Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11116 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11116 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
SASSARI c/

VITA ALESSANDRO n. 4/01/1979 a ROMA

X. ALESSIO n. 2/02/1983 a ROMA

nonché da:

RAFFAELLI CINZIA n. 9/02/1964 a ROMA

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di SASSARI in data 13/06/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Pietro Gaeta, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso del
PM, con conseguente annullamento dell’ordinanza nei confronti di X. Alessio
e Vita Alessandro, e per l’inammissibilità del ricorso di Raffaelli Cinzia;
udite, per la ricorrente, le conclusioni dell’Avv. Gabriella Pinna Nossai del Foro di
Sassari, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

ly

Data Udienza: 07/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 13/06/2013, depositata in data 17/06/2013, il tribunale del
riesame di SASSARI: a) rigettava la richiesta di riesame presentata dall’indagata
RAFFAELLI CINZIA; b) annullava, nei confronti di VITA ALESSANDRO e X.
ALESSIO, l’ordinanza emessa in data 15/05/2013 dal GIP del medesimo

tribunale, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere per reati in
materia di stupefacenti; la misura cautelare era stata disposta in quanto,
secondo la prospettazione accusatoria, il X. e il VITA risultano indagati
del reato di cui agli artt. 110 c.p., 73 ed 80 TU Sup. per aver in concorso tra loro
ceduto circa 40 kg. di sostanza stupefacente del tipo hashish, trasportandola
dalla Sardegna alla Penisola, cedendola alla RAFFAELLI ed ad altro coindagato
non impugnante (tale ALLOCCA MAURIZIO); la RAFFAELLI, oltre ad essere
indagata per la ricezione del predetto quantitativo di stupefacente (capo e),
risulta indagata per tre episodi di spaccio di sostanze stupefacenti (capi g), h) ed

2.

Ha proposto tempestivo ricorso il PM presso il Tribunale di Sassari,

impugnando l’ordinanza predetta, deducendo un unico motivo di ricorso, di
seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, in particolare, il vizio di mancanza, contraddittorietà, illogicità della
motivazione in relazione all’insussistenza dei gravi indizi di reità in capo agli
indagati VITA e X. in ordine al contestato reato di cui agli artt. 110 c.p.
73 ed 80 T.U. Stup. (capo e); in sintesi, si duole il PM ricorrente per aver il
tribunale erroneamente ritenuto non integrato il requisito dei gravi indizi di
colpevolezza ex art. 273, comma 1, c.p.p., riferendo di una contraddittoria
compresenza di elementi, fondanti il provvedimento cautelare del GIP, in
relazione a fatti incompatibili tra loro e con la ricostruzione del fatto sub e),
sostenendo che non sarebbe stato chiarito in base a quali elementi esterni, fatti
certi o pacificamente acquisiti agli atti, ovvero a proposizione valutative non
meramente apodittiche, siasi potuto attribuire agli indagati la specifica condotta
contestata; l’ordinanza del GIP, deduce invece il PM ricorrente, ben chiarisce gli
indizi di colpevolezza che emergono in relazione agli indagati, né le presunte
incongruenze risultano dalla lettura dell’ordinanza genetica, rilevandosi, peraltro,
che la decisione impugnata sembrerebbe fondarsi su ritenute incongruenze
2

i,

desumibili solo dal raffronto della ricostruzione dei fatti operata dal GIP con una
nota di polizia del 29/05/2012, anziché sulla specifica critica del ragionamento
fondante il provvedimento genetico e sulla sua globale valutazione degli elementi
in atti; inoltre, deduce il ricorrente, la decisione risulterebbe fondata su una
valutazione del tutto segmentata e disorganica dei gravi indizi ricavabili dagli atti
e, invece, correttamente presi in considerazione dal GIP, difettando dunque

nell’ordinanza annullata quanto ai due indagati, avendo il tribunale del riesame
omesso di considerare o altrimenti interpretare alcuni dati assolutamente
rilevanti, sminuendone nel contempo altri.

3. Ha proposto, inoltre, tempestivo ricorso il difensore cassazionista dell’indagata
RAFFAELLI CINZIA, impugnando l’ordinanza predetta, deducendo sei motivi di
ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione

ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Deduce, con il primo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. c), c.p.p.
relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’art.
271 c.p.p. per inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 267 c.p.p.; in
sintesi, si duole la ricorrente per aver il tribunale del riesame respinto la censura
relativa al difetto di motivazione del decreto autorizzativo emesso dal GIP in data
22 maggio 2012, ritenendo non necessario che lo stesso debba essere motivato
in ordine alla sussistenza dei requisiti di legge (gravi indizi di reato ed
indispensabilità) con riferimento specifico a ciascun soggetto nei cui confronti si
procede e, ancora, ritenendo esaustiva la motivazione di secondo grado per

relationem di tale provvedimento, in quanto “rinviante” all’atto di polizia.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. c), c.p.p.
relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’art.
271 c.p.p. per inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 268 c.p.p.; in
sintesi, si duole la ricorrente per aver il tribunale del riesame escluso che dal
verbale d’inizio e fine operazioni o da altri atti potesse desumersi che le
registrazioni delle comunicazioni, di cui era stato autorizzato l’ascolto “in
remoto”, non fossero avvenute per mezzo degli impianti esistenti negli uffici
della Procura della Repubblica, il tutto però in assenza della compiuta
documentazione delle relative operazioni ai sensi dell’art. 268, comma 1, c.p.p.

3

quella lettura d’insieme dei molteplici elementi offerti dagli atti e richiamati

3.3. Deduce, con il terzo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. c), c.p.p.
relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’art.
271 c.p.p. per inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 267, comma 4,
c.p.p.; in sintesi, si duole la ricorrente per aver il tribunale del riesame affermato
che, ai fini dell’utilizzabilità delle intercettazioni, non sarebbe vietata la c.d.
masterizzazione dei dati in luogo diverso, laddove, invece, la censura difensiva

operazione di masterizzazione da parte di personale civile, laddove l’art. 267,
comma 4, c.p.p., esclude la facoltà di delega o sub-delega a personale diverso
dalla PG delle operazioni d’intercettazione.

3.4. Deduce, con il quarto motivo, la violazione dell’art. 606, lett. c), c.p.p.
relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’art.
271 c.p.p. per inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 267, comma 3,
c.p.p.; in sintesi, si duole la ricorrente per aver il tribunale del riesame respinto
la censura difensiva circa la generica e ripetitiva motivazione adottata da parte
del GIP in tutti i provvedimenti emessi in ordine alla valutazione della
permanenza dei presupposti per la prosecuzione delle operazioni di
intercettazione, nessuno dei quali conterrebbe alcun riferimento specifico al
soggetto nei cui confronti è disposta la proroga e, inoltre, sarebbe motivato per

relationem operando un integrale richiamo alle note della PG, con conseguente
integrazione del vizio, già in precedenza dedotto, che si sostanzierebbe in una
completa omissione della motivazione o in una motivazione apparente.

3.5. Deduce, con il quinto motivo, la violazione dell’art. 606, lett. e), c.p.p. per
omessa motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari; in sintesi,
si duole la ricorrente per aver il tribunale confermato l’ordinanza applicativa della
misura custodiale ritenendo sussistere il pericolo di fuga e quello di reiterazione
del reato con motivazione apodittica e generica, senza alcun riferimento alla
posizione dell’indagata, né porre alcuno sforzo integrativo della motivazione
dell’ordinanza genetica, limitandosi ad aderire alla motivazioni apparenti del GIP,
affermando l’esistenza di esigenze di difesa sociale fondate essenzialmente sulla
gravità dell’ipotesi accusatoria e sui precedenti penali dell’indagata; inoltre,
deduce l’omessa motivazione del tribunale del riesame in ordine alla circostanza,
dedotta in sede di discussione, secondo cui le esigenze cautelari risulterebbero
affievolite da decorso del tempo.

4

mossa in sede di riesame verteva sull’eccepita illegittimità della predetta

3.6. Deduce, infine, con il sesto motivo, la violazione dell’art. 606, lett. e), c.p.p.
per omessa motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari; in
sintesi, si duole la ricorrente per aver il tribunale confermato l’ordinanza
applicativa della misura custodiale senza motivare in ordine alla censura,
sollevata in sede di riesame, in ordine alla mancanza di qualsiasi motivazione
dell’ordinanza genetica circa il tempo decorso dai fatti ascritti, atteso che il

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso della RAFFAELLI dev’essere dichiarato inammissibile per le ragioni di
seguito esposte.

4. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione
di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee
direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio
prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una
sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure
presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli
elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte
Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent.
n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli
elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico
di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori
garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure
restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato
anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare.
L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta
ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di
merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della
cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di
indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo
della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni
per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque
a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

5

provvedimento restrittivo era stato emesso ad oltre un anno di distanza dai fatti.

4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure
cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli
elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce
tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non
valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato
e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la

responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza
(Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002,
e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995,
Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999,
Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000,
Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004,
Acanfora, Rv. 227511).
A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, nella valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le
altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n.
31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n.
29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n.
36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441
del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del
04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del
condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’art. 273 c.p.p., comma
1-bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il
richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un
espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

4.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando
sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla
peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del
contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza
del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del
17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del

6

futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale

12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del
22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del
22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500
del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre,

1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n.
6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

4.3. Per quanto di interesse in questa sede, essendo stata impugnata l’ordinanza
del tribunale del riesame, investito esclusivamente della richiesta inerente la
sostituzione della custodia carceraria in quella detentiva domiciliare, il detto
limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche
il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del
giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere
un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep.
14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).
Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in
tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il
provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale
provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo
di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze
motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni
addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008,
Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998,
Panebianco R., Rv. 212685).

5. Tanto premesso è quindi possibile affrontare i profili di censura svolti dalla
ricorrente RAFFAELLI che, all’evidenza possono essere suddivisi in due gruppi, un
primo gruppo (motivi dal n. 1 al n. 4) con cui vengono prospettate altrettante
violazioni della legge processuale penale e, un secondo gruppo (motivi n. 5 e n.
6), con cui vengono invece prospettate doglianze afferenti a pretesi vizi
motivazionali, peraltro limitati al solo profilo del periculum, ovvero alla dedotta
insussistenza delle esigenze cautelari sottese alla misura custodiale applicata;
ciò, del resto, si desume dalla stessa lettura dell’impugnata ordinanza, in cui il
collegio della cautela chiarisce come la difesa non avesse avanzato specifiche
doglianze tese a porre in discussione le ipotesi accusatorie formulate nei suoi
7

Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez.

confronti; quanto al profilo del periculum, peraltro, l’ordinanza impugnata indica
le ragioni logico-giuridiche poste a fondamento della decisione di rigetto
dell’impugnazione cautelare di merito, chiarendo come la particolare gravità dei
fatti ascritti all’indagata, i numerosi precedenti penali a suo carico, anche
specifici per evasione, escludano l’applicazione di misure cautelari attenuate
rispetto a quella custodiale detentiva applicata.

motivi di ricorso di natura “processuale” prospettati dalla Raffaelli; ed invero,
come si desume dall’ordinanza impugnata, i motivi concernenti sia la dedotta
inutilizzabilità delle intercettazioni che la dedotta insussistenza delle condizioni
generali di applicabilità delle misure cautelari vennero prospettati, in sede di
riesame, unicamente dalla difesa dei coindagati X. e Vita, non dalla difesa
Raffaelli.
Ciò sarebbe sufficiente a qualificare il ricorso inammissibile, in quanto il disposto
dell’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., che prevede l’inammissibilità del
ricorso se proposto per violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, è
applicabile anche nel caso di mancata deduzione in sede di riesame poiché il
relativo procedimento, avendo carattere sostanziale di impugnazione del merito,
si presenta equiparabile all’appello (Sez. 4, n. 839 del 24/06/1993 – dep.
21/10/1993, Foti, Rv. 195324). Non avendo, infatti, prospettato la Raffaelli in
sede di riesame, alcuna doglianza di tipo “processuale”, con riferimento in
particolare alla nullità e/o inutilizzabilità delle intercettazioni, tutti e quattro i
motivi di ricorso proposti davanti a questa Corte devono essere dichiarati
inammissibili.

6. Gli stessi, peraltro, si appalesano manifestamente infondati per le ragioni di
seguito esposte.

6.1.

Quanto al primo motivo (violazione dell’art. 606, lett. c), c.p.p.

relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’art.
271 c.p.p. per inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 267 c.p.p.), è
sufficiente richiamare quanto puntualmente esposto nell’ordinanza impugnata (v.
pag. 2), in sede di rigetto del corrispondente motivo sollevato dalla difesa degli
indagati X. e Vita; ambedue i requisiti (gravi indizi di reato ed
indispensabilità) che, a detta della difesa, sarebbero assenti con riferimento
specifico a ciascun soggetto nei cui confronti si procede, in realtà – chiarisce il
tribunale del riesame – risultano presenti del provvedimento genetico;
analogamente deve affermarsi con riferimento all’ulteriore profilo di doglianza,
8

Deve, poi, evidenziarsi un ulteriore elemento che rende inammissibili tutti i

secondo cui non sarebbe esaustiva la motivazione di secondo grado

per

relationem di tale provvedimento, in quanto “rinviante” all’atto di polizia. Quanto
affermato dal collegio della cautela, risponde puntualmente ai principi di diritto
più volte affermati da questa Corte, in particolare dovendosi ricordare che in
tema di motivazione di decreti autorizzativi di attività di intercettazione, non
essendo necessaria un’analitica esposizione degli elementi dai quali è dato

che detta motivazione (che ben può richiamare atti contenuti nella richiesta del
PM o che siano comunque nella disponibilità delle parti) si esaurisca nella
sommaria esposizione di tali elementi (Sez. 5, n. 776 del 15/02/2000 – dep.
09/03/2000, Coppola G, Rv. 215980).
Non dev’essere, infatti, dimenticato che l’onere di motivazione dei decreti, sia di
convalida di quelli emessi in via di urgenza dal P.M., sia di proroga, è assolto
anche “per relationem”,

mediante il richiamo al provvedimento del pubblico

ministero e alle note di polizia, con implicito giudizio di adesione ad essi, essendo
preclusa al giudice l’integrazione di una motivazione mancante – intesa questa
anche come motivazione solo apparente perché meramente riproduttiva del dato
normativo – ma non quella di una motivazione incompleta, insufficiente o
inadeguata, emendabile dal giudice al quale la doglianza venga prospettata, sia
esso quello di merito, che deve utilizzare gli esiti delle intercettazioni, o quello
dell’impugnazione, nella fase di merito o in quella di legittimità (Sez. 1, n. 9764
del 10/02/2010 – dep. 11/03/2010, Femia, Rv. 246518).

6.2.

Quanto al

secondo motivo (violazione dell’art. 606, lett. c), c.p.p.

relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’art.
271 c.p.p. per inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 268 c.p.p.), al fine
di evidenziarne la manifesta infondatezza è sufficiente in questa sede richiamare
ancora una volta quanto esposto nell’ordinanza impugnata (v. pag. 2) in sede di
rigetto dell’eccezione proposta dai coindagati, si legge nell’ordinanza che il PM ha
autorizzato l’ascolto remoto non contestuale delle intercettazioni e che, da
nessuno degli atti indicati dalla difesa (verbale d’inizio e fine operazioni o da altri
atti), potesse desumersi che le registrazioni delle comunicazioni, di cui era stato
autorizzato l’ascolto “in remoto”, non fossero avvenute per mezzo degli impianti
esistenti negli uffici della Procura della Repubblica; tra l’altro, nulla vieta, si legge
nell’ordinanza, che la masterizzazione dei dati sia compiuta in un luogo diverso,
trattandosi di operazione concettualmente diversa dalla registrazione.
Il Collegio condivide le argomentazioni esposte dal giudice della cautela, in
quanto non risulta da alcun atto che il presupposto fondante la doglianza
9

desumere la probabilità della avvenuta consumazione di un reato, è consentito

difensiva siasi verificato, ossia che le operazioni di registrazione siano state
eseguite fuori dai locali della Procura; sul punto, peraltro, è pacifico, anche
secondo l’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite, che ai fini
dell’utilizzabilità delle intercettazioni l’unica condizione è che l’attività di
registrazione – che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella
immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata – avvenga

esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente
svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale
riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite “in
remoto” presso gli uffici della polizia giudiziaria (Sez. U, n. 36359 del
26/06/2008 – dep. 23/09/2008, Carli, Rv. 240395; le stesse Sezioni Unite,
peraltro, hanno precisato, con riguardo all’attività di riproduzione, ovvero di
masterizzazione – e cioè di trasferimento su supporti informatici di quanto
registrato mediante gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario -, che trattasi di
operazione estranea alla nozione di “registrazione”, la cui “remotizzazione” non
pregiudica le garanzie della difesa, alla quale è sempre consentito l’accesso alle
registrazioni originali). A ciò si aggiunga, che l’art. 268, comma primo, c.p.p., la
cui violazione è stata dedotta dalla difesa, in realtà prevede la sola
verbalizzazione delle operazioni di registrazione e non altro.
Nessun rilievo, dunque, può attribuirsi all’eventuale mancata verbalizzazione
delle operazioni di “masterizzazione” dei dati relativi alle conversazioni
registrate, non essendo qualificabile tale omissione né in termini di nullità
(stante il noto principio di tassatività: art. 177 cod. proc. pen.), né in termini di
inutilizzabilità, espressamente prevista per la violazione dei commi 1 e 3 dell’art.
268, cod. proc. pen., cui rinvia l’art. 271 comma primo, cod. proc. pen.
Del resto, come già affermato da questa Corte, i casi di divieto di utilizzazione di
cui all’art. 271 cod. proc. pen. sono tassativi, dovendosi peraltro escludere ogni
possibilità di applicazione analogica di tali divieti (v., tra le tante: Sez. 4, n.
20130 del 28/02/2005 – dep. 27/05/2005, Littera, Rv. 231368): in essi non può
pertanto ricomprendersi la mancata verbalizzazione delle operazioni di
masterizzazione.
Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
«Non sussiste alcuna nullità né inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nel
caso in cui l’operazione di “masterizzazione” dei dati relativi alle conversazioni
registrate non sia svolta nei locali della procura della Repubblica dove sono state
eseguite le operazioni di registrazione delle comunicazioni, né sia stata curata la
verbalizzazione di tali operazioni, prevedendo espressamente l’art. 268, comma
10

nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi

primo, cod. proc. pen. la sola verbalizzazione delle operazioni di registrazione né
potendo i casi di divieto di utilizzazione di cui all’art. 271 cod. proc. pen., in
quanto tassativi, essere analogicamente applicati».

6.3.

Quanto al terzo motivo (violazione dell’art. 606, lett. c), c.p.p.

relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’art.

c.p.p.), ancora una volta, al fine di escluderne qualsiasi fondatezza, è sufficiente
rilevare che tale motivo non venne chiaramente prospettato, in sede di riesame,
non solo dalla Raffaelli, ma nemmeno dalla difesa dei coindagati X. e Vita.
Lo stesso tribunale, infatti, ha motivato riferendosi alla natura delle operazioni di
masterizzazione, sottolineando come si tratti di qualcosa di concettualmente
diverso dalla registrazione. Ciò dimostra, quindi, che il motivo, come proposto, si
poneva come aspecifico, in quanto lo stesso giudice della cautela non era riuscito
a cogliere con chiarezza il profilo di doglianza (peraltro esposto, lo si ricorda
ancora una volta, dai soli coindagati e non dalla Raffaelli). Va qui ricordato che
l’ammissibilità dell’atto di impugnazione dipende dal tasso di determinatezza dei
motivi che la sostengono, la cui valutazione deve essere volta ad accertare la
chiarezza e specificità dei medesimi in rapporto ai principi della domanda, della
devoluzione e del diritto di difesa dei controinteressati (v., sul punto: Sez. 4, n.
40243 del 30/09/2008 – dep. 28/10/2008, Falcioni ed altri, Rv. 241477).
Ciò, dunque, è sufficiente a qualificare il ricorso inammissibile, in quanto il
disposto dell’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., che prevede
l’inammissibilità del ricorso se proposto per violazione di legge non dedotta con i
motivi di appello, è applicabile anche nel caso di mancata deduzione in sede di
riesame poiché il relativo procedimento, avendo carattere sostanziale di
impugnazione del merito, si presenta equiparabile all’appello (Sez. 4, n. 839 del
24/06/1993 – dep. 21/10/1993, Foti, Rv. 195324).
In ogni caso, la manifesta infondatezza del motivo, discende da quanto già
esposto a proposito del precedente motivo di ricorso; ed invero, la norma di cui
si evoca la violazione (art. 267, comma quarto, cod. proc. pen.), nel prevedere
che

“il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero

avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria”,

si riferisce ovviamente alle

operazioni previste dall’art. 266, c.p.p., ossia le intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazioni; qualsiasi altra
“operazione” diversa, ancorchè correlata, qual è la masterizzazione, non rientra
nella previsione normativa evocata; legittimamente, dunque, l’operazione di
masterizzazione dei dati registrati può essere svolta da personale civile,
11

271 c.p.p. per inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 267, comma 4,

trattandosi di operazione estranea alla nozione di “registrazione”, la cui
esecuzione ad opera di personale civile non pregiudica le garanzie della difesa,
alla quale è sempre consentito l’accesso alle registrazioni originali.
Dev’essere, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:
«L’art. 267, comma quarto, cod. proc. pen.), nel prevedere che

“il pubblico

ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un
ufficiale di polizia giudiziaria”, si riferisce unicamente alle operazioni previste

dall’art. 266, c.p.p.; ne consegue che l’operazione di masterizzazione dei dati
delle conversazioni registrate può legittimamente essere svolta da soggetti
diversi dagli ufficiali di polizia giudiziaria, trattandosi di operazione estranea alla
nozione di “registrazione”, la cui esecuzione ad opera di personale civile non
pregiudica le garanzie della difesa, alla quale è sempre consentito l’accesso alle
registrazioni originali».

6.4.

Quanto al

quarto motivo (violazione dell’art. 606, lett. c), c.p.p.

relativamente all’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’art.
271 c.p.p. per inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 267, comma 3,
c.p.p.), ancora una volta, al fine di escluderne la fondatezza, è sufficiente
richiamare in questa sede quanto già adeguatamente esposto dal tribunale del
riesame a sostegno delle ragioni del rigetto dell’analoga istanza sollevata dai
coindagati; si legge nell’ordinanza impugnata, che il PM, nel richiedere le
proroghe, si sia richiamato alle note del NORM, implicitamente aderendovi, e che
il GIP abbia motivatamente accolto le richieste, illustrando il relativo passaggio
argomentativo.
Questo Collegio condivide quanto affermato dal giudice della cautela, rinviando a
quanto sopra già esposto a proposito della legittimità del rinvio “per relationem”,
non ravvisandosi il vizio denunciato, atteso che il decreto di proroga della durata
dell’autorizzazione all’intercettazione di conversazioni o comunicazioni non
richiede alcuna motivazione allorché risponda – come nel caso in esame – a tutti
i requisiti del decreto autorizzativo originario, rinviando ad esso implicitamente
per ogni necessaria indicazione (Sez. 1, n. 2612 del 20/12/2004 – dep.
27/01/2005, P.G. in proc. Tomasi ed altri, Rv. 230453).

7. Passando, infine, ad analizzare i due profili di doglianza afferenti all’asserito
vizio motivazionale (motivi n. 5 e n. 6 del ricorso RAFFAELLI), in ordine alla
sussistenza delle esigenze cautelari, ritiene questa Corte possibile la loro
trattazione unitaria, atteso che gli stessi, pur formalmente denunciando,
contestualmente, un duplice vizio motivazionale, esprimono nella sostanza
12

(9{

doglianze attinenti ad al profilo del periculum oggetto del percorso logico argomentativo che sostiene il provvedimento impugnato.
Di tali motivi, ad avviso del Collegio, emerge, all’evidenza, sia la manifesta
infondatezza che la genericità.
Da un lato, infatti, la ricorrente si limita a riproporre le medesime
doglianze già espresse davanti al tribunale del riesame senza tener conto delle

censure, apparendo dunque il motivo aspecifico, ossia generico ed
indeterminato, in quanto ripropone le stesse ragioni già esaminate e ritenute
infondate dal giudice del riesame, risultando tale motivo carente della necessaria
correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’impugnazione, la quale non può ignorare le affermazioni
del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce,
ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso
(v. tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv.
253849).
Dall’altro lato, il motivo appare comunque manifestamente infondato.
Ed invero, l’impugnata ordinanza motiva adeguatamente circa l’insussistenza
della dette carenze motivazionali dell’ordinanza impositiva della misura
cautelare, dando atto di averne criticamente valutato le ragioni nel momento in
cui valorizza quegli elementi che escludono il dedotto vizio motivazionale.

7.1. In particolare, l’ordinanza impugnata indica le ragioni logico-giuridiche
poste a fondamento della decisione di rigetto dell’impugnazione cautelare di
merito, chiarendo come la particolare gravità dei fatti ascritti all’indagata, i
numerosi precedenti penali a suo carico, anche specifici per evasione, escludano
l’applicazione di misure cautelari attenuate rispetto a quella custodiale detentiva
applicata. Si tratta, all’evidenza, di motivazione che, seppure nella sinteticità del
suo apparato motivazionale, soddisfa adeguatamente quell’obbligo motivazionale
imposto dall’art. 125 c.p.p., ritagliando il giudizio di permanenza delle esigenze
cautelari sulla persona dell’indagata (il riferimento alla gravità dei fatti alla
stessa ascritti ed ai precedenti penali, specifici, per evasione, è chiaro e non
lascia adito a dubbi) e dando conto dell’adeguatezza della misura applicata (nel
senso che il suo vissuto processuale e la predetta gravità non consentivano
l’applicazione di altra misura cautelare di difesa sociale diversa da quella
carceraria); né, poi, può ritenersi rilevante la circostanza, secondo cui la
motivazione non conterrebbe alcuna indicazione su quanto dedotto dalla difesa in
sede di discussione, nel senso che le esigenze cautelari risulterebbero affievolite
13

argomentazioni offerte dal giudice del gravame a confutazione delle originarie

da decorso del tempo. Ed invero, dev’essere qui ricordato che il mero decorso
del tempo non è elemento rilevante, perché la sua valenza si esaurisce
nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa, e
quindi necessita di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a
suffragare la tesi dell’affievolimento delle esigenze cautelari, nel caso di specie
nemmeno prospettati dalla ricorrente in sede di ricorso, non potendo qualificarsi,

provvedimento restrittivo era stato emesso ad oltre un anno di distanza dai fatti
(Sez. 1, n. 24897 del 10/05/2013 – dep. 06/06/2013, Sisti, Rv. 255832).

8. A non diversa conclusione deve pervenirsi quanto al ricorso proposto dal PM
avverso l’ordinanza impugnata, relativamente alla posizione dei coindagati
X. e VITA.
Ed invero, anche alla luce delle memorie di replica depositate all’ud. 7/01/2014, i
profili di doglianza esposti dal PM ricorrente, non sembrano cogliere nel segno,
laddove evidenziano i profili di contraddittorietà e manifesta illogicità
dell’apparato motivazionale della decisione impugnata. Ed invero, il ricorso si
articola in censure di merito che mirano ad una rilettura, in astratto plausibile,
dei fatti, valorizzando elementi “svalutati” e/o trascurati dal tribunale del
riesame, ma che, in questa sede, ed allo stato, non consentono a questa Corte di
sindacare la legittimità del provvedimento impugnato, la cui tenuta
motivazionale, sotto il profilo della gravità indiziaria, non presenta profili di
illogicità manifesta o contraddittorietà. Ed invero, è stato più volte
autorevolmente affermato da questa Corte che, pur dopo la novella codicistica
introdotta con la I. n. 46 del 2006, non hanno rilevanza le censure che si limitino
ad offrire una lettura alternativa (o più adeguata o ad essa favorevole, nell’ottica
della parte impugnante) delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato
della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di mera legittimità
(v., tra le tante: Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006 – dep. 03/11/2006, Bruzzese,
Rv. 235510).

9. Il ricorso del PM dev’essere, pertanto, rigettato.
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso della RAFFAELLI segue, invece, la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento
di una somma alla Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero,
somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.
14

di per sé, come elemento idoneo a suffragare tale tesi, la mera circostanza che il

Rigetta il ricorso del P.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di Raffaelli Cinzia che condanna al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore

Att. C.p.p.
Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2014

Il Consigl Aì e est.

Il Presidente

dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1 — ter, disp.

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