Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10999 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10999 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Wei Weizhan n. il 29.8.1981
Wei ihmju n. il 1.1.1955
Wu Wenhan n. il 8.1.1986
Wei Jiancun n. il 18.12.1985
Wei Ruhai n. il 21.5.1978
avverso l’ordinanza n. 74/2013 pronunciata dal Tribunale della
libertà di Firenze il 22.5.2013;
sentita nella camera di consiglio del 13.2.2014 la relazione fatta dal
Cons. don. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del doti . G. Pratola, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito per i ricorrenti l’avv.to M. Krogh del foro di Roma, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 28/02/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con ordinanza resa in data 18.5.2012, il tribunale di Firenze, in sede di riesame, ha confermato il provvedimento di sequestro
preventivo emesso, in data 28.4.2012, dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Firenze, con riguardo a somme di denaro rinvenute nella disponibilità di Wei Weizhan, Wei Junju, Wun
Wenhan, Wei Ruhai e Wei Jancun in relazione alla commissione dei
reati fiscali di cui agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74/2000 agli stessi contestati.
Con sentenza in data 16.1.2013, questa corte di cassazione ha
annullato l’ordinanza del tribunale di Firenze, rinviando al medesimo
giudice per nuovo esame.
Con ordinanza in data 22.5.2013, il tribunale di Firenze, pronunciando in sede di rinvio, ha confermato il provvedimento di sequestro delle somme di denaro de quibus, riconoscendo il ricorso di
sufficienti indici probatori in ordine alla commissione dei reati
d’infedele dichiarazione fiscale e di omessa dichiarazione contestati
agli indagati, sottolineando l’inidoneità della documentazione difensiva prodotta da questi ultimi, siccome depositata in copia – e in
quanto tale insuscettibile di fornire alcuna certezza con riguardo alla
relativa genuinità -, e confermando la sussistenza del fondato pericolo che la libera disponibilità delle somme in sequestro possa aggravare le conseguenze dei reati ipotizzati, evidenziando inoltre come, ove
si accedesse alla tesi difensiva secondo cui il denaro in sequestro sarebbe di proprietà di terzi, gli stessi indagati non sarebbero legittimati a rivendicarne la restituzione.
Avverso l’ordinanza del giudice del rinvio, a mezzo del proprio
difensore, hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli indagati.
Con l’impugnazione proposta, i ricorrenti censurano in
primo luogo l’ordinanza impugnata per vizio di motivazione in relazione all’art. 627 c.p.p., dolendosi del carattere meramente apparente
della motivazione dettata dal giudice del rinvio in relazione ai motivi
dell’annullamento pronunciato dalla corte di legittimità.
In particolare, i ricorrenti censurano la mancata valutazione,
da parte del giudice del riesame, della documentazione difensiva dagli stessi prodotta, atteso il carattere meramente formale della giustificazione sul punto adottata dal giudice a quo (circa la mancata pro2. –

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duzione degli originali di detta documentazione), in tal modo omettendo nuovamente di confrontarsi con la portata delle argomentazioni difensive avanzate dagli indagati, in tal modo perseverando nelle
violazioni espressamente censurate dalla corte di cassazione.
Con un secondo motivo, i ricorrenti censurano l’ordinanza impugnata per violazione di legge in relazione all’astratta configurabilità
dei reati contestati, nonché per l’assenza di motivazione in relazione
ai dati fattuali dedotti nel giudizio di merito.
Sul punto, deducono i ricorrenti di aver adeguatamente fornito
la giustificazione della liceità del possesso del denaro contante agli
stessi sequestrato, costituendo, tali somme, gli importi trasmessi dalle società straniere in occasione degli acquisti di merce dai gioiellieri
italiani intermediati dall’impresa dei ricorrenti: somme di volta in
volta utilizzate per la creazione di provviste a garanzia dei venditori,
eventualmente esposti al versamento dell’Iva in caso di mancato perfezionamento dell’esportazione affidata agli intermediari, ovvero a
garanzia del pagamento del prezzo in caso di spedizione diretta dei
beni all’estero.
Tali somme devono pertanto ritenersi di proprietà delle società estere acquirenti della merce e non già degli odierni ricorrenti; i
quali, peraltro, pur essendo meri detentori delle somme nell’interesse
di quelle, rimarrebbero legittimati a rivendicarne la restituzione.
Sotto altro profilo, i ricorrenti censurano il provvedimento impugnato per aver omesso di dettare alcuna motivazione in relazione
alla sussistenza di un rapporto di pertinenzialità tra le somme sequestrate e l’entità dell’evasione fiscale eventualmente commessa.

Considerato in diritto
3. – Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, rileva il collegio come, in tema di riesame
delle misure cautelari reali, nella nozione di ‘violazione di legge’ per
cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma
dell’art. 325, comma i, c.p.p., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in
quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma
non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di

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cui alla lett. e) dell’art. 606 c.p.p. (v. Cass., Sez. Un., n. 5876/2004,
Rv. 226710, e altre successive).
Rimangono pertanto escluse dalla nozione di violazione di legge connessa al difetto di motivazione, tutte le rimanenti ipotesi nelle
quali la motivazione stessa si dipani in modo insufficiente e non del
tutto puntuale rispetto alle prospettazioni censorie (v. Cass., Sez. i, n.
6821/2012, Rv. 252430), dovendo riservarsi il ricorso per cassazione
unicamente a quelle violazione di legge consistenti in errores in iudicando o in procedendo, ovvero a quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento, o del tutto mancante, ovvero privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza tali rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Cass., Sez. 5, n.
43068/2009, Rv. 245093).
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno del tutto infondatamente
censurato il provvedimento impugnato per aver omesso di confrontarsi criticamente con gli elementi di prova prodotti a difesa degli
stessi, avendo il tribunale del riesame adeguatamente dato conto —
con motivazione logicamente argomentata e dotata di conseguente
linearità – della ritenuta inattendibilità della documentazione prodotta in fotocopia dagli indagati, siccome agevolmente falsificabile e non
ancora adeguatamente verificata sul piano della relativa autenticità:
argomentazioni tali da integrare un apparato motivazionale certamente sussistente (e non meramente apparente), dovendo pertanto
ritenersi esclusa alcuna violazione di legge sotto il profilo della contestata mancanza di motivazione.
Quanto all’alternativa ricostruzione dei fatti prospettata dagli
indagati – in ordine al legittimo possesso delle somme di danaro sequestrate (indicate come di appartenenza delle società estere acquirenti di merce in Italia) -, osserva il collegio come il tribunale del riesame abbia comunque sottolineato (di là dalla rilevata inidoneità
probatoria del compendio documentale prodotto in fotocopia dai ricorrenti) come i prospettati bonifici bancari emessi dalle società estere in favore delle gioielliere venditrici italiane, le bolle doganali relative alle spedizioni delle scatole delle merci in Cina e le dichiarazioni
degli informatori Menichini e Restivo, così come quelle dei sommari
informatori Duranti e Piccini (espressamente menzionati nella sentenza della corte di legittimità) sarebbero in ogni caso compatibili con

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l’effettivo avvenuto esercizio dell’attività d’intermediazione della ditta
dei ricorrenti, e quindi valutabili quali conferme dei relativi guadagni
occultati al fisco.
Allo stesso modo, del tutto coerentemente il tribunale del riesame ha evidenziato come la documentazione relativa alle importazioni in Italia di somme di denaro contante – e le pertinenti dichiarazioni degli asseriti legali rappresentanti di società cinesi — non varrebbero in ogni caso a comprovare che il danaro ivi menzionato coincidesse con quello rinvenuto nella disponibilità degli indagati, dagli
stessi portato per strada in un sacco, in modo furtivo e in orario di
chiusura di banche ed uffici, così come le fatturazioni della ditta dei
ricorrenti è risultata riduttivamente riferita a sole cinque società, rispetto alla ben diversa entità dei complessi e articolati rapporti dalla
stessa intrattenuti in Italia.
Dev’essere infine rilevato come il tribunale del riesame abbia
adeguatamente evidenziato le ragioni del nesso di pertinenzialità tra
le somme rinvenute in possesso degli indagati e i reati fiscali agli
stessi contestati, sottolineando come la libera disponibilità di tali
somme ben possa consentire agli stessi di aggravare le conseguenze
di detti reati e soprattutto di commetterne ulteriori utilizzando tale
danaro per effettuare nuove attività di intermediazione commerciale
con successiva prevedibile evasione di ogni imposizione fiscale ed ulteriori effetti dannosi per l’erario.
Occorre ribadire in proposito come questa Suprema Corte abbia già in precedenza affermato come l’espressione ‘cose pertinenti al
reato’, ai sensi dell’art. 321 c.p.p., sia più ampia di quella di ‘corpo di
reato’ definita dall’art. 253 c.p.p., e comprende non solo qualunque
cosa sulla quale o a mezzo della quale il reato fu commesso o che ne
costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle ‘legate
anche indirettamente alla fattispecie criminosa’, sicché il limite
dell’oggetto del sequestro preventivo è costituito dal rapporto di pertinenza al reato della res sottoposta a misura cautelare reale (Cass.,
Sez. 2, n. 34986/2013, Rv. 256100). In tema di misure cautelali reali,
infatti, il pericolo rilevante ai fini dell’adozione del sequestro preventivo dev’essere inteso in senso oggettivo, come probabilità di danno
futuro connesso all’effettiva disponibilità materiale o giuridica del
bene sequestrato o al suo uso e deve essere concreto e attuale; ne deriva che le cose ‘pertinenti’ al reato, oggetto di sequestro preventivo,

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4. – Il complesso delle argomentazioni che precede — ritenuto
l’assorbimento del motivo di censura riferito all’eventuale legittimazione dei ricorrenti a rivendicare la restituzione delle somme in sequestro — vale a confermare il riscontro dell’integrale infondatezza
dei motivi di doglianza avanzati dai ricorrenti, a cui segue il rigetto
del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.2.2014.

sono, non solo quelle caratterizzate da un’intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso e a quelli futuri di cui
si paventa la commissione, ma anche quelle che risultino indirettamente legate al reato per cui si procede, sempre che la libera disponibilità di esse possa dare luogo al pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato (Cass., Sez. 5, n. 22353 /2006,
Rv. 234556).

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