Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11130 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 11130 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
TORINO
nei confronti di:
EBOSELE STANLEY N. IL 06/12/1984
avverso l’ordinanza n. 369/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del
15/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONJ;
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Uditi l.ffensor Avv.;

Data Udienza: 26/11/2013

nRitenuto in fatto

1.Con ordinanza emessa in data 15 febbraio 2013 la Corte di Appello di Torino,
pronunciando quale giudice dell’esecuzione, revocava la sentenza di condanna
pronunciata nei confronti di Stanley Ebosele dal Tribunale di Torino in data 29/11/2004,
irrevocabile il 14/1/2005, per il reato di cui all’art. 6 D.Lgs. n. 286/98, comma terzo,
perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed eliminava la relativa pena di
giorni venti di reclusione ed euro 200,00 di multa.

parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione della sentenza n. 16453 del
24/2/2011, secondo la quale, per effetto della modifica della norma incriminatrice
dell’art. 6 co. 3 D. L.vo 286/98, operata dalla legge n. 94/2009, il reato di
inottemperanza all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di
identificazione e del permesso di soggiorno è configurabile soltanto nei confronti dei
soggetti stranieri, presenti regolarmente nel territorio nazionale, con la conseguente
“abolitio criminis” per gli stranieri in posizione clandestina. Al riguardo ha ritenuto non
pertinente il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 230 del 2012, che ha
dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 673 cod. proc.
pen. relativamente all’ipotesi di revoca della sentenza di condanna irrevocabile per il
reato di cui all’art. 6, comma 3, D.Igs. n. 286/98, commesso dopo l’entrata in vigore
della legge n. 94/2009 e non prima, come nel caso preso in esame.
2.Avverso siffatto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino per chiederne l’annullamento
per erronea applicazione dell’art. 2 cod. pen. e dell’art. 673 cod. proc. pen.. Secondo il
ricorrente, il giudice dell’esecuzione ha erroneamente applicato il disposto dell’art. 2
cod. pen. al caso dell’istante, nonostante costui fosse stato giudicato con sentenza
irrevocabile per reato commesso in data antecedente all’entrata in vigore della legge n.
94/2009, esprimendo determinazione contraria alle indicazioni offerte dalla sentenza n.
230/2012 della Corte Costituzionale, secondo la quale la nuova legge n. 94/2009 non
aveva operato effetti abrogativi della norma incriminatrice di cui all’art. 6 comma 3
D.Igs. n. 286/98, ma era stata ritenuta abrogante la fattispecie di reato ivi prevista a
carico degli stranieri irregolari nel contesto della valutazione interpretativa delle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione, con la conseguente non revocabilità delle sentenze di
condanna, divenute irrevocabili dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina e prima
dell’intervento giurisprudenziale, peraltro non vincolante e quindi inidoneo ad intaccare
il giudicato. Pertanto, se l’assunto della Consulta era valido e se la legge 94/2009 non
era abrogatrice, nessuna sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 6, comma 3,
poteva essere revocata, a prescindere che il fatto fosse stato commesso prima, oppure
dopo la vigenza della legge n. 94/2009.
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1.1 Quel Collegio fondava la decisione sul rilievo dell’intervenuta pronuncia da

3. Con requisitoria scritta depositata il 28 giugno 2013 il Procuratore Generale
presso la Corte di Cassazione, dr. Francesco Mauro Iacoviello ha chiesto il rigetto del
ricorso e, in subordine, la rimessione della questione alle Sezioni Unite per l’importanza
della questione proposta. Ha evidenziato al riguardo la diversità rispetto al presente del
caso affrontato dalla Corte Costituzione, caratterizzato da una successione, non di leggi,
ma di interpretazioni giurisprudenziali della medesima norma e che la Consulta non
aveva escluso la conformità a costituzione di un’interpretazione del disposto dell’art.
673 cod. proc. pen. che ammettesse la revoca del giudicato anche a fronte di un

4. Con memoria pervenuta in data 8 novembre 2013 la difesa ha proposto delle
note di replica al ricorso, di cui ha chiesto il rigetto, rilevando che il caso correttamente
risolto con il provvedimento impugnato riguardava un illecito commesso anteriormente
alla modifica normativa introdotta dalla legge n. 94/2009, non in posteriormente, per
cui differiva da quello per il quale era intervenuta la pronuncia della Corte
Costituzionale, richiamata dal ricorrente.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.11 giudice dell’esecuzione, in applicazione della disposizione di cui all’art. 673
cod. proc. pen., ha correttamente proceduto alla revoca della sentenza di condanna,
pronunciata nei confronti dell’Ebosele in ordine alla violazione dell’art. 6, comma terzo,
D.L.vo n. 286/98, commessa in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 94
del 15/7/2009, che ha novellato la formulazione dello stesso art. 6.
1.1 E’ noto che il nuovo testo di tale norma, introdotto dall’art. 1, comma 22, lett.
h), legge 15/07/2009, n. 94, sanziona l’inottemperanza dello straniero all’ordine degli
ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza di esibire congiuntamente sia il passaporto, o
altro documento di identificazione, sia il permesso di soggiorno o altro titolo legittimante
la presenza nel territorio dello Stato, venendo a configurare una fattispecie penale che

mutamento di orientamento giurisprudenziale.

può essere commessa soltanto dal cittadino straniero regolarmente presente, unico
avente a disposizione e nella possibilità materiale di esibire i documenti richiestigli. “A
contrariis” è evincibile che lo straniero clandestino, giunto o trattenutosi nel paese in
modo irregolare, per la sua condizione personale, non può essere dotato di passaporto e
del permesso di soggiorno e non è destinatario del precetto, la cui violazione integra
l’ipotesi di reato in esame. In tal senso si sono pronunciate le Sezioni Unite di questa
Corte con la sentenza n. 16453 del 24/02/2011, P.M. in proc. Alacev, rv. 249546,
chiamate a dirimere un contrasto interno alla prima sezione penale, secondo le quali,
poiché il testo vigente prevede congiuntamente e non alternativamente l’obbligo di
esibizione di documento di identità e di titolo di soggiorno, “il reato di inottemperanza
all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del

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._

permesso di soggiorno o dell’attestazione della regolare presenza nel territorio dello
Stato è configurabile soltanto nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel
territorio dello Stato, e non anche degli stranieri in posizione irregolare, a seguito della
modifica dell’art. 6, comma terzo, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recata dall’art. 1,
comma ventiduesimo, lett. h), L. 15 luglio 2009, n. 94, che ha comportato una “abolitio
criminis”, ai sensi dell’art. 2, comma secondo, cod. pen., della preesistente fattispecie
per la parte relativa agli stranieri in posizione irregolare” (in tal senso anche Cass. sez.
4, n. 47502 del 30/11/2011, Bki, rv. 251743).

soggettivo di operatività della contravvenzione ed è ispirata da diversa finalità
perseguita con l’incriminazione, non più legata all’identificazione dello straniero, ma alla
verifica della sua legittima presenza nel territorio nazionale; l’art. 6 nell’attuale
formulazione è però entrato in vigore nel 2009, ossia ad anni di distanza dal momento
di commissione della condotta tenuta dall’Ebosele, condannato in forza della sentenza
revocata dal giudice dell’esecuzione in applicazione del testo originario della stessa
disposizione, il quale puniva il comportamento dello straniero che, richiesto da ufficiali o
agenti di pubblica sicurezza, non esibiva ingiustificatamente un documento
d’identificazione, oppure il permesso o la carta di soggiorno.
2. E’ noto che l’art. 673 cod. proc. pen. impone al giudice dell’esecuzione l’obbligo
di revocare la sentenza di condanna, passata in giudicato per reato previsto da norma
incriminatrice eliminata dall’ordinamento giuridico a seguito di un intervento legislativo
di abrogazione, oppure di pronuncia di illegittimità costituzionale, cui va equiparata la
declaratoria da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea d’incompatibilità della
disposizione nazionale con il diritto dell’Unione, direttamente applicabile nel territorio
degli Stati membri.
2.1 Attraverso l’istituto della revoca in sede esecutiva riceve attuazione il principio
generale, stabilito dall’art. 2 cod.pen., comma 2, a norma del quale nessuno può essere
punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato e, se vi è
stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.
2.2 Appartiene al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il
principio di diritto, secondo il quale la disposizione dell’art. 2 citata deve trovare
applicazione non solo in caso di abrogazione espressa della norma incriminatrice, ma
anche a fronte dell’abrogazione tacita per effetto di un fenomeno di successione di leggi
nel tempo, in questo caso desumibile dall’incompatibilità delle nuove disposizioni con
quelle precedenti, oppure dal fatto che la nuova legge regola con diverse prescrizioni
l’intera materia già disciplinata da quella anteriore, venendo a coincidere l’oggetto e la
“ratio” delle due norme, l’abrogante e l’abrogata (Cass. sez. 1, n. 5751 del 10/01/2013,
P.M. in proc. Sejdic, rv. 254529; sez. 1, n. 27121 del 11/07/2006, Aliseo, rv. 235265
sez. 1 n. 11081 del 29/101993, P.M. in proc. Papa, rv. 197551). E di tale situazione di

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1.2 La modifica normativa ha dunque inciso sull’individuazione dell’ambito

abrogazione tacita deve tenere conto non solo il giudice della cognizione, ma anche
quello dell’esecuzione, cui è demandato il compito di verificare se il fatto per il quale è
stata pronunciata condanna costituisca o meno ancora reato, a fronte di un intervento
legislativo di abrogazione espressa o tacita della norma incriminatrice.
2.3 Utili indicazioni per l’interpretazione della norma di cui all’art. 673 cod. proc.
pen. sono stati offerti dalla sentenza, citata dal ricorrente, della Corte Costituzionale nr.
230 del 2012, la quale, chiamata a valutarne plurimi profili di incostituzionalità in
relazione alla sua applicazione a condanna irrevocabile per il reato previsto dall’art. 6,

94 del 2009 da straniero irregolare, -fattispecie ritenuta sussistente dal giudice della
cognizione in modo difforme dall’indirizzo espresso dalla giurisprudenza delle Sezioni
unite nella sentenza Alacev del 2011-, ha dichiarato la non fondatezza della questione
sollevata quanto all’esclusione quale ipotesi di revoca della sentenza di condanna per
abolizione del reato del mutamento giurisprudenziale, determinato da una decisione
delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che neghi la rilevanza penale del fatto
giudicato.
3. A tali principi si è attenuta la Corte di Appello, che ha rilevato fondatamente
come, in seguito alle modifiche precettive introdotte dalla L. n. 94 del 2009, il fatto per
il quale l’Ebosele, straniero presente irregolarmente nel territorio nazionale, era stato
condannato non costituiva più reato per effetto della nuova configurazione dell’illecito,
che ha dato luogo ad un’ipotesi di abrogazione tacita della fattispecie ascrittagli.
3.1 L’assunto propugnato dal Procuratore ricorrente, secondo il quale la Corte
Costituzionale con la sentenza nr. 230/2012 avrebbe escluso che nella successione di
leggi riguardanti la disposizione dell’art. 6, comma 3, fosse ravvisabile un’ipotesi di
abrogazione, operata piuttosto dall’interpretazione datane dalla giurisprudenza, è priva
di fondamento ed è frutto di erronea lettura. Al contrario, la Consulta ha evidenziato
come la questione di incostituzionalità fosse stata posta in riferimento alla revoca di
sentenza riguardante un fatto “commesso in data successiva a quella di entrata in
vigore della legge n. 94 del 2009 e, dunque, in un momento nel quale la norma
incriminatrice di cui all’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 risultava già
formulata nei termini attuali: il che esclude che la successione tra il vecchio e il nuovo
testo di detta norma possa venire in considerazione, come fenomeno atto a rendere
operante il precetto dell’art. 2, secondo comma, cod. pen., al quale la disposizione
processuale dell’art. 673 cod. proc. pen. è, per questo verso, correlata” ed in base al
profilo dirimente della corretta interpretazione della norma incriminatrice vigente. Ha
quindi considerato che il giudice rimettente aveva segnalato come la decisione di cui era
stato richiesto quale giudice dell’esecuzione fosse condizionata da un fenomeno di
successione, non di leggi, ma di interpretazioni offerte dalla giurisprudenza di
legittimità, dapprima dalle sezioni semplici, poi da quelle Unite della Corte di
Cassazione, circa l’applicabilità del nuovo testo dell’art. 6 anche agli stranieri
4

comma 3, D.L.vo n. 286/98, commesso dopo la sua novellazione ad opera dalla legge n.

illegalmente soggiornanti, senza che si ponessero questioni circa “il regime operante
anteriormente alla novella del 2009” e ha ribadito come la pronuncia Alacev del 2011
delle Sezioni Unite avesse affermato senza equivoci l’intervenuta “abolitio criminis”
dell’omessa esibizione dei documenti da parte dello straniero irregolare, che non ha
smentito sotto alcun profilo.
3.2 In altri termini, la questione di costituzionalità era stata sollevata in un
procedimento di esecuzione per la revoca di sentenza di applicazione pena a richiesta
delle parti, emessa per la violazione dell’art. 6, comma 3, D.Ivo 286/98, commesso

difformità dal precetto della norma incriminatrice e dall’interpretazione offertane dalla
Corte di Cassazione: tale situazione era però frutto di un errore di giudizio, cui avrebbe
dovuto porsi rimedio con gli ordinari mezzi di impugnazione, nel caso inutilmente
esperiti, non già con il ricorso alla revoca della sentenza in difetto dei suoi specifici
presupposti. Il caso differisce da quello in esame, nel quale la pronuncia revocata era
stata emessa in perfetta aderenza al parametro normativo allora vigente, venuto
successivamente meno per effetto della sua modifica da parte di una legge successiva,
che ha dato luogo alla sua parziale abrogazione.
3.3 Va soltanto aggiunto che, diversamente da quanto osservato nella sua dotta e
pregevole requisitoria dal Procuratore Generale, non sussistono i presupposti per la
rimessione della questione alla decisione delle Sezioni Unite circa la rilevanza si fini
dell’applicazione della norma di cui all’art. 673 cod. proc. pen. del mutamento
giurisprudenziale, che non riguarda il caso qui affrontato.
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto per la sua infondatezza.

_P. Q. M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013.

nella vigente formulazione della norma, ma da soggetto straniero irregolare, quindi in

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