Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11095 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 11095 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dai difensori di:
Ghirardelli Vittorio, nato a Milano, il 5/9/1954;

avverso la sentenza del 5/11/2012 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Enrico
Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Massimo Krogh, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 5 novembre 2012 la Corte d’appello di Milano confermava la
condanna, intervenuta a seguito di giudizio abbreviato, di Ghirardelli Vittorio per il

Data Udienza: 13/02/2014

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reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo A2) in relazione alla distrazione in
proprio favore di risorse monetarie della Millecom Italia s.p.a., dichiarata fallita I’l
aprile 2004 e di cui era amministratore. Contestualmente la Corte distrettuale, in
parziale riforma della pronunzia di primo grado, assolveva l’imputato per insussistenza
del fatto in relazione ad una ulteriore analoga contestazione (capo Al) relativa alla
dissipazione della somma di 350.000 euro impiegata nell’acquisto di azioni di una
società spagnola vendute dallo stesso Ghirardelli e conseguentemente rimodulava la

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo dei propri difensori articolando sei
motivi.
2.1 Con il primo deduce vizi motivazionali della sentenza – sotto il profilo del
“travisamento della prova” -, rilevando come la Corte distrettuale abbia fondato la
propria decisione in merito alle presunte distrazioni consumate nel 2001 e nel 2002 per
complessivi 60.000 euro circa sull’errato ed apodittico assunto che l’imputato non
avrebbe contestato la materialità della condotta illecita, ma soltanto la sussistenza del
dolo necessario alla configurabilità del reato. In realtà la difesa avrebbe sempre
sostenuto l’inconfigurabilità della qualifica distrattiva attribuita alle somme prelevate
dalle casse della società dal Ghirardelli e ciò in quanto le stesse sarebbero state
impiegate per spese attinenti all’attività aziendale compatibili con la carica rivestita
dall’imputato, la cui documentazione andava ricercata in ambito societario e la cui
estraneità agli scopi d’impresa doveva comunque essere dimostrato dall’accusa e non
dal Ghirardelli. Non di meno i giudici milanesi avrebbero in tal senso trascurato di
prendere in considerazione sul punto i motivi nuovi d’appello, nei quali erano state
esplicitamente richiamate le conclusioni del consulente della difesa in merito alla
qualificazione delle spese contestate. Infine il giudice d’appello, pur sollecitato in
proposito con il gravame di merito, avrebbe omesso di valutare il fatto che le spese
contestate vennero comunque compensate con quanto dovuto all’imputato per la
cessione delle azioni oggetto dell’imputazione di cui al capo Al, dalla quale peraltro egli
è stato poi assolto.
2.2 Ulteriori vizi motivazionali vengono denunciati con il secondo motivo in ordine alla
ricostruzione effettuata in sentenza dell’entità della presunta distrazione. Ed infatti la
Corte distrettuale avrebbe mal compreso i calcoli effettuati dal giudice di prime cure ed
avrebbe sostanzialmente confermato la condanna dell’imputato in relazione a somme
per la cui distrazione il G.u.p. lo aveva invece assolto, mentre avrebbe escluso che nei
conteggi effettuati da quest’ultimo rientrassero anche gli oltre 90.000 euro invece
considerati dallo stesso ai fini della condanna. In conclusione i giudici d’appello
avrebbero condannato il Ghirardelli per un fatto dal quale in primo grado era stato
assolto e lo avrebbero implicitamente assolto per quello per cui era stato invece

pena in suo favore.

condannato con la pronunzia appellata. Non solo, con motivazione contraddittoria, i
giudici d’appello avrebbero riconosciuto non esservi distrazione per l’ulteriore somma di
69.000 euro (pure conteggiata dal G.u.p.), senza poi coerentemente pronunziare
assoluzione in riferimento alla medesima.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’errata applicazione degli artt. 40 e 41 c.p.
e implicitamente correlate carenze nella motivazione della sentenza in merito alla
sussistenza di un nesso causale tra le condotte contestate e il dissesto della fallita,

maggior ragione alla luce della modesta entità delle somme di cui si è affermata la
distrazione.
2.4 Con il quarto motivo vengono dedotte analoghe carenze motivazionali in merito alla
sussistenza dell’elemento psicologico del reato addebitato, rilevandosi in proposito
come la Corte territoriale avrebbe ignorato i rilievi difensivi sull’assenza del dolo di
bancarotta sotto il duplice profilo della consapevolezza di dare al patrimonio della fallita
una diversa destinazione da quella propria e di ridurre le garanzie creditorie. Rilievi
imperniati soprattutto sul fatto che i prelievi contestati sarebbero stati frazionati nel
tempo e, singolarmente considerati, di modestissima entità e comunque effettuati per
sostenere spese coerenti con l’attività svolta dall’amministratore.
2.5 Con il quinto motivo, invece, si contesta la qualificazione giuridica attribuita ai fatti
dai giudici d’appello, evidenziando come, a tutto concedere, le condotte imputate al
Ghirardelli integrerebbero non già la fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale,
bensì quella di bancarotta semplice ai sensi degli artt. 224 n. 1) e 217 comma 1 n. 1)
legge fall.
2.6 Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente deduce infine la violazione degli artt. 62
bis e 133 c.p. e correlati difetti di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio
applicato dai giudici d’appello, che avrebbero ingiustificatamente qualificato come gravi
i fatti contestati, nonché impropriamente dedotto dalla carica ricoperta dall’imputato
motivo per non contenere nei minimi la pena, ignorando per contro la sua
incensuratezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato nei limiti che di seguito verranno esposti.
2. I primi tre motivi possono essere invero trattati congiuntamente, atteso che con essi
vengono sollevate questioni tutte attinenti all’elemento oggettivo della bancarotta
patrimoniale.
2.1 Come illustrato in precedenza, dopo che attraverso di diversi gradi del giudizio di
merito si è assistito ad una progressiva erosione dell’originaria piattaforma imputativa,

pacificamente non determinato dai comportamenti gestionali dell’amministratore, a

il Ghirardelli è stato alfine condannato sostanzialmente per aver impiegato risorse della
fallita per scopi estranei alla gestione dell’impresa.
2.2 Con il primo motivo il ricorrente contesta l’affermazione dei giudici milanesi
secondo cui l’imputato non avrebbe contestato la materialità della condotta
addebitatagli, quantomeno con riguardo al sostenimento di spese ingiustificate per
circa 60.000 euro nel corso del 2001 e del 2002, atteso che con il gravame di merito la
difesa aveva rivendicato l’irrilevanza penale delle stesse in quanto connesse

2.3 L’obiezione è peraltro infondata al limite dell’inammissibilità. La sentenza infatti si
limita a recepire quanto sostenuto nei motivi d’appello (e ribadito nel ricorso a p. 18) e
cioè che, rispetto ai 150.000 euro che avrebbero costituito l’oggetto della distrazione
originariamente imputata, al più risulterebbero, all’esito della prova acquisita, soltanto
spese non documentate dall’amministratore per l’ammontare menzionato in
precedenza. Ed in tal senso correttamente la Corte distrettuale ha dunque inteso che la
difesa non aveva messo in dubbio la materialità della condotta contestata, quantomeno
con riguardo a tale ammontare. Ciò che invero la difesa aveva contestato non era
infatti l’esistenza di spese finanziate dalla società e non documentate
dall’amministratore, quanto la loro estraneità agli scopi sociali. Doglianza questa che
solo apparentemente non ha trovato risposta nella sentenza impugnata e in relazione
alla quale risultano infondate le ulteriori lamentele circa una presunta inversione
dell’onere della prova cui sarebbero ricorsi i giudici di merito.
2.4 In merito va innanzi tutto ricordato il consolidato orientamento di questa Corte per
cui la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita
può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della
destinazione dei beni a seguito del loro mancato rinvenimento (ex multis Sez. 5 n.
7048/09 del 27 novembre 2008, Bianchini, rv 243295). La costante elaborazione
giurisprudenziale seguita in proposito dal giudice di legittimità si ancora alla peculiare
normativa concorsuale. Innanzi tutto, infatti, l’imprenditore è posto dal nostro
ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la
garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di
quest’ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua
conservazione in ragione dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del
patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa
creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta
fraudolenta. In secondo luogo, la legge fall., all’art. 87, comma 3 (anche prima della
sua riforma), assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa
al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo
alla sanzione penale. Immediata è la conclusione che le condotte descritte all’art. 216.
comma 1, n. 1 (tra loro sostanzialmente equipollenti) hanno (anche) diretto riferimento

all’esercizio della carica di amministratore da parte del Ghirardelli.

x.
alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell’interpello. Osservazioni queste
che giustificano l'(apparente) inversione dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso
di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di
giustificazione al proposito (o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri
attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione).
Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della
concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente)

2.5 Nel ritenere oggetto di distrazione le spese non documentate dall’amministratore, i
giudici dell’appello hanno dunque fatto corretta applicazione di questi principi, atteso
che era onere del Ghiradelli, una volta accertato l’ammanco di danaro, dimostrare
l’effettivo impiego dello stesso per gli scopi aziendali. Onere che certo non può ritenersi
assolto, come contestato dal ricorrente, facendo generico riferimento a non meglio
precisati costi inerenti lo svolgimento della funzione gestoria, atteso che è dovere
dell’amministratore documentare ai fini della completezza e coerenza della contabilità
societaria le spese sostenute anche a tale titolo. Atteso poi che il profilo sollevato con il
gravame di merito sul punto atteneva ad una questione di diritto, alcuna lamentela può
essere proposta in questa sede sulla completezza della motivazione, dovendosi ribadire
in proposito il consolidato principio per cui il vizio di motivazione denunciabile nel
giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di
diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o
contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte,
non può sussistere ragione alcuna di doglianza (Sez. 2, n. 19696 del 20 maggio 2010,
Maugeri e altri, Rv. 247123; Sez. Un., n. 155/12 del 29 settembre 2011, Rossi e altri,
in motivazione).
2.6 Parimenti infondata è la censura avanzata con il terzo motivo in merito al difetto di
relazione causale tra le presunte distrazioni e il dissesto della fallita, dovendosi in
proposito ribadire il consolidato insegnamento di questa Corte – certo non scalfito
dall’oramai isolato precedente di segno contrario implicitamente evocato nella
discussione orale dalla difesa – per cui il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione
non richiede l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto
dell’impresa, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, detti fatti
assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche
quando l’impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza (ex multis e da ultima
Sez. 5, n. 27993 del 12 febbraio 2013, Di Grandi e altri, Rv. 255567).

3. Colgono invece nel segno le doglianze sollevate con il secondo motivo di ricorso, il
cui accoglimento comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso non già
esaminati.

soltanto egli, che è, oltre che il responsabile, l’artefice della gestione, può rendere.

3.1 In effetti nella motivazione della sentenza impugnata (pervero assai sintetica sul
punto) si procede in maniera non lineare alla determinazione del reale ammontare delle
distrazioni, seguendo un percorso apparentemente diverso da quello tracciato dal
giudice di prime cure, ma senza spiegare perché le poste considerate dovessero
ritenersi ricomprese in quelle calcolate da quest’ultimo, la cui decisione è stata
comunque contraddittoriamente confermata sul punto, ancorchè la Corte distrettuale
abbia ritenuto in ogni caso accertata una distrazione di entità inferiore. Conclusione che

è stata valutata al momento della determinazione del trattamento sanzionatorio, anche
solo per escluderne la concreta incidenza, come pure era facoltà dei giudici milanesi
fare sostenendo però tale conclusione con adeguata motivazione.
3.2 Non di meno la sentenza impugnata non ha dato conto di aver preso in
considerazione tutte le obiezioni sollevate dall’imputato con il gravame di merito (e
soprattutto con i motivi nuovi d’appello) in ordine alla corretta ricostruzione delle
somme contestate, che pure, in quanto specifiche, necessitavano di essere confutate
per legittimare la conferma della pronunzia di primo grado.
3.3 Conseguentemente la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione
della Corte d’appello di Milano per nuovo esame in merito alla esatta determinazione
dell’ammontare delle somme distratte.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte
d’appello di Milano.
Così deciso il 13/2/2014

peraltro non ha trovato riscontro nel dispositivo della sentenza, ma che soprattutto non

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