Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 11003 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 11003 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Barni Fabio n. il 21.3.1978
avverso l’ordinanza n. 3392/2013 pronunciata dal Tribunale della
libertà di Roma il 27.11.2013;
sentita nella camera di consiglio del 28.2.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Pratola, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 28/02/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 2.1.2014, Fabio Barni, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza
emessa in data 27.11/24.12.2013 con la quale il tribunale del riesame
di Roma ha confermato l’ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari emessa, a carico del ricorrente, in data 31.10.2013,
dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma, in
relazione ai reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico
di sostanze stupefacenti e di illecita detenzione e spaccio di stupefacenti, commessi in Roma e altre località nel corso dell’anno 2010.
Con il ricorso proposto in questa sede, il ricorrente censura
l’ordinanza impugnata per violazione di legge, per avere il giudice del
riesame omesso di approfondire adeguatamente il tema del dolo specifico legato alla commissione del reato associativo, trascurando di
riconoscere la riconducibilità della fattispecie de qua all’ipotesi lieve
di cui all’art. 74, co. 6, d.p.r. n. 309/90, e per avere infine ascritto, a
carico dell’imputato, i reati allo stesso contestati sulla base del contenuto di intercettazioni telefoniche del tutto prive di sufficiente e adeguata idoneità rappresentativa.
2. –

Considerato in diritto
3. – Il ricorso è infondato.
Dev’essere preliminarmente disattesa la doglianza avanzata
dal ricorrente con riguardo al preteso mancato approfondimento (e al
conseguente asserito omesso accertamento) della sussistenza dell’elemento soggettivo costituito dal dolo specifico riferito al delitto associativo contestato al Barni, avendo il tribunale del riesame sottolineato (anche attraverso l’indicazione delle corrispondenti fonti di prova)
la molteplicità degli episodi di traffico di stupefacenti in relazione ai
quali le condotte del Barni sono apparse connotate da modalità operative ed esecutive sostanzialmente ripetitive e coincidenti tra loro,
con particolare riguardo all’individuazione delle fonti di approvvigionamento dello stupefacente, costantemente rinvenute nella persona
del Mascia, soggetto identificato quale figura di spicco (dirigente)
dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti attiva nella zona di Roma-Ostia e specificamente incaricato di provvedere all’ap-

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provvigionamento dello stupefacente e alla relativa commercializzazione attraverso la rete dei propri distributori.
Sul punto, varrà richiamare il consolidato insegnamento di
questa giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, ai fini della
configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è richiesto un patto espresso fra gli associati,
ben potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità esecutive
dei reati-fine e dalla loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, dalla
ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiungimento di
un comune obiettivo e dall’esistenza di una struttura organizzativa,
sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della
continuità temporale del vincolo criminale (Cass., Sez. 6, n.
40505/2009, Rv. 245282).
Sul punto, mette ulteriormente conto di sottolineare come la
prova del reato associativo ben può essere tratta dall’intervenuto accertamento della commissione dei diversi reati-fine da parte degli associati, tanto desumendosi dall’insegnamento, che risale agli arresti
delle sezioni unite di questa corte (successivamente confermato dal
consolidato indirizzo sul punto seguito dalle sezioni semplici), secondo cui, in tema di reati associativi, è consentito al giudice (pur
nell’autonomia del reato-mezzo rispetto ai reati fine) dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti
rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive (in
termini di continuità dei contatti, frequenza degli aggiornamenti, familiarità e immediata reciproca comprensione dei linguaggi apparentemente criptici, etc.), posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Cass., Sez. Un., n.
10/2001, Rv. 218376, e successive conformi).
Con particolare riguardo alla doglianza del ricorrente riferita
alla pretesa relativa mancanza di consapevolezza di partecipare al sodalizio criminoso in esame, del tutto correttamente il giudice del riesame si è allineato all’insegnamento di questa corte di legittimità, ai
sensi del quale la partecipazione all’associazione criminosa non richiede la precisa conoscenza (e, tanto meno, la deliberazione) di tutte
le attività che rientrano nel suo programma, di per sé indeterminato,
essendo sufficiente la consapevolezza del partecipe della natura illecita di tali attività; egli infatti è responsabile dell’attività associativa che
svolge e dei reati-fine alla cui deliberazione concorre, per cui, allorché

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l’associazione sia dedita al traffico di stupefacenti, il partecipeacquirente stabile risponde del contributo dato in tale qualità alla vita
e all’azione dell’associazione criminale (Cass., Sez. 6, n. 5405/2009).
In tal senso, il reato di partecipazione a un’associazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti può ravvisarsi anche
relativamente alla posizione dello stabile acquirente della sostanza
stupefacente dall’associazione. In tal caso, infatti, la contrapposizione
tra i soggetti tipica dello schema contrattuale sinallagmatico resta superata e assorbita nel rapporto associativo, per l’interesse preminente
dei protagonisti dello scambio alla stabilità del rapporto, che assicura
la certezza del contraente sia all’associazione, che trova la garanzia
della disponibilità dell’acquirente della sostanza stupefacente commerciata, sia all’acquirente, che deriva dal rapporto associativo la certezza della fornitura (Cass., Sez. 6, n. 5405/2009, cit.).
Del tutto generiche, sotto altro profilo, devono ritenersi la censure avanzate dal ricorrente con riguardo alla pretesa configurabilità,
nella specie, dell’ipotesi di cui all’art. 74, co. 6, d.p.r. n. 309/90,
avendo il ricorrente omesso di specificare il benché minimo elemento
di riscontro idoneo a caratterizzare concretamente, sul piano probatorio, il ricorso di episodi di traffico di stupefacente connotati, in
termini obiettivi, da aspetti effettivi di lieve entità.
Quanto infine al tema critico relativo all’asserita insussistenza
di un idoneo quadro indiziario riferibile alla commissione, da parte
del Barni, dei reati allo stesso contestati, rileva la corte come il tribunale del riesame abbia evidenziato, sulla base di una motivazione
esauriente e dotata di adeguata coerenza logica, sufficienti elementi
di prova che, nella loro congiunta considerazione, valgono con certezza a integrare gli estremi della gravità indiziaria richiesta ai fini
dell’adozione della misura cautelare disposta nei confronti del ricorrente in relazione a tutti i reati allo stesso ascritti.
E invero, il tribunale romano ha accuratamente riproposto,
nell’ordinata disposizione delle conversazioni intercettate contenuta
nella motivazione del provvedimento impugnato, il contesto entro il
quale la figura dell’odierno indagato è apparsa inserita con caratteri
di certezza e univocità: un contesto legato all’organizzazione e alla
realizzazione di una continuativa e frenetica attività di cessione di
stupefacenti da parte del ricorrente (unitamente al già ricordato Mascia), ricostruita dal giudice a quo sulla base di un ragionamento

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probatorio condotto secondo linee argomentative coerenti e del tutto
consequenziali tra loro.
È appena il caso di sottolineare come gli elementi istruttori in
questa sede utilizzati dal tribunale del riesame chiedono d’essere valutati nella fluida prospettiva della gravità indiziaria riferita alla riconducibilità all’indagato delle fattispecie criminose allo stesso
ascritte, la cui funzione (lungi dall’attestare in termini di piena certezza probatoria il ricorso della responsabilità penale dell’indagato)
non può che limitarsi al riscontro di una rilevante probabilità di fondatezza delle ipotesi criminose prospettate in sede d’accusa.
4. – Il riscontro dell’integrale infondatezza dei motivi
d’impugnazione illustrati con il ricorso proposto in questa sede, impone il rigetto dello stesso e la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.2.2014.

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