Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11136 del 09/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 11136 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BATTIATO DAVIDE N. IL 12/07/1973
avverso l’ordinanza n. 766/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
08/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. K • -7.XA.7122.: c,tAst.

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Data Udienza: 09/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 8.5.2013 il Tribunale di Catania, decidendo in
sede di riesame ai sensi dell’art. 309 cod.proc.pen., confermava l’ordinanza
cautelare emessa dal GIP del locale Tribunale in data 8.4.2013 nei confronti di
Battiato Davide.
La misura cautelare della custodia in carcere risulta disposta in relazione ad
imputazione provvisoria di partecipazione ad associazione mafiosa (art. 416 bis
cod.pen.), in particolare al clan Santapaola, operante in Catania.

Rosario Tripoto nel periodo in cui era detenuto Cristaldi Venerando.
Il Tribunale, nel ripercorrere i contenuti dell’ordinanza e nel valutare le doglianze
difensive osserva, in sintesi, che :
– non vi è dubbio alcuno circa l’esistenza e l’operatività della organizzazione
mafiosa denominata clan Santapaola, attiva nella provincia di Catania, in
riferimento ai contenuti di numerose decisioni giudiziarie, per lo più irrevocabili;
– in tale contesto, risultano acquisite recenti dichiarazioni di soggetti inseriti
stabilmente in tale organismo criminoso che hanno avviato il percorso di
collaborazione con l’autorità giudiziaria ;
– tra questi, diversi collaboranti hanno indicato Battiato Davide come
componente stabile del gruppo di Picanello, evidenziando -alcuni- che in diverse
occasioni il Battiato accompagnava il reggente Tripoto Rosario ad incontri con
altri esponenti dell’organizzazione mafiosa.
In particolare, il Tribunale fa riferimento ai contenuti dichiarativi resi da
Barbagallo Ignazio, Riso Carmelo, Pappalardo Filippo Santo, Sciacca Mario e
Scollo Antonino e ne analizza la portata indiziante.
Barbagallo Ignazio, soggetto tratto in arresto in data 8 ottobre 2009 a seguito
dell’irruzione dei carabinieri in un luogo – l’abitazione di tal Botta Antonino – ove
si svolgeva un vero e proprio ‘summit’ tra i responsabili di diverse famiglie
mafiose (erano presenti diversi latitanti, tra cui La Causa Santo, Puglisi Carmelo,
lo stesso Tripoto Rosario, Cristaldi Venerando ed altri) ha indicato
nell’interrogatorio reso in data 4 maggio 2011 Battiato Davide come affiliato del
gruppo di Picanello, da lui già conosciuto nel 2005, che era solito accompagnare
Rosario Tripoto ad appuntamenti. Anche in data 8 ottobre 2009 sarebbe stato
proprio Battiato – a dire del Barbagallo – ad accompagnare il Tripoto in località
Mascalucia in un locale dove Tripoto aveva appuntamento con il Barbagallo per
poi recarsi presso l’abitazione del Botta.
Riso Carmelo, soggetto incluso nel clan Laudani, alleato dei Santapaola, indicava
Battiato come un ragazzo che faceva parte del gruppo di Rosario Tripoto e

2

In tale ambito, il Battiato risulterebbe inserito nel gruppo di Picanello, retto da

aggiungeva che ricordava di averlo visto .. ogni qualvolta si incontrava con

Rosario Tripoto e Melo Salemi .. .
Pappalardo Filippo Santo, Sciacca Mario e Scollo Antonino indicavano
genericamente il Battiato come componente del gruppo di Picanello e non
offrivano ulteriori dettagli sul ruolo svolto.
Nel valutare i dati conoscitivi, il Tribunale si soffermava in particolare sui
contributi offerti da Barbagallo e Riso.
Ciò perchè tali contributi – provenienti da soggetti di certo inclusi nella

di ‘appartenenza’ ma individuavano un significativo ‘ruolo’ svolto nel corso del
tempo dal Battiato e consistente nell’accompagnare Tripoto Rosario ad incontri
con altri affiliati, anche di gruppi diversi ma collegati .
La ritenuta convergenza tra tali dichiarazioni porta a considerare presente a
carico del Battiato la gravità indiziaria, e ciò anche in relazione al fatto che
Rosario Tripoto non è un comune affiliato ma viene ritenuto – da numerose fonti
– il reggente del gruppo di Picanello, articolazione del più vasto clan Santapaola
(almeno, come si è detto, nel periodo di detenzione del Cristaldi).
Trattasi dunque, ad avviso del Tribunale, di una condotta concreta e indicativa
dell’appartenenza, in ciò ritenendosi di aderire ai più recenti orientamenti
giurisprudenziali in tema di identificazione della condotta partecipativa.
Inoltre, il Tribunale evidenziava che le dichiarazioni rese da Barbagallo e Riso
trovavano ulteriore riscontro nell’esistenza di numerosi controlli attestanti la
frequentazione tra Battiato ed altri coindagati, tra cui in particolare – nel 2005 quelli con Tripoto e Salemi (in tre occasioni).
Veniva inoltre non ritenuta significativa – circa lo specifico episodio del giorno 8
ottobre 2009 – la circostanza, rappresentata dalla difesa, dell’essere il Battiato in
tale periodo sottoposto alla misura di prevenzione personale, con sospensione
della patente di guida. Ciò sia perchè, sul piano logico, l’assenza di titolo
abilitativo non impediva di guidare l’auto in ciò trasgredendo il divieto, sia perchè
risulta in atti una condanna del Battiato per guida senza patente avvenuta il
21.7.2008, a conferma della tendenza violatrice.
Il Tribunale si sofferma anche sulla assoluzione del Battiato da analoga
contestazione, intervenuta nel 2006 per condotte poste in essere sino al gennaio
2003 ma ritiene che le fonti qui indicate, ed in particolare Barbagallo e Riso,
apportino dati di conoscenza relativi a periodo successivo (vengono invece
ritenute non successive al 2003 le informazioni rese da Sciacca e Pappalardo).
Le esigenze cautelari, peraltro oggetto di presunzione normativa che non veniva
contrastata da significativi elementi, risultavano rafforzate dalla considerazione

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organizzazione mafiosa – rappresentavano non soltanto una generica indicazione

dei diversi precedenti penali posti a carico del Battiato (anche per estorsione e
associazione semplice).

2. Ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – Battiato Davide,
articolando un unico motivo con cui si deduce vizio di motivazione dell’ordinanza
impugnata.
Ad avviso del ricorrente, pur riducendo il Tribunale l’importanza del contributo
degli altri collaboranti e valorizzando in chiave indiziaria le dichiarazioni dei soli

Ciò perchè manca l’illustrazione critica delle ragioni di attendibilità soggettiva di
tali dichiaranti, da ritenersi adempimento preliminare rispetto all’esame del
contenuto delle dichiarazioni, ed inoltre vi sarebbero motivi per dubitare della
stessa affidabilità delle dichiarazioni.
Quanto a Barbagallo, infatti, il ricorrente evidenzia che costui, tratto in arresto
nel maggio 2009, nei precedenti interrogatori dell’ottobre e del novembre 2009
non aveva indicato il Battiato nè aveva riferito circa il suo ruolo di
accompagnatore del Tripoto il giorno del famoso ‘summit’ .
Anzi, a specifica domanda aveva in tali interrogatori riferito che era stato lui a
condurre le persone sul posto. Da ciò emergerebbe un concreto sospetto di
inattendibilità che il Tribunale, pur messo a conoscenza del dato, non ha
esaminato.
Quanto alle dichiarazioni rese dal Riso, se ne contesta l’interpretazione fornita
dal Tribunale e si denunzia un vero e proprio travisamento della prova. Ciò
perchè il Riso non avrebbe parlato di ‘accompagnamenti’ effettuati dal Battiato
ma più semplicemente ha riferito di averlo ‘visto’ quando si incontrava con il
Tripoto. Detti incontri avvenivano in un bar e pertanto la presenza in tale luogo
del Battiato non poteva dirsi significativa. Non vi era peraltro alcun riferimento
temporale nelle dichiarazioni del Riso e pertanto non vi è la prova che tali
incontri fossero successivi al 2003, periodo già coperto dalla assoluzione del
Battiato.
Nell’illustrare inoltre il contenuto specifico del verbale redatto in sede di ascolto
del Riso, il ricorrente evidenzia che vi è una sospetta progressione circa il
contenuto delle informazioni rese, posto che in un primo momento il Riso si era
espresso in termini dubitativi sulla effettiva conoscenza. Vi è inoltre una
consistente diversità tra i contenuti che emergono dalla trascrizione e la
verbalizzazione sintetica, illustrata puntualmente nel ricorso.

4

o

Barbagallo e Riso, la valutazione è errata e incompleta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi
addotti, tesi peraltro a sollecitare una non consentita rivalutazione di profili
attinenti al merito.
1.1 Vanno premesse all’esame delle doglianze talune considerazioni di ordine
generale.
La prima riguarda l’ambito del sindacato di questa Corte sui vizi di motivazione

ordinanza in tema di libertà personale.
Dando ormai per scontata la traduzione della espressione «gravi indizi di
colpevolezza» utilizzata dal legislatore nel corpo dell’art. 273 cod. proc. pen. nel
senso di «elementi di conoscenza idonei a far ragionevolmente presumere, allo
stato degli atti, la qualificata probabilità di condanna» è evidente che non può
venire in rilievo – in quanto tale – in sede di legittimità la violazione della
suddetta norma, quanto l’attribuzione di una effettiva «valenza indiziante» ai
singoli elementi oggetto di valutazione, nell’ambito del percorso giustificativo
della decisione adottata.
Trattasi dunque di esaminare la correttezza dei passaggi argomentativi contenuti
nel provvedimento di merito, anche in rapporto ai contenuti della norma
incriminatrice di riferimento (nel caso di specie rappresentata dall’art. 416-bis
cod. pen.) secondo i canoni imposti dalla norma di cui all’art. 606 comma 1
lettera e), su cui vi è copiosa elaborazione giurisprudenziale maturata in questa
sede.
Va dunque – sia pure in sintesi – ricordato che in sede di controllo sulla
motivazione va realizzata una :
– verifica circa la completezza e globalità della valutazione operata in sede di
merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del
materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le altre, Sez. H n. 9269 del
5.12.2012, Della Costa, Rv. 254871) nè omettere la valutazione di elementi
obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. IV,
n.14732 del 1.3.2011, Molinario, Rv 250133 nonchè Sez. I, n.25117 del
14.7.2006, Stojanovic, Rv 234167) ;
– verifica circa l’assenza di evidenti errori nell’applicazione delle regole della
logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda
in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la
formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioè su dati ipotetici e
non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in

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del provvedimento impugnato, rappresentato – nel caso di specie – da una

Sez. VI n. 6582 del 13.11.2012, Cerrito, Rv 254572 nonchè in Sez. H n. 44048
del 13.10.2009, Cassarino, Rv 245627) ;
– verifica circa l’assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi
momenti di articolazione del giudizio (cd. contradditorietà interna) ;
– verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi
valorizzati nell’ambito del percorso seguito e circa l’assenza di incompatibilità di
detto significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di
ricorso (cd. travisamento della prova) lì dove tali atti siano dotati di una

ragionamento svolto dal giudicante (in tal senso, ex multis , Sez. I n. 41738 del
19.10.2011, Rv 251516, ove si è precisato, sul punto, che «.. non è, dunque,
sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente

contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua
ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nè che siano
astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta
propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di
elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati
che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti
verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno
contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la
rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da
lettori razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del processo
richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione
siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto
dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione..» ).
Al giudice di legittimità resta, pertanto, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di
merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178).
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal
legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti
adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente
acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità
6

autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l’intero

di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla
decisione.
1.2 Ciò premesso, va anche compiuta una considerazione – sia pur sintetica circa il significato da attribuirsi alla nozione normativa di «partecipazione» ad
una associazione avente le caratteristiche descritte dal legislatore all’art. 416-bis
cod. pen., stante la necessità di fissare alcuni concetti utili alla ricostruzione della
posizione del ricorrente.
E’ notorio, infatti, che con la particolare formulazione dell’articolo 416-bis cod.

concreta esperienza criminologica, essendo stata compiuta una valorizzazione di
taluni elementi caratterizzanti della fattispecie ( in particolare l’avvalersi della
forza di intimidazione del vincolo associativo e delle correlate condizioni di
assoggettamento e di omertà ) desunti da dati «fenomenologici» riscontrati in
alcune realtà territoriali del nostro paese.
Ciò, come rilevato anche in dottrina, ha comportato una sorta di alterazione
dell’ordinario metodo di incriminazione delle fattispecie orientate alla tutela
dell’ordine pubblico (art.416 cod. pen.) e basate sul rilievo penalistico del solo
accordo finalizzato alla commissione indeterminata di delitti (cui si accompagni
un minimum di substrato organizzativo), atteso che il carattere «tipico»
dell’associazione che possa dirsi mafiosa è riscontrabile solo nella misura in cui
all’accordo tra più soggetti sia oggettivamente ricollegabile – per il metodo
operativo seguito, per la qualità soggettiva degli associati, per il radicamento
criminale sul territorio – un concreto effetto di «intimidazione ambientale», tale
da rendere possibile il perseguimento dei particolari fini (alterazione delle regole
del mercato, alterazione dei rapporti tra privati e pubbliche amministrazione
nell’aggiudicazione di appalti, o realizzazione di profitti ingiusti mediante lo
svolgimento di attività illecite) previsti dalla norma .
Pur non richiedendo, pertanto, la norma in parola la necessaria consumazione di
delitti-scopo e prevedendo la punibilità anche per le sole condotte associative di
per sé considerate (data la natura di reato di pericolo – sia pure concreto – in
rapporto al bene protetto) , è infatti evidente (ed in tal senso si parla di reato
associativo a struttura mista) che i caratteri tipici dell’associazione in parola,
prima evidenziati, rendono necessario un minimo di operatività o comunque
postulano l’esistenza di una concreta carica intimidatoria (sul punto, di recente,
Sez. I n. 35627 del 18.4.2012, Amurri, rv 253457) derivante dal modo di
atteggiarsi o di comportarsi (anche pregresso) da parte di quei soggetti che
rendano con chiarezza riconoscibile all’esterno tale fondamentale caratteristica.
In altre parole, va detto che una associazione può essere qualificata in sede
giudiziaria come «di stampo mafioso» esclusivamente ove risulti che il suo
7

pen. il legislatore ha adottato un modello descrittivo dell’ illecito tratto dalla

modus operandi sia fortemente caratterizzato da un uso (almeno potenziale)
della violenza o minaccia, tale da generare quel senso di timore e insicurezza per
la propria persona o i propri beni che induce la generalità dei consociati a
piegarsi alle diverse richieste di vantaggi provenienti dagli associati .
Ciò posto, e richiamando i requisiti tipici delle condotte partecipative, va
osservato che negli ormai più di trenta anni di vigenza della fattispecie in parola
la dimensione applicativa ha fortemente risentito, come sovente accade, della
particolarità delle vicende oggetto di giudizio, degli aspetti ambientali correlati

soggetti giudicanti.
Sul punto, occorre anzitutto ricordare che questa Corte (a partire dalla decisione
Sez. I del 13.6.’87, Altivalle) richiede per la punibilità a titolo di partecipazione la
verifica dimostrativa della ricorrenza di un duplice aspetto : sul terreno
soggettivo va riscontrata l’affectio societatis, ossia la consapevolezza e volontà
del singolo di far parte stabilmente del gruppo criminoso con piena condivisione
dei fini perseguiti e dei metodi utilizzati; sul piano oggettivo, non potendosi
ritenere sufficiente la mera ed astratta «messa a disposizione» delle proprie
energie (dato che ciò, oltre a costituire un dato di notevole evanescenza sul
piano dimostrativo, si porebbe in contrasto con il fondamentale principio di
materialità delle condotte punibili di cui all’art.25 Cost.) va riscontrato in
concreto il «fattivo inserimento» nell’organizzazione criminale, attraverso la
ricostruzione – sia pure per indizi – di un «ruolo» svolto dall’agente o comunque
di singole condotte che – per la loro particolare capacità dimostrativa – possano
essere ritenute quali «indici rivelatori» (mediante l’applicazione di ragionevoli
massime di esperienza) dell’avvenuto inserimento nella realtà dinamica ed
organizzativa del gruppo.
Così, ben può dirsi che tale «inserimento» prescinde da formalità o riti che lo
ufficializzano, potendo risultare per

facta condudentia, attraverso cioè un

comportamento che sul piano sintomatico sottolinei la partecipazione, nel senso
della norma, alla vita dell’associazione (Sez. I n. 1470 del 11.12.2007, Addante,
rv 238839 ove si ribadisce che la partecipazione alla associazione di stampo
mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali – sulla base di
attendibili regole di esperienza – possa logicamente inferirsi l’appartenenza del
soggetto al sodalizio, purchè si tratti di indizi gravi e precisi) .
In altre parole, ciò che va ritenuto decisivo ai fini della valutazione in sede
giudiziaria di «appartenenza» ad un gruppo avente le caratteristiche prima
illustrate non è la mera indicazione circa la qualità formale di affiliato (pur se tale
dato costituisce uno dei possibili indizi a carico) quanto la possibilità di attribuire
al soggetto in questione, mediante l’apprezzamento delle specifiche risultanze
8

alle stesse e degli specifici materiali dimostrativi portati all’attenzione dei diversi

probatorie, la realizzazione di un qualsivoglia «apporto» alla vita
dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il suo inserimento con carattere di
stabilità e consapevolezza soggettiva ( tra le altre, Sez. VI, 5.10.2000, Di Carlo,
ove si richiede espressamente l’individuazione, da parte del giudice di merito, di
puntuali e pertinenti elementi di fatto, logicamente indicativi di un perdurante
inserimento dell’imputato nella organizzazione mafiosa, atteso che al fine della
affermazione di penale responsabilità non rilevano mere situazioni di status, ma
la fattiva partecipazione del soggetto ad un sodalizio, nonchè la compiuta

cui la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di
stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale
da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e
funzionale, in esplicazione del quale l’interessato «prende parte» al fenomeno
associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni
fini criminosi).
Ciò tuttavia, è bene ribadirlo, non comporta certo l’adesione ad un pieno modello
«causale» di definizione della partecipazione, analogo a quello elaborato in sede
di definizione della punibilità del concorso esterno nel reato associativo.
In effetti va precisato che il comportamento – di volta in volta – elevato ad
«indice rivelatore» del fatto punibile, che qui resta l’ avvenuto inserimento del
soggetto nel gruppo criminoso in modo stabile, non deve necessariamente
possedere – di per sé – una elevata carica di apporto causale alla vita dell’intera
associazione (potendo consistere anche in un contributo di carattere morale e
psichico, se oggettivamente apprezzabile, come ritenuto da Sez. I n. 6819 del
31.1.2013, Fusco, rv 254503) atteso che lo stesso funge – a ben vedere – da
elemento «visibile» della esistenza del rapporto posto a monte, intercorso tra il
soggetto e il gruppo, che resta l’oggetto specifico della dimostrazione.
In tal senso, risulta condivisibile l’approdo cui è di recente pervenuta, sul tema,
la decisione Sez. VI n. 38117 del 9.7.2013, rv 256334 che richiede in sede
cautelare – ed al fine di ritenere integrato il presupposto della gravità indiziaria l’esistenza, tra le plurime dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, di
almeno una che tra esse risulti indicativa di atti o comportamenti che, seppure
non necessariamente forniti di autonoma rilevanza penale, risultino comunque
indicativi del consapevole apporto dell’accusato al perseguimento degli interessi
della consorteria. La ricostruzione indiziaria, infatti, al di là delle generiche
indicazioni di «appartenenza» provenienti da soggetti ritenuti inclusi nel gruppo che pure possono svolgere funzione ausiliaria di riscontro, lì dove convergenti nel
loro nucleo essenziale – si alimenta necessariamente di un dato cognitivo capace

9

definizione espressa da Sez. U. n. 33748 del 12.7.2005, Mannino, rv 231670 per

di illustrare almeno una condotta specifica, rivelatrice (sul piano logico) della
esistenza dello stabile rapporto tra il soggetto ed il gruppo di riferimento.
1.3 La decisione impugnata fa corretta applicazione dei principi di diritto e delle
regole valutative sin qui esposte e non risulta affetta da alcun vizio in punto di
completezza e logicità dei passaggi argomentativi.
Va infatti osservato che la ricostruzione – sulla base dei contributi probatori
offerti, in particolare, dai collaboranti Barbagallo e Riso – di uno specifico e
significativo ‘ruolo’ svolto dal Battiato, anche in epoca successiva al 2003,

Risulta inoltre rispondente ai contenuti di una corretta massima di esperienza la
considerazione per cui chi «accompagna» o comunque si intrattiene (anche
durante incontri svolti con altre persone appartenenti al clan) con un soggetto
concordemente indicato – in un certo periodo – come il «reggente» di una
articolazione del gruppo criminoso è da ritenersi persona stabilmente inclusa nel
gruppo medesimo e ciò in rapporto alla ragionevole esclusione dell’ipotesi di
svolgimento di detto ruolo da parte di persone che non godano della massima
fiducia in punto di affidabilità associativa.
Il reggente è infatti soggetto esposto a pericoli sia in punto di identificazione da
parte delle forze dell’ordine che in tema di ritorsioni o contrasti interni alla realtà
mafiosa ed ha necessità di servirsi di soggetti di provata affidabilità e
riservatezza.
Nè possono accogliersi le richieste difensive di «rilettura» dei dati probatori
esposti nel provvedimento, sia in ragione dei limiti ontologici della fase di
legittimità, già richiamati, che in virtù della logicità e coerenza della motivazione
esposta.
Non risultano contraddittorie le affermazioni rese, in particolare, dal Barbagallo
posto che costui – tratto in arresto proprio durante lo svolgimento della riunione
dell’ottobre 2009 e dunque dotato di elevata attendibilità intrinseca – ha in realtà
precisato un ‘segmento’ della condotta (incontro nel locale con il Tripoto
accompagnato in tale occasione dal Battiato) che si sarebbe verificato
immediatamente prima del suo recarsi, unitamente al Tripoto, presso l’abitazione
ove doveva svolgersi l’incontro.
Dunque non è esatto sostenere che il Barbagallo abbia offerto versioni diverse,
perchè la condotta del Battiato, come si è detto, è strumentale al trasferimento
del Tripoto in Mascalucia ma non direttamente presso l’abitazione del Botta
Antonino, ove il Tripoto si recò in compagnia del solo Barbagallo, per come
emerge dalla motivazione dell’ordinanza impugnata.
Nè sussistono vizi logici o travisamenti nella valutazione del contributo
dichiarativo proveniente da Riso Carmelo.
10

rassicura circa la piena aderenza ai canoni sopra richiamati.

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, lì

7 MAR. 2014 ,

Nella valutazione delle dichiarazioni in parola si è infatti tratto un logico coronario
a quanto descritto dal dichiarante, in virtù del fatto che la presenza fisica del
Battiato agli incontri intrattenuti tra il Tripoto e gli esponenti del gruppo alleato
dei Laudani è stata ritenuta indicativa anch’essa del ruolo di ‘accompagnatore’
svolto dal Battiato, a riscontro delle affermazioni rese dal Barbagallo.
Anche tale affermazione corrisponlk a corretti passaggi inferenziali, posto che
detti incontri includevano la necessità per il Tripoto di spostarsi e la presenza del
Battiato (su cui riferisce il secondo dichiarante) risulta confermativa della sua

Le ulteriori deduzioni svolte dal ricorrente riguardano l’apprezzamento delle
modalità di formazione della provvista dichiarativa, tipica operazione riservata al
giudice del merito, in assenza di vizi tipici degli atti di riferimento.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al
pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in
favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro
1,000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di euro 1.000,00 a favore della cassa delle
ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p. comma 1
ter.

Così deciso il 9 dicembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

disponibilità a svolgere tale compito.

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