Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10996 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10996 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHIRICO GIOVANNI N. IL 05/02/1985
avverso l’ordinanza n. 139/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 19/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. t /
,11 11-■.
V
)

Uditi difensor Avv.;///

Data Udienza: 20/02/2014

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Reggio Calabria rigettava l’istanza di
riparazione per l’ingiusta detenzione subita da CHIRICO Giovanni nell’ambito di un
procedimento in cui era stato indagato per il delitto di tentata rapina aggravata, dal quale era
stato assolto in secondo grado per non avere commesso il fatto.

colpa grave dell’istante nel silenzio dallo stesso serbato in presenza dei seguenti elementi di
accusa: l’amicizia che legava il Chirico ad altro coimputato, unico riconosciuto dalla parte
offesa, lo svolgimento da parte degli imputati dell’attività lavorativa di autotrasportatore, il
possesso di motocicli compatibili con quelli usati nell’azione delittuosa, l’accertata e simultanea
presenza nei luoghi teatro del delitto, ricavata dai ripetuti contatti telefonici tra gli imputati, la
mancata spiegazione alternativa di tali contatti.

Il giudice della riparazione specificava che la decisione del ricorrente di non rispondere
all’interrogatorio, fermo restando l’insindacabile diritto al silenzio dell’imputato, valeva a far
ritenere sussistente un comportamento causalmente efficiente per il permanere della misura
cautelare, quando, come nella fattispecie, il non avere fornito spiegazioni su circostanze
obiettivamente colpevolizzanti abbia contribuito alla formazione del quadro indiziario che ha
indotto all’applicazione della custodia cautelare.

CHIRICO Giovanni propone ricorso per cassazione avverso la suddetta ordinanza con il quale
lamenta, innanzitutto, l’erroneità della motivazione laddove il giudice della riparazione aveva
fondato la colpa grave dell’istante sul silenzio dallo stesso tenuto, dimenticando di considerare
che la facoltà di non rispondere è una esplicazione di un diritto riconosciuto all’imputato, che
non esclude il diritto alla riparazione.
Sotto questo profilo, si prospetta l’erronea applicazione della legge anche nella parte in cui
l’ordinanza impugnata fa riferimento alla possibilità per lo stesso di chiarire, anche sulla scorta
dei suoi impegni lavorativi, dove e che cosa facesse il giorno della rapina, senza tener conto
del tempo trascorso tra il delitto e l’interrogatorio ( oltre cinque mesi)e la dedotta impossibilità
di avere contezza del contenuto dell’ordinanza coercitiva.

E’ stata ritualmente depositata memoria di costituzione nell’interesse del Ministero
dell’Economia e delle Finanze con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.

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Con l’ordinanza impugnata la Corte di merito escludeva il diritto alla riparazione ravvisando la

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.

In proposito appare opportuno ricordare i principi affermati da questa Corte in merito al
contenuto ed ai limiti della indagine devoluta al giudice della riparazione sulla sussistenza
di eventuali elementi ostativi all’affermazione del diritto dell’istante ( v. da ultimo Sezioni

Si è, innanzitutto, affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della
condizione ostativa all’indennizzo, data dall’incidenza causale del dolo o della colpa grave
dell’interessato nella produzione dell’evento costitutivo del diritto, deve valutare la
condotta da questi tenuta sia anteriormente sia successivamente al momento restrittivo
della libertà, pur puntualizzandosi che, in relazione ai comportamenti processuali, il
relativo apprezzamento non può prescindere dalle cautele insite nel rispetto per le scelte
di strategia difensiva che l’interessato abbia ritenuto di adottare.

Si è pure sottolineato che agli effetti della valutazione circa la condotta sinergica
dell’interessato come causa ostativa al riconoscimento del beneficio, deve intendersi
colposa quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente,
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, una situazione
tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà
personale o nella mancata revoca di uno già emesso.

Quanto agli elementi ed ai criteri di apprezzamento che devono assistere il giudice nel
procedimento per la riparazione della ingiusta detenzione, si è in più occasioni messa in
luce l’esigenza di distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del
processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua
commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione, il
quale, pur dovendo operare eventualmente sullo stesso materiale, deve seguire un iter
logico motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se
determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come
fattore condizionante, anche nel concorso dell’altrui errore, alla produzione dell’evento
detenzione, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di
valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di
controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, di natura civilistica, sia in
senso positivo che in senso negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di
esclusione del diritto alla riparazione.

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unite, 28 novembre 2013, n. 51779, Nicosia).

In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella
loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a
determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato,
l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice ( v., tra le tante, Sezione IV, 10
giugno 2010, n. 34662, La Rosa).
In questa prospettiva è necessario che gli elementi di prova acquisiti nelle indagini e da
utilizzare nel procedimento riparatorio, non siano smentiti (non semplicemente non

infatti, la verità acclarata nel pieno contraddittorio tra le parti deve avere la prevalenza
sulle acquisizioni probatorie captate nella fase inquisitoria ( v. Sezione IV, 23 aprile 2009,
n. 38181, Ferrigno).

In altri termini, il giudice dell’equo indennizzo, una volta appurato che quella certa
condotta dell’istante, valutata come gravemente colposa, abbia negativamente inciso
sulla libertà del medesimo, provocandone o contribuendo a provocarne la privazione o il
mantenimento dello stato di privazione, deve dare atto nel suo provvedimento che la
condotta in questione abbia assunto in concreto determinante rilevanza agli occhi del GIP
agli effetti dell’emanazione della misura cautelare.
In questa prospettiva, nel valutare il comportamento tenuto dall’istante, il giudice della
riparazione, deve fare riferimento al materiale acquisito al processo di cognizione, tra cui,
assume certamente una posizione di rilievo l’ordinanza cautelare, che consente al
giudicante di rapportare il comportamento tenuto dall’imputato alla situazione esistente
nel momento in cui tale provvedimento venne adottato o mantenuto, così da effettuare il
giudizio che gli compete sulla base dello stesso materiale avuto a disposizione dal giudice
che ha provveduto sulla cautela.
Elementi di valutazione della condotta sinergica all’evento detenzione possono e devono
essere tratti anche dal giudizio svoltosi in sede di merito, qualora nel corso della
istruzione dibattimentale siano emerse circostanze rilevanti in tal senso, che meglio

confermati) inequivocabilmente da acquisizioni del processo dibattimentale. In tal caso,

qualificano i fatti posti a fondamento della misura cautelare.
Ciò che rileva, in ogni caso, è che il giudice è tenuto sia ad indicare gli specifici
comportamenti addebitabili all’interessato sia a motivare in che modo tali comportamenti
abbiano inciso sull’evento detenzione.

Nel caso di specie il giudice della riparazione non ha applicato correttamente i principi
sopra indicati.

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v1

La Corte di merito, nell’esaminare il provvedimento con il quale è stata disposta la misura
coercitiva a carico del ricorrente, allo scopo di verificare se tale provvedimento fu
adottato o meno per effetto anche per effetto di comportamenti posti in essere dallo
stesso giudicati gravemente colposi, ha valorizzato esclusivamente gli elementi indiziari
emersi in sede di indagini a carico del Chirico, che nel caso di specie non afferiscono al
nesso di condizionamento tra il comportamento del ricorrente e la misura cautelare che
gli venne applicata ma a circostanze di fatto ritenute convergenti nel senso della

Il giudice della riparazione ha evidenziato in tal senso l’amicizia che legava il Chirico ad
altro coimputato, unico riconosciuto dalla parte offesa, lo svolgimento da parte degli
imputati dell’attività lavorativa di autotrasportatore, il possesso di motocicli compatibili
con quelli usati nell’azione delittuosa, l’accertata e simultanea presenza nei luoghi teatro
del delitto, ricavata dai ripetuti contatti telefonici tra gli imputati, la mancata spiegazione
alternativa di tali contatti, essendo stato il comportamento processuale del Chirico,
improntato al silenzio.

Sul punto, è nota la giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo la quale non può
comunque fondarsi la “colpa” dell’interessato, idonea ad escludere il diritto all’equa
riparazione, solo sul silenzio da questi serbato in sede di interrogatorio davanti al
pubblico ministero ed al GIP, giacchè la scelta defensionale di avvalersi della facoltà di
non rispondere non può valere ex se per fondare un giudizio positivo di sussistenza della
colpa per il rispetto che è dovuto alle strategie difensive che abbia ritenuto di adottare chi
è stato privato della libertà personale; e ciò anche qualora a tali strategie difensive possa
attribuirsi,

a posteriori,

un contributo negativo di non chiarificazione del quadro

probatorio legittimante la privazione della libertà ( v. Sezione IV, 9 dicembre 2008, n.
4159/09, Lafranceschina).

Accanto a ciò si è pure sottolineato che, pur nel rispetto del diritto di difesa e delle
opzioni attuative dello stesso, vi è comunque un onere di rappresentazione ed
allegazione da parte dell’indagato, al fine di porre l’organo inquirente nelle condizioni di
valutare quelle prospettazioni ed allegazioni, di comporle nell’unitario quadro
investigativo e indiziario, e di rilevare, eventualmente, l’errore in cui si è incorsi
nell’instaurazione dello stato detentivo.
In una tale prospettiva, poiché a quel momento solo l’indagato è in grado di
rappresentare utili e giustificativi elementi di valutazione, nell’ipotesi in cui questi ultimi
siano in grado di fornire una logica spiegazione, al fine di eliminare il valore indiziante di
elementi acquisiti nel corso delle indagini, non il silenzio o la reticenza, in quanto tali,
rilevano ma il mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano

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colpevolezza da parte degli organi inquirenti e dal giudice di primo grado.

dell’allegazione di fatti favorevoli, che se non può essere da solo posto a fondamento
dell’esistenza della colpa grave, vale però a far ritenere l’esistenza di un comportamento
omissivo causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale può
tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in presenza di altri elementi di
colpa (v., da ultimo, Sez. IV, 17 novembre 2011, Berdicchia, rv. 251928).

Nel caso di specie il giudice della riparazione non ha applicato correttamente i principi

dallo stesso serbato nel corso dell’intero processo.
Come sopra evidenziato, invece, il silenzio per assumere rilievo a titolo di colpa grave
avrebbe dovuto riguardare fatti idonei ad eliminare il valore indiziante di elementi
acquisiti nel corso dell’indagine, conosciuti solo dall’imputato e dallo stesso non rivelati,
ma sempre riconducibili alla condotta colposa dell’istante, che, nel caso in esame, per
quanto sopra esposto, non è stata correttamente individuata dal giudice della riparazione.
Da ciò consegue che il silenzio o la reticenza, in quanto tali, non possono rilevare sul
piano della mancata allegazione di fatti favorevoli, che se rivelati, avrebbero impedito
l’errore dell’autorità giudiziaria e non possono essere posti a fondamento dell’esistenza
della colpa grave causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare.

Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di
Appello di Reggio Calabria, che si atterrà ai principi sopra indicati, provvedendo in quella
sede alla liquidazione delle spese del presente giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria cui
demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio del 20 febbraio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

sopra indicati, laddove ha evidenziato il profilo di colpa grave dell’istante sul silenzio

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