Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10985 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10985 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEL POZZO ANTONIO N. IL 08/04/1940
avverso l’ordinanza n. 221/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
06/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
lette/stie le conclusioni del PG Dott.
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Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 09/01/2014

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Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Del Pozzo Antonio avverso l’ordinanza
in data 6.11.2012 della Corte di Appello di Napoli che rigettava l’istanza dal medesimo
presentata di riparazione dell’ingiusta detenzione subita in carcere dal 16.6.1994 al
16.7.1994 e agli arresti domiciliari dal 17.7.1994 al 4.8.1994, in forza del
provvedimento applicativo della custodia cautelare per i delitti di cui all’art. 319 c.p. e
291-295 dPR 43/73 dai quali era stato poi assolto.
La Corte territoriale rigettava l’istanza ritenendo che il Del Pozzo avesse dato causa

negligente tenuta in qualità di funzionario della Circoscrizione doganale di Napoli.
Il ricorso lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione risultante dal testo del provvedimento, in ordine alla ritenuta sussistenza
di dolo o colpa grave quale causa determinante l’ingiusta detenzione.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per il
rigetto del ricorso.
E’ stata depositata una memoria difensiva da parte dell’Avvocatura Generale dello
Stato nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va respinto.
Questa Corte ha ritenuto che “in tema di riparazione per ingiusta detenzione il
giudice di merito deve valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o
violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il
giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su
mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la
perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia
stato il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto” (Cass. pen. Sez. Un.
26.6.2002 n. 34559 Rv. 222263).
Inoltre, è stato affermato che la nozione di colpa grave di cui all’art. 314 comma 1
c.p.p. va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in
essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza,
inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da

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allo stato di detenzione con colpa grave consistita nella condotta gravemente

costituire una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento
restrittivo della libertà personale (tra le altre, Cass. pen. Sez. IV, 15.2.2007, n.
10987, Rv. 236508).
Nel caso di specie l’ordinanza impugnata applica correttamente tali principi e resiste,
pertanto, alle censure di cui al ricorso.
Invero la condotta del ricorrente viene definita dalla sentenza assolutoria come
caratterizzata da “pressappochismo e superficialità” confermata dalla “commissione di

legislazione doganale”: sicchè lo stesso Giudice di merito aveva accertato che
l’imputato era incorso in evidenti omissioni di controllo, così ponendo in essere una
condotta complessiva gravemente negligente, che si ergeva certamente a causa
efficiente o almeno concorrente dell’emissione dell’ordinanza cautelare, appalesandosi
idonea, pertanto, a precludere il diritto alla riparazione.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di questa fase
procedimentale in favore del Ministero resistente nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché aa rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del presente
giudizio che liquida in complessivi C 750,00.
Così deciso in Roma, il 9.1.2014

molteplici e reiterate irregolarità.., tutte riconducibili a determinate violazioni della

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