Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11097 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 11097 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– DI LIZIO INGARA, n. 14/01/1953 a ORTONA

avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’AQUILA in data 16/01/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Cons. Dott. Pietro Gaeta, che ha concluso per l’annullamento senza
rinvio dell’impugnata sentenza, per il capo relativo alle spese di parte civile, e
per il rigetto nel resto;
udite le conclusioni dell’Avv. Luigi Massari Colavecchi del Foro di Pescara, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 07/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. DI LIZIO INGARA ha proposto personalmente tempestivo ricorso avverso la
sentenza della Corte d’Appello di L’AQUILA in data 16/01/2013, depositata in
data 24/01/2013, con cui veniva confermata la sentenza 25/06/2009 emessa dal

condannata alla pena sospesa di mesi quattro di reclusione (oltre al pagamento
delle spese processuali, alla confisca e distruzione di quanto sequestrato ed al
risarcimento dei danni in favore della Polini motori s.p.a. liquidati in 2000 euro e
spese di costituzione e difesa della parte civile), per il reato di cui all’art. 56/515
cod. pen., perché, detenendo per la vendita una mini moto “Paolini”, poneva in
essere atti idonei, diretti in modo non equivoco, a trarre in inganno i potenziali
acquirenti sulla provenienza di detta moto; fatto commesso 1’8 febbraio 2007.

2. Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputata, deducendo tre motivi di
ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione
ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con un primo motivo, l’erronea applicazione degli artt. 56 e 515
cod. pen. in relazione all’art. 606, lett. b), c.p.p.; in sintesi, si duole la ricorrente
per aver la Corte territoriale ritenuto sussistente il tentativo di frode in
commercio sul presupposto che la moto oggetto dell’accertamento fosse una
copia dell’originale prodotto dalla ditta Polini, per ciò solo idonea ad ingannare i
potenziali acquirenti, senza necessità che vi fosse apposto il relativo marchio
contraffatto; secondo la ricorrente, il ragionamento della Corte equivale ad
un’affermazione erronea di tutela della sagoma del prodotto, ovvero del suo
aspetto esteriore, indipendentemente dalla sua identificazione commerciale;
diversamente, per le automobili ed i motocicli non potrebbe aversi la stessa
tutela che è prevista negli altri settori commerciali, essendo la forma del
prodotto più o meno ripetuta, con leggere variazioni di stile a seconda del
periodo commerciale.

2.2. Deduce, con un secondo motivo, l’inosservanza dell’art. 541, comma 1,
c.p.p. in relazione all’art. 606, lett. c), c.p.p.; in sintesi, si duole la ricorrente per
aver la Corte territoriale condannato la stessa al pagamento delle spese di
patrocinio del grado in favore della parte civile, liquidate in 1200 euro oltre
accessori di legge, nonostante che all’udienza svoltasi davanti alla Corte
2

Tribunale di CHIETI, SEZ. DIST. ORTONA, con cui la medesima imputata è stata

d’appello la parte civile non fosse presente; in altri termini, per poter ottenere la
liquidazione delle spese di patrocinio nel grado, la parte civile avrebbe dovuto
essere presente, non potendo vantare il diritto al rimborso delle spese di
assistenza difensiva quando la stessa non sia stata espletata e le relative spese
non siano state sostenute per la mancata comparizione della parte civile.

2.3. Deduce, con il terzo ed ultimo motivo, l’inosservanza dell’art. 420-ter c.p.p.,

in relazione all’art. 606, lett. c), c.p.p.; in sintesi, si duole la ricorrente per aver il
giudice d’appello rigettato l’istanza di rinvio del dibattimento, depositata dal
difensore legittimato, impegnato in una concomitante discussione presso la Corte
di Cassazione; la motivazione del rigetto (per non essere stata indicata
nell’istanza la causa per la quale il difensore non riteneva di potersi fare
sostituire nel processo d’appello o in quello davanti alla Cassazione), secondo la
censura della ricorrente, sarebbe apparente, in quanto il rapporto fiduciario con il
cliente è notorio quanto implicito nel mandato difensivo, caratterizzato per la
personalità nell’espletamento dell’attività professionale correlata; inoltre,
evidenzia che l’assistenza difensiva del legale, impegnato nella stessa giornata di
udienza in altra sede, era insostituibile, avendo l’altro difensore rinunziato al
mandato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è solo parzialmente fondato.

4. Ritiene anzitutto il Collegio infondato il primo motivo.
Come già esposto in sede di illustrazione del motivo, il ricorrente sostiene
l’insussistenza del tentativo di frode in commercio in quanto, a differenza dei
“normali” prodotti commerciali non potrebbe aversi per gli automobili e di
motocicli la stessa tutela, essendo la forma del prodotto più o meno ripetuta, con
leggere variazioni di stile a seconda del periodo commerciale (evoca, a tal
proposito, la commercializzazione da parte della casa automobilistica spagnola
SEAT di un modello, la Marbella, in tutto corrispondente al modello Panda della
casa automobilistica italiana Fiat). Ritenere sussistente il reato, per il sol fatto
che la moto fosse una copia dell’originale prodotto dalla ditta Polini (per ciò solo
idonea ad ingannare i potenziali acquirenti, senza necessità che vi fosse apposto
il relativo marchio contraffatto), equivarrebbe ad un’affermazione erronea di
tutela della sagoma del prodotto, ovvero del suo aspetto esteriore,
indipendentemente dalla sua identificazione commerciale.
3

itt

La tesi, pur suggestiva, non convince.
Ed infatti, nel caso del delitto di cui all’art. 515 c.p., trattandosi di un reato di
pericolo, diretto alla tutela dell’ordine economico, è sufficiente che vi sia la
possibilità di confusione fra marchi o segni distintivi anche con un esame
frettoloso e superficiale del prodotto messo in vendita, quale è quello compiuto
dal compratore di media diligenza. Per tale ragione, il carattere plurioffensivo
della frode in commercio sussiste anche quando la cosa richiesta dal cliente

dell’esercizio commerciale non sia tutelata da un marchio o da altra speciale
protezione, giacché la norma di cui all’art.515 cod.pen. tutela oggettivamente il
leale esercizio del commercio e, quindi, sia l’interesse del consumatore a non
ricevere una cosa diversa da quella richiesta, sia l’interesse del produttore a non
vedere i suoi prodotti scambiati surrettiziamente con prodotti diversi (v., in
termini: Sez. 3, n. 4375 del 18/03/1997 – dep. 12/05/1997, Stopponi, Rv.
208273).
Ed allora, ne consegue che qualora un commerciante (nel caso di specie, la ditta
del ricorrente) ponga in vendita un prodotto da lui non fabbricato ma con
marchio simile (nella specie “Paolini”) e la cui sagoma riproduca esteriormente
l’originale prodotto da altro commerciante (nel caso di specie, la ditta “Polini”,
costituitasi parte civile), è configurabile il delitto di frode in commercio se con
l’uso di tale marchio (Paolini) – unito alla foggia esteriore del veicolo costituente
una copia dell’originale commercializzato da altro produttore -, il compratore
possa essere indotto in inganno circa la provenienza e la qualità del prodotto
acquistato.

5. Fondato è, invece, il secondo motivo.
Emerge dalla decisione impugnata che la Corte d’appello ha condannato la
ricorrente al pagamento delle spese di patrocinio del grado in favore della parte
civile, nonostante che all’udienza svoltasi il 16 gennaio 2013 davanti alla Corte
d’appello la parte civile non fosse presente.
L’art. 541 cod. proc. pen., sotto la rubrica «Condanna alle spese relative
all’azione civile», prevede al comma primo, che “Con la sentenza che accoglie la
domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il giudice condanna
l’imputato e il responsabile civile in solido al pagamento delle spese processuali
in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la
compensazione totale o parziale”.
Sul presupposto, di carattere generale, che le spese processuali seguono la
soccombenza, la norma in esame, dispone che con la sentenza che accoglie la
domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il giudice condanni
4

k,

l’imputato e il responsabile civile in solido al pagamento delle spese processuali
in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la
compensazione totale o parziale. È condizione necessaria una pronuncia sulla

restitutio in integrum o sul risarcimento del danno, che a sua volta postula, a
norma dell’art. 538, 1° co., una declaratoria di condanna dell’imputato.
La disposizione in esame, dunque, pur non attribuendo al giudice alcuna

rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile quando pronunci
sentenza di condanna (come si desume dall’espressione utilizzata “il giudice

condanna”), subordina, tuttavia, esplicitamente, la statuizione condannatoria, da
un lato, all’adozione di una sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di
risarcimento del danno e, implicitamente, all’iniziativa di parte.
La necessità di una “domanda” della parte civile finalizzata alla rifusione delle
spese processuali è indubbiamente desumibile dal sistema, sia perché è difficile
ipotizzare una decisione restitutoria o risarcitoria che non presupponga una
previa domanda, sia perché l’art. 153 disp. att. cod. proc. pen. esplicitamente
prevede, per la parte civile, l’onere di presentazione di una nota spese
contestualmente alle conclusioni.
Se è ben vero – come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa
Corte (Sez. U, n. 20 del 27/10/1999 – dep. 03/12/1999, Fraccari, Rv. 214641) -,
che, non comminando l’art. 153 disp. att. cod. proc. pen. alcuna sanzione di
nullità o inammissibilità per l’inosservanza del dovere della parte civile di
produrre l’apposita nota, la mancanza di questa, ove la domanda di rifusione sia
stata tempestivamente proposta, non ne preclude la liquidazione in favore della
stessa parte civile sulla base della tariffa professionale vigente, con esclusione
del rimborso delle spese vive in relazione alle quali, viceversa, è necessaria la
specificazione e l’allegazione di adeguata documentazione probatoria, è
altrettanto vero, però, che condizione necessaria per la liquidazione delle spese è
che la parte abbia svolto attività defensionale nel grado, sostenendo le relative
spese processuali, in quanto presupposto per ottenerne la rifusione è che la
parte le abbia effettivamente sostenute.
Il Collegio condivide, dunque, la doglianza della ricorrente, in quanto, per poter
ottenere la liquidazione delle spese di patrocinio nel grado, la parte civile
avrebbe dovuto essere presente all’udienza davanti alla Corte d’appello, non
potendo vantare il diritto al rimborso delle spese di assistenza difensiva quando
la stessa non sia stata espletata e le relative spese non siano state sostenute per
la sua mancata comparizione. Ciò trova, del resto, conferma nella stessa
giurisprudenza di questa Corte, essendosi affermato, con riferimento al giudizio
5

discrezionalità in merito all’an della decisione di condannare l’imputato alla

di Cassazione, da un lato, che quando la parte civile non intervenga nella
discussione in pubblica udienza, non può provvedersi alla liquidazione delle spese
stesse (Sez. 5, n. 1693 del 31/01/1995 – dep. 21/02/1995, Cafagna ed altri, Rv.
200664) e, dall’altro, nel caso di giudizio camerale non partecipato ex art. 611
cod. proc. pen., che la liquidazione delle spese processuali in favore della parte
civile è ammessa purchè quest’ultima abbia effettivamente esplicato, nei modi e

la tutela dei propri interessi (Sez. U, ord. n. 5466 del 28/01/2004 – dep.
11/02/2004, Gallo, Rv. 226716).
Si tratta di principi che, rinviando l’art. 168 disp. att. c.p.p. alle disposizioni di
attuazione relative al giudizio di primo grado (ossia, all’art. 153 disp. att. cod.
proc. pen.), sono chiaramente applicabili anche al giudizio d’appello, attesa
l’identità di ratio che la condanna alla rifusione delle spese processuali svolge
anche in relazione a tale grado.

6. Infondato, infine, è il terzo motivo di ricorso.
La motivazione del rigetto dell’istanza di rinvio defensionale per concomitate
impegno processuale, attesa la mancata indicazione nell’istanza della causa per
la quale il difensore non riteneva di potersi fare sostituire nel processo d’appello
o in quello davanti alla Cassazione, è in linea con la giurisprudenza di questa
Corte.
Ed infatti, se, in tal caso, spetta al giudice effettuare una valutazione
comparativa dei diversi impegni al fine di contemperare le esigenze della difesa e
quelle della giurisdizione, accertando se sia effettivamente prevalente l’impegno
privilegiato dal difensore per le ragioni rappresentate nell’istanza e da riferire alla
particolare natura dell’attività cui occorre presenziare, alla mancanza o assenza
di un codifensore nonché all’impossibilità di avvalersi di un sostituto a norma
dell’art. 102 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009 – dep.
17/07/2009, P.G. in proc. De Marino, Rv. 244109), perché, però, l’impegno
professionale del difensore in altro procedimento possa essere assunto quale
legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, è
necessario che il difensore prospetti l’impedimento e chieda il rinvio non appena
conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni e che non si limiti a
comunicare e documentare l’esistenza di un contemporaneo impegno
professionale in altro processo, ma esponga le ragioni che rendono essenziale
l’espletamento della sua funzione in esso per la particolare natura dell’attività a
cui deve presenziare, l’assenza in detto procedimento di altro condifensore che
possa validamente difendere l’imputato, l’impossibilità di avvalersi di un sostituto
6

nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa dell’imputato per

ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui si intende partecipare
sia in quello di cui si chiede il rinvio (v., per tutte: Sez. U, n. 4708 del
27/03/1992 – dep. 24/04/1992, Fogliani, Rv. 190828).
Legittima, dunque, si appalesa la decisione di rigetto dell’istanza di rinvio
dell’udienza, pur tempestivamente presentata, per precedenti improrogabili
impegni professionali, qualora — come nel caso in esame – l’attestazione di

arduo dare la prova negativa di un fatto, è comunque onere del difensore istante
esplicitare le ragioni di detta impossibilità – che possono variamente riguardare
la difficoltà, delicatezza o complicazione del processo, l’esplicita richiesta
dell’assistito, l’assenza di altri avvocati nello studio del difensore, l’indisponibilità
di colleghi esperti nella medesima materia ecc. – per consentire al giudicante di
apprezzarle (v., in termini: Sez. 5, n. 41148 del 28/10/2010 – dep. 22/11/2010,
Cutrale, Rv. 248905). È onere, infatti, del difensore, che presenta istanza di
rinvio dell’udienza per legittimo impedimento, dare giustificazione della mancata
nomina di un sostituto (da ultimo: Sez. 3, n. 26408 del 02/05/2013 – dep.
18/06/2013, Convertini, Rv. 256294).

7. Il parziale accoglimento del ricorso quanto al secondo motivo, determina
pertanto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, limitatamente alla
statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali in favore della
parte civile, con rigetto del ricorso per il resto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla statuizione
attinente alla condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di parte civile
relative al giudizio di 2° grado, statuizione che elimina.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2014

Il Consigli-

Il Presidente

impossibilità di sostituzione sia assolutamente apodittica, in quanto, pur essendo

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