Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11104 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11104 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ERCOLINI GIORGIO N. IL 10/08/1940
avverso la sentenza n. 3037/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
21/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del DQtt.
che ha concluso per e
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

k3:9

Data Udienza: 30/01/2014

22520/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21 marzo 2013 la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello
proposto da Ercolini Giorgio avverso sentenza del 22 ottobre 2010 con cui il Tribunale di
Pistoia, sezione distaccata di Monsummano Terme, lo aveva condannato per il reato di cui
all’articolo 10 d.lgs. 74/2000 – per avere occultato, al fine di evadere le imposte, scritture
contabili di obbligatoria conservazione – alla pena di otto mesi di reclusione con applicazione

2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi. Il primo motivo censura la
determinazione della pena perchè la pena base sarebbe troppo elevata “considerata la
mancanza di precedenti dell’imputato e la sua età avanzata”; inoltre non vi è riferimento alle
attenuanti generiche, così incorrendo in violazione di legge. Il secondo motivo denuncia
omessa motivazione sull’applicazione dell’articolo 163 c.p., nonché omessa motivazione e
violazione di legge in relazione al combinato disposto degli articoli 163 e 183 c.p.,
erroneamente il giudice d’appello avendo ritenuto invalida la rinuncia alla sospensione
condizionale per essere l’appello sottoscritto solo dal difensore, dato che a questo era stata
rilasciata procura con le più ampie facoltà tra cui l’istanza di sostituzione della pena pecuniaria
alla detentiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Il primo motivo chiede al giudice di legittimità di sostituire quello di merito in ordine alla
determinazione della pena, non censurando la sentenza, tuttavia, né sotto il profilo di un vizio
motivazionale né sotto un profilo di violazione di legge. È evidente la sostanza inammissibile di
questa doglianza, diretta a chiedere una valutazione dosimetrica che rientra nella
discrezionalità del giudice di merito, salva ovviamente la necessità di una congrua motivazione,
qui – si è appena visto – non addotta come viziata (v. da ultimo Cass. sez. IV, 20 marzo 2013
n. 21294: “la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri
discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in
misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia
limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli
elementi di cui all’art. 133 c.p.”; Cass. sez. III, 17 ottobre 2007-11 gennaio 2008 n. 1182, per
cui “la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale
la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132
e 133 c.p., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione della congruità della pena”; sulla discrezionalità del giudice di merito, sempre tra

della sospensione condizionale.

gli arresti più recenti, cfr. pure Cass. sez. II, 26 giugno 2009 n. 36245 e Cass. sez. II, 19
marzo 2008 n. 12749).
Nella seconda parte del motivo, il ricorrente prospetta una violazione di legge per aver
omesso la sentenza impugnata ogni riferimento alla concessione delle attenuanti generiche.
Anche a prescindere dalla genericità della doglianza, non avendo indicato il ricorrente per quali
parametri avrebbero dovuto nel caso in esame essere concesse tali attenuanti, è sufficiente
comunque rilevare che anche “la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra

essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa
l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo” (Cass. sez.
VI, 28 ottobre 2010 n. 41365).
3.2 Il secondo motivo si correla alla concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena, per avere la corte territoriale ritenuto, secondo il ricorrente erroneamente, che la
rinuncia a tale beneficio possa essere effettuata dall’imputato contumace a mezzo del proprio
difensore. La sentenza impugnata afferma che “la rinuncia al beneficio della sospensione
condizionale contenuta nell’atto d’appello non appare validamente espressa atteso che non è
sottoscritta dall’imputato, ma dal solo difensore”. Il ricorrente prospetta invece in capo al
difensore il potere di rinuncia al beneficio suddetto per avere ricevuto “nomina con le più
ampie facoltà tra cui quelle di presentare istanze di qualsiasi tipo ed esplicito potere di
chiedere la sostituzione della pena pecuniaria alle pene detentive brevi”. Collega ciò alla
sussistenza dell’interesse ad impugnare, che sussiste “quando il provvedimento comporti la
possibilità della lesione in concreto di un diritto o di un altro interesse giuridico della parte che
impugna” per giungere a sostenere che il beneficio, pur essendo, “in quanto discrezionale,
indisponibile”, se utilizzato dal giudice con parametro arbitrario viene a configgere con lo
scopo dell’istituto: occorre quindi motivazione in ordine alla sua concessione. Nel caso di specie
poteva applicarsi, poi, in luogo del suddetto beneficio anche l’indulto, “stante la legittima
rinuncia” della sospensione condizionale operata dall’imputato.
Il motivo, come si è appena illustrato, mescola diversi profili, ma, a ben guardare, tutti li
fonda sull’asserto, appunto, che vi sia stata una legittima rinuncia dell’imputato alla
sospensione condizionale, attuata a mezzo del difensore di fiducia. Ed è infatti fondato sulla
rinuncia anche il motivo d’appello relativo alla sospensione condizionale (come emerge dalla
sentenza impugnata, l’appellante aveva chiesto la pena pecuniaria in sostituzione della
sanzione detentiva “stante la rinuncia al beneficio della sospensione condizionale della pena”).
Pertanto, non è rilevante di per sé l’impugnabilità della concessione del beneficio (riguardo alla
quale è peraltro noto che secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte una lesione di
interesse giuridico qualificato legittima l’imputato a impugnare la concessione del beneficio:
cfr. Cass. sez.III, 9 luglio 2013 n. 42167; Cass. sez.III, 20 giugno 2013 n. 39406; Cass.
sez.III, 6 dicembre 2012 n. 47234; Cass. sez.III, 13 aprile 2012 n. 24356; Cass. sez.III, 13
luglio 2010 n. 27039; Cass. sez.I, 18 febbraio 2009 n. 13000; Cass. sez.I, 9 gennaio 2001 n.

nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve

9515) ma occorre accertare se la rinuncia alla sospensione condizionale effettuata dal
difensore di fiducia sia valida.
Detta rinuncia costituisce un atto dispositivo che incide sul profilo sanzionatorio cui l’imputato
viene a sottomettersi, atto estraneo, quindi, alle attività e alle opzioni proprie della difesa
tecnica: rientra dunque tra i cosiddetti diritti personalissimi che si evincono dall’articolo 99,
primo comma, c.p.p. (su tale species di diritti, da ultimo, Cass. sez I, 14 dicembre 2012-21
maggio 2013 n. 21666), i quali, per siffatta natura, possono essere esercitati soltanto

(per altre fattispecie di atti dispositivi attinenti al profilo sanzionatorio cfr. Cass. sez. IV, 29
novembre 2004-19 gennaio 2005 n. 1293 – sulla richiesta di applicazione della pena del lavoro
di pubblica utilità qualificata atto personalissimo, che può essere effettuato dal difensore
purché munito di procura speciale

“in quanto deve comunque risultare la consapevole

accettazione della particolare modalità di emenda e delle conseguenze derivanti dalla
violazione degli obblighi collegati” – e Cass. sez. V, 10 marzo 1998 n. 1497 – per cui nel rito ex
articolo 444 c.p.p. occorre che l’imputato indichi specificamente la pena cui vuole essere
sottoposto, “attesa la natura di atto dispositivo personalissimo di tale richiesta”; e cfr. p.es . nel
codice previgente Cass. sez. IV, 12 aprile 1984 n. 8038 che qualifica la richiesta di sanzione
sostitutiva un atto personalissimo dell’imputato, l’unico ad essere “in grado di stabilire se può
adempierla convenientemente” onde il difensore può formulare tale richiesta solo se munito di
procura speciale, pena nullità). In quanto atto personalissimo, allora, il difensore può porlo in
essere non nell’esercizio della sua funzione processuale tecnica, bensì in forza di un potere
specifico, cioè attingendo, mediante la delega rappresentata dalla procura speciale, al potere
dispositivo della parte sostanziale. La translatio del potere, appunto, non può non essere
specifica (non rilevando, quindi, l’attribuzione di potere mediante formule generiche e di stile,
come quella richiamata nel ricorso in esame laddove si afferma che al difensore sono state
date “le più ampie facoltà tra cui quelle di presentare istanze di qualsiasi tipo”): e nel caso de
quo non è addotto che al difensore sia stata rilasciata una procura speciale per rinunciare, in
nome dell’imputato, alla sospensione condizionale della pena. D’altronde non è fungibile con il

dall’imputato e non dal difensore, a meno che questi non sia munito di procura speciale ad hoc

potere in questione l’unico potere specifico che il ricorrente afferma essere stato conferito al
difensore, cioè quello di chiedere la sostituzione della pena pecuniaria alle pene detentive
brevi: pur vertendo anch’esso sul profilo sanzionatorío, non si può intendere che includa (come
una sorta di più che contiene il meno) anche il potere di rinunciare alla sospensione
condizionale, che non è una sostituzione di pena, bensì, quantomeno, una potenziale
procrastinazione della pena originaria.
In conclusione, anche l’ultimo motivo risulta manifestamente infondato, perché il ricorrente

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attraverso esso intende far valere una rinuncia – atto di incidenza sostanziale nel senso di atto
dispositivo – espletata dal difensore in modo nullo, per carenza di potere delegato dal soggetto
interessato che è la parte sostanziale.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile

(il che impedisce, non consentendo il formarsi di un valido rapporto processuale di
impugnazione, di valutare la presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129
c.p.p.: S.U. 22 novembre 2000 n. 32, De Luca; in particolare, l’estinzione del reato per
prescrizione è rilevabile d’ufficio a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo
grado di giudizio, cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria come invece si è
verificato nel caso de quo: ex multis v. pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21,
Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass.

ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza
“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 30 gennaio 2014

Il Consig re Estensor

Il Presidente

sez. III, 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca), con conseguente condanna del

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