Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10982 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10982 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PETULLA’ GIANLUCA N. IL 16/11/1980
avverso l’ordinanza n. 12/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 07/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
lette/mc le conclusioni del PG Dott. ;$9,7~ £1,Y ‘E LO

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Data Udienza: 09/01/2014

Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Petullà Gianluca avverso l’ordinanza
emessa in data 7.12.2012 dalla Corte di Appello di Reggio Calabria che rigettava
l’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione patita dal medesimo dall’1.7.2008 al
19.1.2010 per il delitto di cui all’art. 74, commi 1, 2, 3, 4 dPR 309/1990.
Contesta le argomentazioni poste dalla Corte territoriale a sostegno della propria
decisione, assumendo che essa aveva ricondotto la colpa grave all’essersi l’imputato
avvalso della facoltà di non rispondere.

merito, per l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di
Reggio Calabria.
E’ stata depositata una memoria difensiva da parte dell’Avvocatura generale dello
Stato nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze a sostegno
del’impugnata ordinanza.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato va respinto.
La Suprema Corte ha ritenuto che “in tema di riparazione per ingiusta detenzione il
giudice di merito deve valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o
violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il
giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su
mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la
perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia
stato il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso, nel

procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto” (Cass. pen. Sez. Un.
26.6.2002 n. 34559 Rv. 222263).
Inoltre, è stato affermato che la nozione di colpa grave di cui all’art. 314 comma 1
c.p.p. va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in
essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza,
inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da
costituire una non voluta ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità
giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento

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restrittivo della libertà personale (tra le altre, Cass. pen. Sez. IV, 15.2.2007, n.
10987, Rv. 236508).
Nel caso di specie l’ordinanza impugnata applica correttamente tali principi e resiste,
pertanto, alle censure di cui al ricorso.
Invero, correttamente il giudice di merito, senza effettuare alcuna illegittima
rivalutazione della sentenza penale di assoluzione (Cass. Sez. Un. 23.12.1995 n. 43),
ma rilevando solo la sussistenza di elementi che hanno dato causa all’emissione della
misura cautelare, e configuranti la colpa grave a norma del primo comma dell’art.

Al di là dell’impostazione seguita dal ricorrente e dal P.G., il dato certo è che vi furono
numerose telefonate tra l’odierno ricorrente e noti spacciatori (condannati per i fatti
contestati) in cui veniva usato un linguaggio criptico ed ambiguo (così definito dallo
stesso Giudice dell’assoluzione) che palesava la compravendita di droga presso il
gruppo di riferimento.
Interrogato sul punto, il Petullà non fornì alcuna risposta. Quanto, specificamente,
alla condotta processuale tenuta dall’indagato successivamente all’adozione della
misura restrittiva, si deve ritenere, pur riconoscendo che la facoltà dell’indagato di
non rispondere in sede di interrogatorio costituisce esercizio di un proprio diritto
difensivo, e pertanto circostanza neutra, che nel silenzio serbato dall’imputato
nell’occasione de qua sia ravvisabile la colpa grave ostativa dell’invocata riparazione.
Infatti, questa Corte ha affermato che “in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa della colpa grave, il
silenzio tenuto dall’indagato (o imputato) non è sindacabile a meno che sia possibile
affermare che fosse in grado di fornire una logica spiegazione al fine di eliminare il
valore indiziante di elementi acquisiti nel corso delle indagini. (La Corte ha precisato
che soltanto in questo caso, il mancato esercizio di una facoltà difensiva – quanto
meno “sub specie” di allegazione di fatti favorevoli – vale a far ritenere sussistente
una condotta omissiva concorrente al mantenimento della custodia cautelare)” (Sez.
IV, n. 47047 del 18.11.2008, Rv. 242759 ed altre precedenti e successive conformi).
E’ dato oggettivo che il ricorrente acquistò più volte droga dal Borghese e dalla
Squillace, droga che si ritenne fosse destinata ad uso personale solo in sede
processuale: quindi solo il processo poteva dimostrare che lo stupefacente era
riservato al proprio esclusivo uso personale.
Ma s’imponeva, comunque, la valutazione, nel quadro complessivo, di quel reiterato
contatto con uno o più spacciatori così manifestandosi e palesandosi un ulteriore
profilo di chiara responsabilità da condotta, quanto meno gravemente colposa come
tale ostativa alla riparazione.
Tutti questi elementi apparivano al momento dei fatti come sintomi evidenti del
coinvolgimento nell’attività di spaccio contestata. Tali dati legittimavano sicuramente
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314 c.p.p., ha escluso il diritto del ricorrente alla riparazione.

gli inquirenti ad assumere i provvedimenti restrittivi e sono stati correttamente e
congruamente valutati quali circostanze impeditive della riparazione. Vi è da
considerare, infatti, a questo proposito, come acutamente osservato dall’Avvocatura
generale, come sia imprescindibile la valutazione che l’ordinamento deve fare nei
confronti di un soggetto che comunque ha tenuto quel dato comportamento costituito
proprio dal consumo e dal conseguente acquisto di droga in quantitativi reiterati e
sicuramente non modici, così accettando detto soggetto il rischio di essere ritenuto
non un mero consumatore ma uno spacciatore. Ciò è sempre stato ritenuto ostativo

6878 del 17.11.2011, Rv. 252725; n. 16369 del 8.4.2003, Rv. 224773).
Ed infatti, il soggetto che acquista droga viene in contatto proprio con elementi
criminali al punto che appare agli Organi che svolgono indagini come spesso coinvolto
nei traffici di detti criminali.
Nel ricorso si contesta la decisione rifacendosi alle motivazioni dell’assoluzione
quando, al contrario, è necessario porsi nel momento genetico della detenzione per
affrontare la questione relativa alla causazione della medesima.
Ed anzi, la condotta sopra richiamata s’appalesa a tal fine ben più efficiente, in
quanto parapartecipativa, di quelle “frequentazioni ambigue, ossia quelle che si
prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, quando
non sono giustificate da rapporti di parentela”, a dare luogo ad un comportamento
gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa (Cass. pen. Sez. III,
30.11.2007 n. 363, Rv. 238782).
Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di
questa fase procedimentale in favore del Ministero resistente nella misura liquidata in
dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè
alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese che liquida in
complessivi € 750,00.
Così deciso in Roma, il 9.1.2014

della riparazione (cfr. Cass. pen. IV Sez. n. 40297 del 10.6.2008, Rv. 241325; n.

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