sia oggettivamente ricollegabile - per il metodo
operativo seguito, per la qualità soggettiva degli associati, per il radicamento
criminale sul territorio - un concreto effetto di «intimidazione ambientale», tale
da rendere possibile il perseguimento dei particolari fini (alterazione delle regole
del mercato, alterazione dei rapporti tra privati e pubbliche amministrazione
6 esplicativa (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178). nell'aggiudicazione di appalti, o realizzazione di profitti ingiusti mediante lo
svolgimento di attività illecite) previsti dalla norma .
Pur non richiedendo, pertanto, la norma in parola la necessaria consumazione di
delitti-scopo e prevedendo la punibilità anche per le sole condotte associative di
per sé considerate (data la natura di reato di pericolo - sia pure concreto - in
rapporto al bene protetto) , è infatti evidente (ed in tal senso si parla di reato
associativo a struttura mista) che i caratteri tipici dell'associazione in parola,
prima evidenziati, rendono necessario un minimo di operatività o comunque Sez. I n. 35627 del 18.4.2012, Amurri, rv 253457) derivante dal modo di
atteggiarsi o di comportarsi (anche pregresso) da parte di quei soggetti che
rendano con chiarezza riconoscibile all'esterno tale fondamentale caratteristica.
In altre parole, va detto che una associazione può essere qualificata in sede
giudiziaria come «di stampo mafioso» esclusivamente ove risulti che il suo modus operandi sia fortemente caratterizzato da un uso (almeno potenziale)
della violenza o minaccia, tale da generare quel senso di timore e insicurezza per
la propria persona o i propri beni che induce la generalità dei consociati a
piegarsi alle diverse richieste di vantaggi provenienti dagli associati .
Ciò posto, e richiamando i requisiti tipici delle condotte partecipative, va
osservato che negli ormai più di trenta anni di vigenza della fattispecie in parola
la dimensione applicativa ha fortemente risentito, come sovente accade, della
particolarità delle vicende oggetto di giudizio, degli aspetti ambientali correlati
alle stesse e degli specifici materiali dimostrativi portati all'attenzione dei diversi
soggetti giudicanti.
Sul punto, occorre anzitutto ricordare che questa Corte (a partire dalla decisione
Sez. I del 13.6.'87, Altivalle) richiede per la punibilità a titolo di partecipazione la
verifica dimostrativa della ricorrenza di un duplice aspetto : sul terreno
soggettivo va riscontrata l'affectio societatís, ossia la consapevolezza e volontà
del singolo di far parte stabilmente del gruppo criminoso con piena condivisione
dei fini perseguiti e dei metodi utilizzati; sul piano oggettivo, non potendosi
ritenere sufficiente la mera ed astratta «messa a disposizione» delle proprie
energie (dato che ciò, oltre a costituire un dato di notevole evanescenza sul
piano dimostrativo, si porebbe in contrasto con il fondamentale principio di
materialità delle condotte punibili di cui all'art.25 Cost.) va riscontrato in
concreto il «fattivo inserimento» nell'organizzazione criminale, attraverso la
ricostruzione - sia pure per indizi - di un «ruolo» svolto dall'agente o comunque
di singole condotte che - per la loro particolare capacità dimostrativa - possano
essere ritenute quali «indici rivelatori» (mediante l'applicazione di ragionevoli 7 postulano l'esistenza di una concreta carica intimidatoria (sul punto, di recente, massime di esperienza) dell'avvenuto inserimento nella realtà dinamica ed
organizzativa del gruppo.
Così, ben può dirsi che tale «inserimento» prescinde da formalità o riti che lo
ufficializzano, potendo risultare per facta condudentia, attraverso cioè un comportamento che sul piano sintomatico sottolinei la partecipazione, nel senso
della norma, alla vita dell'associazione (Sez. I n. 1470 del 11.12.2007, Addante,
rv 238839 ove si ribadisce che la partecipazione alla associazione di stampo
mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali - sulla base di soggetto al sodalizio, purchè si tratti di indizi gravi e precisi) .
In altre parole, ciò che va ritenuto decisivo ai fini della valutazione in sede
giudiziaria di «appartenenza» ad un gruppo avente le caratteristiche prima
illustrate non è la mera indicazione circa la qualità formale di affiliato (pur se tale
dato costituisce uno dei possibili indizi a carico) quanto la possibilità di attribuire
al soggetto in questione, mediante l'apprezzamento delle specifiche risultanze
probatorie, la realizzazione di un qualsivoglia «apporto» alla vita
dell'associazione, tale da far ritenere avvenuto il suo inserimento con carattere di
stabilità e consapevolezza soggettiva ( tra le altre, Sez. VI, 5.10.2000, Di Carlo,
ove si richiede espressamente l'individuazione, da parte del giudice di merito, di
puntuali e pertinenti elementi di fatto, logicamente indicativi di un perdurante
inserimento dell'imputato nella organizzazione mafiosa, atteso che al fine della
affermazione di penale responsabilità non rilevano mere situazioni di status, ma
la fattiva partecipazione del soggetto ad un sodalizio, nonchè la compiuta
definizione espressa da Sez. U. n. 33748 del 12.7.2005, Mannino, rv 231670 per
cui la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di
stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale
da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e
funzionale, in esplicazione del quale l'interessato «prende parte» al fenomeno
associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni
fini criminosi).
Ciò tuttavia, è bene ribadirlo, non comporta certo l'adesione ad un pieno modello
«causale» di definizione della partecipazione, analogo a quello elaborato in sede
di definizione della punibilità del concorso esterno nel reato associativo.
In effetti va precisato che il comportamento - di volta in volta - elevato ad
«indice rivelatore» del fatto punibile, che qui resta l' avvenuto inserimento del
soggetto nel gruppo criminoso in modo stabile, non deve necessariamente
possedere - di per sé - una elevata carica di apporto causale alla vita dell'intera
associazione (potendo consistere anche in un contributo di carattere morale e
psichico, se oggettivamente apprezzabile, come ritenuto da Sez. I n. 6819 del
8 attendibili regole di esperienza - possa logicamente inferirsi l'appartenenza del 31.1.2013, Fusco, rv 254503) atteso che lo stesso funge - a ben vedere - da
elemento «visibile» della esistenza del rapporto posto a monte, intercorso tra il
soggetto e il gruppo, che resta l'oggetto specifico della dimostrazione.
In tal senso, risulta condivisibile l'approdo cui è di recente pervenuta, sul tema,
la decisione Sez. VI n. 38117 del 9.7.2013, rv 256334 che richiede in sede
cautelare - ed al fine di ritenere integrato il presupposto della gravità indiziaria l'esistenza, tra le plurime dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, di
almeno una che tra esse risulti indicativa di atti o comportamenti che, seppure indicativi del consapevole apporto dell'accusato al perseguimento degli interessi
della consorteria. La ricostruzione indiziaria, infatti, al di là delle generiche
indicazioni di «appartenenza» provenienti da soggetti ritenuti inclusi nel gruppo che pure possono svolgere funzione ausiliaria di riscontro, lì dove convergenti nel
loro nucleo essenziale - si alimenta necessariamente di un dato cognitivo capace
di illustrare almeno una condotta specifica, rivelatrice (sul piano logico) della
esistenza dello stabile rapporto tra il soggetto ed il gruppo di riferimento.
1.3 Il provvedimento impugnato fa corretta applicazione dei suddetti principi e
non contiene lacune in punto di completezza e logicità della motivazione.
La decisione, infatti, esamina i contenuti apportati dalle fonti dichiarative ma li
ritiene generici, non essendo possibile dedurre da ciascuna delle fonti
considerate lo svolgimento di una specifica attività, indicativa di un ruolo svolto
dal Tringale nei descritto sodalizio.
La mera indicazione di «appartenenza» non consente, come si è notato, di
ritenere sussistente il presupposto della gravità indiziaria, posto che detta
espressione rappresenta, per comune logica, una sintesi verbale che deve poter
essere apprezzata in concreto attraverso la ricostruzione, almeno, di un
comportamento indicativo dell'avvenuto inserimento nel gruppo. In caso
contrario l'accertamento del fatto di reato verrebbe illegittimamente 'traslato'
sulle incontrollabili opzioni linguistiche ed espressive dei singoli collaboranti, non
verificabili in concreto perchè sprovviste di riferimenti a singole condotte
rivelatrici.
Coerenti, dunque, sono le considerazioni esposte nell'ordinanza, che resistono
alle critiche mosse nel ricorso, tese a ottenere, sul punto, una nuova valutazione
di aspetti già trattati.
L'unico dato con effettiva portata indiziante - nei sensi qui precisati - risulta
quello apportato dallo Sciacca, che parla di una percezione dello stipendio da
parte del Tringale.
Tuttavia tale emergenza non è sottovalutata dal Tribunale che nel prenderla in
considerazione ne evidenzia - in modo pienamente logico - i limiti dimostrativi,
9 non necessariamente forniti di autonoma rilevanza penale, risultino comunque anche in rapporto alla genericità dei contenuti ed alla imprecisione del
riferimento circa le modalità di corresponsione.
Trattasi di valutazione di «peso dimostrativo» che non apparendo viziata da
fallacia percettiva risulta insindacabile nella presente sede di legittimità.
Anche l'ulteriore dato della 'presenza' del Tringale nell'occasione della condotta
illecita posta in essere da Nista Carmelo e Cristaldi Alfio nel maggio del 2010
risulta scrutinato dal Tribunale in modo non incoerente, atteso che detta
presenza si presta a più di una lettura e gli esiti del procedimento penale già Va pertanto dichiarata l'inammissibilità del ricorso. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 9 dicembre 2013 Il Consigliere estensore Il Presidente celebrato a carico del Nista e del Cristaldi ne ha escluso la rilevanza.