Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10984 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10984 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PRI VITERA SAVERIO N. IL 30/06/1976
avverso l’ordinanza n. 135/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
07/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
lette/semite le conclusioni del PG Dott.
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Udit i difensor

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244Ì

Data Udienza: 09/01/2014

Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Privitera Saverio avverso l’ordinanza in
data 7.1.2013 della Corte di Appello di Palermo che rigettava l’istanza dal medesimo
presentata di riparazione dell’ingiusta detenzione subita in forza del provvedimento
applicativo della custodia cautelare emesso dal G.i.p. del Tribunale di Palermo in data
21.1.2007 per i delitti di cui agli artt. 416 bis c.p. e di trasferimento fraudolento di
valori: da quest’ultimo era stato assolto in primo grado mentre dall’altro era stato
assolto dalla Corte di Appello di Palermo.

all’emissione del provvedimento restrittivo e che la colpa grave emergeva dagli atti
allegati al procedimento e dalle stesse sentenze assolutorie.
Il ricorrente contesta di aver concorso con colpa grave a dare causa alla detenzione e
la ricorrenza della stessa colpa grave.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso, nel
merito, per il rigetto del ricorso.
E’ stata depositata una memoria difensiva da parte dell’Avvocatura Generale dello
Stato nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va respinto.
Questa Corte ha ritenuto che “in tema di riparazione per ingiusta detenzione il
giudice di merito deve valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o
violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il
giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su
mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la
perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia
stato il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto” (Cass. pen. Sez. Un.
26.6.2002 n. 34559 Rv. 222263).
Inoltre, è stato affermato che la nozione di colpa grave di cui all’art. 314 comma 1
c.p.p. va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in
essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza,
inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da

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La Corte territoriale rigettava l’istanza ritenendo che il Privitera avesse contribuito

costituire una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento
restrittivo della libertà personale (tra le altre, Cass. pen. Sez. IV, 15.2.2007, n.
10987, Rv. 236508).
Nel caso di specie l’ordinanza impugnata applica correttamente tali principi e resiste,
pertanto, alle censure di cui al ricorso.
In particolare, la Corte di appello di Palermo ha ritenuto la sussistenza dei presupposti
per non riconoscere l’indennizzo per la ingiusta detenzione subita da Privitera Saverio,

stata il presupposto che aveva ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto.
Dagli atti del processo, ed in particolare dai servizi di osservazione eseguiti dalla
polizia giudiziaria e dalle intercettazioni disposte nel corso delle indagini preliminari,
risultava che l’istante, imprenditore ed amministratore unico della srl p.n.c., avente
ad oggetto attività di acquisto e vendita di terreni e di altri immobili ed acquisizione di
appalti, svolgeva tale attività in società con Pipitone Vincenzo e Pipitone Antonio,
uomini d’onore al vertice della famiglia di Carini. Nel corso dei servizi di osservazione
il Privitera era stato visto mentre si recava al cantiere di via Mattarella dove il Pipitone
stava costruendo edifici ed alcune villette e mentre si recava presso l’abitazione del
medesimo. Le intercettazioni telefoniche ponevano in evidenza che l’istante discuteva
animatamente di questioni relative ad attività di costruzione svolta nell’interesse del
Pipitone.
L’insieme di tali circostanze denotava la vicinanza del ricorrente ai contesti malavitosi
nei quali erano maturati i delitti a lui ascritti. La stessa sentenza di assoluzione dal
delitto associativo emessa dalla corte di appello di Palermo pone in evidenza che le
risultanze istruttorie facevano emergere la contiguità del Privitera con ambienti
mafiosi e la condivisione di interessi in attività economiche con i fratelli Pipitone,
anche se tali contatti e cointeressenze economiche non erano tali da fornire in
oggettivo apporto al rafforzamento dell’associazione criminale. Secondo la Corte le
conversazioni telefoniche intercettate davano conto dell’esistenza di interessi
economici tra il ricorrente e la famiglia mafiosa di Carini, con interventi del Pipitone a
vantaggio del ricorrente, e che pero tali contatti e cointeressenze non dimostravano
l’effettivo contributo fornito all’associazione dal Privitera.
La Corte di Appello ha dunque accertato nel provvedimento de quo i rapporti di
frequentazione dell’istante, nel contesto dei quali furono perpetrati i delitti oggetto
d’indagine, ha accertato le ragioni di tali frequentazioni, ne ha definito la reale natura
ed argomentato in punto di sussistenza del nesso di causalità tra la stessa condotta e
l’adozione del provvedimento restrittivo. Siffatta valutazione appare conforme
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con motivazione adeguata e dopo aver verificato che la condotta del ricorrente era

all’orientamento di questa Corte, secondo cui “in tema di riparazione per ingiusta
detenzione, le frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente
ad essere interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da
rapporti di parentela, e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di
soggetti coinvolti in traffici illeciti, possono dare luogo ad un comportamento
gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa.” (Cass. pen. Sez.
III, 30.11.2007 n. 363, Rv. 238782).
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente

procedimentale in favore del Ministero resistente nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché ata rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del presente
giudizio che liquida in complessivi C 750,00.
Così deciso in Roma, il 9.1.2014

al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di questa fase

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