Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11103 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11103 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLOSSO LUIGI N. IL 14/11/1950
avverso la sentenza n. 1065/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
13/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 9, Q.’
che ha concluso per o-9-3-) ■,-3…

e–

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

.sest2A„,,,

Data Udienza: 30/01/2014

20597/2013

RITENUTO IN FATTO

i

1. Con sentenza del 13 febbraio 2013 la Corte d’appello di Trieste ha respinto l’appello
proposto da Colosso Luigi avverso sentenza del 28 aprile 2011 con cui il Tribunale di
Pordenone lo aveva condannato alla pena di due mesi e 10 giorni di reclusione e C 700 di
multa per il reato di cui agli articoli 81 c.p., 2 I. 638/1983, commesso due volte,
rispettivamente il 3 ottobre 2007 e il 18 ottobre 2007, omettendo in qualità di procuratore
speciale amministratore unico della “5 Stelle Distribuzione Sri” di versare le quote contributive

importo complessivo di C 1397, per il periodo dal settembre all’ottobre 2004.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo come unico motivo la violazione degli articoli
157 c.p., 129, 529 e 531 c.p.p. che la corte territoriale avrebbe compiuto omettendo di
dichiarare d’ufficio l’estinzione dei reati per prescrizione intervenuta tra la pronuncia di primo
grado e prima della pronuncia d’appello, dovendosi applicare il testo dell’articolo 157 c.p.
previgente rispetto all’entrata in vigore della I. 251/2005.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
3.1 L’unico motivo proposto censura la sentenza impugnata per non avere d’ufficio dichiarato
l’estinzione per maturata prescrizione dei reati ascritti all’imputato, i quali si sarebbero
prescritti prima della sentenza stessa, obbligando dunque tale prescrizione il giudice d’appello
ad applicare l’articolo 129, primo comma, c.p.p.
Premesso che, effettivamente, nella sentenza impugnata non vi è alcun riferimento alla
prescrizione, occorre anzitutto accertare se realmente questa fosse maturata per i reati in
questione. Si tratta, come si è visto, di due delitti ex articolo 2 I. 638/1983, avvinti da
continuazione e per i quali è stata riconosciuta altresì la contestata recidiva reiterata, specifica,
infraquinquennale. Il ricorrente adduce che, nel reato di omesso versamento di ritenute
contributive, essendo fattispecie omissiva istantanea, la consumazione si verifica alla scadenza
del termine utile per il versamento, cioè, ex articolo 2, comma primo, lettera b), d.lgs.
422/1998, il giorno 16 del mese che segue quello cui si riferiscono i contributi: e poiché i
contributi erano attinenti al mese di ottobre 2004, il

dies a quo della prescrizione è

identificabile nel 16 novembre 2004. Quanto afferma il ricorrente è conforme alla consolidata
giurisprudenza di questa Suprema Corte che identifica – essendo irrilevante, invece, la data di
accertamento – il suddetto dies a quo nel giorno 16 del mese successivo quale scadenza del
termine di adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro (oltre a Cass. sez. III, 14
dicembre 2010-12 gennaio 2011 n. 615, richiamata dal ricorrente, v. Cass. sez. III, 21
febbraio 2012 n. 10974; Cass. sez. III, 16 aprile 2009 n. 20251; Cass. sez. III, 25 giugno
2003 n. 29275; Cass. sez. I, 4 dicembre 1997-28 gennaio 1998 n. 6850; Cass. sez. I, 14 luglio

trattenute ai lavoratori dipendenti rispettivamente per un importo complessivo di C 268 e un

1989 n. 2136; Cass. sez. I, 24 settembre 1987 n. 3452). Essendosi allora i reati ascritti
consumati il 16 novembre 2004, e dunque prima dell’8 dicembre 2005 – data di entrata in
vigore della I. 251/2005 – risulta effettivamente applicabile, in quanto più favorevole, la
disciplina della prescrizione anteriore alla suddetta legge. Ciò è stato di recente riconosciuto,
specificamente per il reato in questione, proprio dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. sez.
III, 21 febbraio 2012 n. 10974, cit.) rammentando anche che il regime previgente deve
applicarsi nella sua globalità, per cui occorre applicare alla continuazione il testo previgente di
cui all’articolo 158 c.p. e alla recidiva contestata il testo previgente di cui all’articolo 99 c.p.: il

la normativa attuale, che prevede un termine prescrizionale minimo di sei anni a fronte dei
cinque del regime precedente. Tenendo conto, allora, del periodo di sospensione legale della
prescrizione di tre mesi di cui all’articolo 2, comma 1 quater, I. 638/1983 la prescrizione è
maturata il 16 febbraio 2010, cioè, come adduce il ricorrente, anteriormente alla sentenza del
28 aprile 2011 con cui il Tribunale di Pordenone lo ha condannato in primo grado.
3.2 Per quanto accertato, sussistevano quindi per la corte territoriale i presupposti di
applicazione, d’ufficio, dell’articolo 129, primo comma, c.p.p. Ciò tuttavia non è di per sé
sufficiente, nell’attuale scenario giurisprudenziale, a generare le conseguenze della mancata
applicazione senza un chiarimento preliminare.
La giurisprudenza nomofilattica, infatti, nelle pronunce più recenti riconosce l’ammissibilità
del ricorso diretto a far valere la violazione di diritto rappresentata dall’omessa applicazione
d’ufficio della norma suddetta e consistita nella mancata dichiarazione da parte del giudice
d’appello della estinzione del reato per prescrizione qualora questa sia maturata in epoca
antecedente alla sentenza d’appello (in tal senso Cass. sez. VI, 21 marzo 2012 n.11739 – per
cui è ammissibile il ricorso per cassazione diretto all’esclusivo fine di dedurre la estinzione del
reato per prescrizione maturata prima della pronuncia impugnata e non rilevata dal giudice
d’appello -; Cass. sez. V, 16 novembre 2011-12 gennaio 2012 – per cui ” è ammissibile il
ricorso per cassazione – avverso la sentenza di condanna pronunciata dal giudice di appello diretto a far valere unicamente la prescrizione.., maturata prima della sentenza di appello e
ritualmente eccepita dalla difesa, considerato che, in tal caso, il giudice di merito,
indipendentemente dalla predetta eccezione della parte, ha l’obbligo di rilevare d’ufficio
l’estinzione del reato per prescrizione, con la conseguenza che l’omessa declaratoria della
predetta causa estintiva determinerebbe, ove non se ne consentisse l’azionabilità in sede di
legittimità, l’assoggettamento dell’imputato alla condanna e alla correlativa esecuzione di pena,
laddove in presenza della medesima situazione di fatto e di diritto, l’immediata dichiarazione
dell’estinzione del reato comporterebbe che altro imputato si avvalga della prescrizione, con
conseguente disparità di trattamento, che determina la violazione del principio costituzionale di
uguaglianza. Ne deriva che in tal caso la sentenza impugnata deve essere annullata senza
rinvio per l’intervenuta prescrizione del reato” -; Cass. sez. V, 11 luglio 2011 n. 47024; Cass.
sez. II, 7 luglio 2009 n. 38704 – che ritiene ammissibile il ricorso per cassazione contro la

che peraltro, nel caso di specie come sopra descritto, non risulta imprimere di maggior favore

sentenza di condanna emessa in appello proposto per l’unico motivo della violazione di legge
consistente nella omessa immediata dichiarazione di causa estintiva per prescrizione maturata
prima della sentenza impugnata, pur se non dedotta in appello dalla difesa -; Cass. sez. IV, 15
gennaio 2009 n. 6835 – per cui è ammissibile il ricorso per cassazione che denunci l’omessa
rilevazione e dichiarazione da parte del giudice d’appello, ex articolo 129, primo comma,
c.p.p., dell’estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata,
precisando poi l’arresto, in motivazione, che l’imputato apprende l’omissione soltanto a seguito
della emissione della sentenza, per cui non avrebbe altro modo per dedurre la violazione di

legittimità debba rilevare d’ufficio l’estinzione per prescrizione maturata prima della sentenza
d’appello e in tale sede non dedotta anche se il ricorso è inammissibile, Cass. sez. II, 16
maggio 2013 n. 34891 e Cass. sez. V, 17 settembre 2012 n. 42950 – la quale in motivazione
si rapporta soprattutto a Cass. sez. V, 11 luglio 2011 n. 47024, cit., che peraltro, come si è
visto, dichiara l’ammissibilità del ricorso di cui tratta -).
3.3 Questo orientamento giurisprudenziale, tuttavia, è affiancato dall’ulteriore corrente
interpretativa per cui solo il ricorso ammissibile rende rilevabili, anche d’ufficio, la questione
attinente all’applicazione della declaratoria della estinzione per prescrizione quale causa di non
punibilità di cui all’articolo 129, primo comma, c.p.p., e per essere ammissibile, il ricorso non
può apportare esclusivamente un motivo fondato su tale questione (S.U. 22 marzo 2005 n.
23428, secondo la massima che “l’inammissibilità del ricorso per cassazione (nella specie, per
assoluta genericità delle doglianze) preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di
ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione, pur
maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata
da quel giudice” -, nonché, tra le sentenze delle sezioni semplici massimate, v. Cass. sez. III, 8
ottobre 2009 n. 42839 – per cui, conformemente, “l’inammissibilità del ricorso per cassazione
(nella specie, per manifesta infondatezza) preclude ogni possibilità sia di far valere sia di
rilevare di ufficio l’estinzione del reato per prescrizione, quand’anche maturata in data
anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata nel giudizio di
merito” – e Cass. sez. I, 4 giugno 2008 n. 22688; cfr. sull’ammissibilità quale presupposto del
vaglio dell’articolo 129, primo comma, c.p.p. da parte del giudice di legittimità anche S.U. 20
dicembre 2007-26 febbraio 2008 n. 8413).
Il crocevia interpretativo può sciogliersi in tre direzioni: ritenere che il giudice di legittimità è
tenuto ad applicare d’ufficio l’articolo 129, primo comma, c.p.p., per la mera proposizione di un
ricorso, a prescindere dal fatto che questo sia inammissibile (e qui occorre però distinguere tra
l’ipotesi in cui la causa di non punibilità sia maturata durante la fase di merito o
successivamente); ritenere che il giudice di legittimità sia tenuto a tale applicazione solo se il
ricorso è ammissibile, e a prescindere – sussistendo comunque l’obbligo ufficioso – dalla
presenza nel ricorso di un motivo attinente all’articolo 129, primo comma, c.p.p.; ritenere ch

legge che non sia il ricorso di legittimità; ma pervengono più oltre, ritenendo che il giudice di

sia sufficiente a rendere ammissibile (sul piano della non manifesta infondatezza, prescindendo
ovviamente dalle inammissibilità di rito stricto sensu) il ricorso la presenza in esso di un motivo
attinente all’articolo 129, primo comma, c.p.p. per maturazione di prescrizione avvenuta prima
della sentenza d’appello, nel senso di far valere, come violazione di legge, l’omessa
dichiarazione d’ufficio della estinzione del reato per prescrizione. Quest’ultima prospettazione
corrisponde alla fattispecie in esame: il ricorrente ha agito esclusivamente per far valere
l’omessa dichiarazione d’ufficio da parte della corte territoriale della estinzione per
prescrizione.
3.4 S.U. 22 marzo 2005 n. 23428, nota come sentenza Bracale, a ben guardare non si
contrappone a una simile opzione interpretativa. Nella sua motivazione, infatti, opera una
ampia rassegna del progressivo sviluppo della giurisprudenza delle Sezioni Unite sugli effetti
della inammissibilità originaria del ricorso al giudice di legittimità, da cui viene tratto il concetto
del giudicato sostanziale (che, osserva la pronuncia, trova limite solo

nell’aboliti° criminis

e

nella dichiarata illegittimità costituzionale, unico spazio di cognizione rimasto al giudice in caso
di impugnazione inammissibile), la cui formazione deriva “dalla proposizione di un atto di
impugnazione invalido” e quindi preclude “ogni possibilità sia di far valere una causa di non
punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio”. Il presupposto, dunque,
dell’inapplicabilità dell’articolo 129, primo comma, c.p.p., è l’inammissibilità originaria del
ricorso: ma la pronuncia, invero, non afferma che un motivo fondato sull’omessa applicazione
officiosa della prescrizione da parte del giudice d’appello non è idoneo a dare contenuto di
ammissibilità al ricorso per cassazione, vale a dire non si pone in contrasto con la
giurisprudenza successiva, sopra richiamata, che riconosce l’ammissibilità del ricorso in cui si
fa valere d’ufficio l’omessa dichiarazione della prescrizione da parte del giudice d’appello. È
vero che la frase riversata nella massima per cui l’impugnazione inammissibile preclude “sia di
far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio”
potrebbe essere, astrattamente, riferita anche ad una dichiarazione di estinzione non officiosa
perché la relativa questione è stata “fatta valere” dal ricorrente: il che potrebbe allora
significare che un unico motivo ex articolo 129, primo comma,c.p.p. non renderebbe il ricorso
ammissibile. Purtuttavia, la frase deve essere, in base ai principi prima ancora che
dell’interpretazione, della mera percezione logica, intesa contestualizzandola nel complessivo
tessuto motivazionale della pronuncia.
In primo luogo, detta motivazione non illustra per quale ragione un unico motivo di tal
genere rientrerebbe nella inammissibilità, pur essendo evidentemente qualificabile ex articolo
606 c.p.p. come denuncia di violazione di legge, dal momento che l’articolo 129 c.p.p., ben più
che un potere, come recita la rubrica impone al giudice un “obbligo”, obbligo che il giudice di
merito è tenuto ad adempiere. A ciò si aggiunga che, come già sopra accennato, una cosa è la
maturazione della prescrizione durante il giudizio di merito – essendo in tal caso configurabile
l’obbligo del giudice di primo grado se la maturazione è antecedente alla conclusione del

giudizio dinanzi a lui, di quello d’appello se il giudice di primo grado non ha adempiuto e se la
maturazione avvenuta tra la sentenza di primo e la sentenza di secondo grado -, un’altra è la
maturazione della prescrizione successiva, cioè nel tempo intercorrente tra la pronuncia della
sentenza impugnata con il ricorso e il ricorso stesso. In quest’ultimo caso, chiedere la
dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione non costituisce censura della sentenza
impugnata per violazione di legge, poiché il giudice di merito che l’ha pronunciata non è
incorso in alcuna omissione. Può essere invece configurabile (salvo quanto si dirà

infra

violazione dell’articolo 581, lettera a), e quindi ai sensi dell’articolo 591, primo comma, lettera
c), del codice di rito. E infatti l’arresto in esame giunge a evidenziare quale esito della rassegna
delle “linee ermeneutiche tracciate dalle decisioni delle Sezioni unite” proprio “l’ulteriore
principio di diritto secondo cui il ricorso per cassazione proposto esclusivamente per far valere
la prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata e prima della proposizione dell’atto
d’impugnazione, se privo di qualsiasi doglianza relativa alla sentenza medesima, viola il criterio
rinunciato nell’art. 581, lett. a),” ed è quindi inammissibile (come già affermato per
proposizione di motivo non riconducibile ai motivi tipici di cui all’articolo 606 c.p.p. da S.U. 27
giugno 2001 n. 33542).
In secondo luogo, non si può non tener in conto che la questione che era stata rimessa alle
Sezioni Unite si riferiva non alla proposizione di un ricorso che facesse valere (soltanto)
l’intervenuta prescrizione, bensì alla sussistenza del “potere-dovere del giudice di legittimità di
dichiarare, ex art. 129 c.p.p., nonostante l’inammissibilità del ricorso, l’estinzione del reato per
prescrizione qualora questa sia maturata prima della sentenza d’appello ma non sia stata né
dedotta dalla parte né rilevata dal giudice”. Si trattava, dunque, di un tentativo di erosione
dell’istituto giurisprudenziale del giudicato sostanziale operato dalla sezione remittente che
aveva già riscontrato sia l’inammissibilità del ricorso per mancanza di specificità dei motivi, sia
l’assenza nel ricorso di una doglianza ex articolo 129, primo comma, sia l’intervenuta
prescrizione prima della pronuncia di secondo grado per due dei reati ascritti all’imputato. La
risposta delle Sezioni Unite è dunque a questo quesito, e non aggiunge nulla di specifico nel
senso di dilatare, al contrario, il giudicato sostanziale affinché in qualche modo “copra” anche
l’ipotesi che in questa sede si sta esaminando, vale a dire renda inammissibile il motivo – e
conseguentemente il ricorso – che fa valere la violazione dell’obbligo di declaratoria della
maturata prescrizione da parte del giudice d’appello.
3.5 In conclusione, risulta sì tralatizio, ma in realtà difficilmente sostenibile, evincere dalla
sentenza Bracale un effettivo contrasto con la giurisprudenza che riconosce ammissibile il
ricorso diretto a far valere la violazione del siffatto obbligo. Rimane – si nota ormai per inciso
non essendo più necessario addentrarsi oltre perché dalle considerazioni appena svolte
l’adesione all’orientamento che giudica ammissibile un ricorso come quello in esame risulta
confermata quale scelta giuridicamente corretta e ragionevole – aperta la questione che aveva

sull’obbligo del giudice di legittimità ex articolo 129) la inammissibilità del ricorso, per

dato adito all’intervento delle Sezioni Unite: se cioè il giudicato sostanziale, frutto di una

approfondita elaborazione nomofilattica, peraltro forse più integrativa che ermeneutica (tra
l’altro, è nettamente distinto dal giudicato parziale), possa incidere sull’ambito di applicabilità
dell’obbligo di declaratoria di cause di non punibilità che l’articolo 129 impone apparentemente
senza differenza “in ogni stato e grado del processo”, ovvero tanto al giudice di merito quanto
al giudice di legittimità, visto che quest’ultimo non governa una sorta di

post factum

processuale. Ovvero, da un altro punto di vista, se il giudicato sostanziale possa “ingoiare” lo

impugnazione, proporzionalmente svuotando il codicistico giudicato formale. A questo quesito
ha dato risposta negativa quella recentissima giurisprudenza più sopra citata che ha
riconosciuto l’esistenza dell’obbligo de quo pure a fronte di un ricorso inammissibile, animando
argomentazioni in questa sede non approfondibili (da ultimo Cass. sez.V, 17 settembre 2012 n.
42950, che si associa a Cass. sez.V, 11 luglio 2011,n. 47024), dalla qualificazione della
prescrizione quale garanzia per chi ha commesso reati di non essere punito decorso un
determinato periodo di tempo (discutibile, essendo difficile ravvisare nella prescrizione una
sorta di “premio” individuale per il colpevole non condannato entro un certo periodo di tempo,
anziché piuttosto un parametro temporale dell’interesse collettivo alla punizione rieducativa di
chi commette reati) alla difficoltà logica prima ancora che giuridica di accettare eccezioni – pur
riconosciute dalle Sezioni Unite – alla stabilità del giudicato sostanziale (forse l’argomento più
pregnante).
In conclusione, il ricorso è fondato, nel senso che la corte territoriale ha violato l’obbligo
impostole dall’articolo 129, primo comma, c.p.p. di dichiarare estinti per prescrizione i reati
contestati all’imputato. Ne consegue, in accoglimento della doglianza, la suddetta dichiarazione
in questa sede e l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato essendo il reato estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma il 30 gennaio 2014

Il Consigl

Estensore

Il Presidente

spazio che il legislatore ha elargito (nell’ottica di un favor innocentiae)all’imputato mediante la

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