Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10971 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10971 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FIORENTINO ALBERTO N. IL 08/02/1961
avverso l’ordinanza n. 141/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
14/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/sentite e conclusioni del PG Dott. (v
iL

Nel2C)

Uditi difen

vv.;

Data Udienza: 18/12/2013

FATTO E DIRITTO

1. Fiorentino Alberto, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Milano, depositata il
2/3/2012, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta
detenzione subita in regime di custodia cautelare dal 2/5/2007 al 19/6/2007 e
dal 2/12/2007 al 29/1/2010 (l’interruzione dipese dalla sopravvenuta esecuzione
della sentenza di condanna per la partecipazione all’associazione di tipo mafioso

eseguito l’omicidio di Maglione Filippo, avvenuto in Milano il 16/7/1991, in
concorso con Di Massa Salvatore (coautore materiale) e Guida Vincenzo
(mandante).

2. La Corte territoriale aveva escluso la ricorrenza dell’invocato istituto
reputando che l’irrogazione della misura aveva trovato significativa causa nella
condotta gravemente colposa del richiedente sulla base delle seguenti
considerazioni: 1) nonostante l’assoluzione del Fiorentino i moventi che avevano
trovato maggiore plausibilità trovavano compatibile il mandato omicidiario di
Guida Vincenzo, a causa dei contrasti insorti con la vittima, che svolgendo
l’attività di produzione e commercializzazione di orologi contraffatti, aveva
cercato di ottenere spazi operativi maggiori; o, ricevuto del denaro avuto in
prestito dal Guida,aveva tergiversato nel restituirlo; o, infine, per avere preso
parte all’aspra contesa che aveva contrapposto il gruppo Guida al gruppo Moccia;
2) il Fiorentino, nonostante lo specifico e provato rapporto associativo (per il
quale era stato condannato), che lo vedeva collocato, con posizione semiapicale
all’interno del gruppo Guida e del cui accertamento giudiziario il ricorrente aveva
piena consapevolezza (al momento dell’esecuzione della misura cautelare era già
stato riconosciuto colpevole della partecipazione al sodalizio criminale con
sentenza che sarebbe divenuta definitiva appena un mese dopo), aveva
scientemente ricusato di rendere esaustivi chiarimenti, fornendo risposte appena
abbozzate, comunque sommarie e generiche, rifiutando qualsivoglia
approfondimento, trincerandosi dietro il diritto di non rispondere, pur
rivendicando con forza l’intenso rapporto che lo legava da lungo tempo a Enzo
Guida.
In definitiva, la Corte territoriale così concludeva: <>.

3. Il Fiorentino col proposto ricorso per cassazione chiede l’annullamento
dell’ordinanza impugnata criticando il ragionamento della Corte territoriale,
anche sotto il profilo della violazione di legge.
Questa in sintesi la prospettazione impugnatoria. 1)il ricorrente si avvalse della
facoltà di non rispondere avendo già sperimentato, nell’ambito nel processo

associazione di tipo mafioso, l’inutilità di ogni spiegazione e, peraltro, al
dibattimento, nel processo per l’omicidio, non si era, poi sottratto all’esame; 2)
la Corte di merito non aveva specificato gli elementi qualificanti sui quali il
Fiorentino avrebbe dovuto fornire chiarimenti di rilievo; 3) illogicamente era
stato affermato che il ricorrente aveva tenuto atteggiamento colposo qui
rilevante per avere reso dichiarazioni insignificanti a riguardo del suo più che
ventennale rapporto con Guida Vincenzo, senza tener conto che l’assoluzione
dall’omicidio era scaturita, siccome emerso dalle relative statuizioni,
dall’impossibilità d’individuare un sicuro movente del delitto, essendosi
prospettate varie ipotesi, con la conseguenza del doversi escludere che la
condotta in parola era stata causa della misura cautelare.

4. Con memoria pervenuta il 12/12/2012 l’Avvocatura generale dello Stato
si costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo dichiararsi inammissibile
o, comunque, rigettarsi il ricorso.

5. Il ricorso deve essere rigettato.

5.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente
orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza
n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo

z

all’epilogo del quale era stato condannato per il delitto di partecipazione ad

istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione
di stupefacente.

5.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha puntualmente individuato in
cosa sia consistita la colpa grave del ricorrente.
Il Fiorentino, organicamente inserito, e con ruolo di prim’ordine (ricorda il
Giudice dell’ingiusta detenzione, non smentito, l’affiliazione avvenuta addirittura

elementi acquisiti appariva quale il mandante dell’omicidio di cui s’è detto,
avendone avuto motivo (omicidio che, secondo le acquisizioni investigative,
risultava essere stato materialmente eseguito dal ricorrente unitamente ad altro
accolito), persistendo nell’atteggiamento, peraltro del tutto legittimo, ricusante
ogni apporto che fosse idoneo a smentire l’accusa, aveva contribuito
significativamente a corroborare l’impianto accusatorio che aveva portato
all’emissione della misura cautelare.
L’orgogliosa rivendicazione dell’intenso legame con il capo clan, spinta, sino
all’ostentazione («Su Enzo non mi chieda più niente, perché io sono con Enzo
Guida e Basta»),

l’evasività e «pochezza delle risposte»

da parte di

soggetto provatamente organico alla struttura criminale, attinto da specifici e
concreti elementi di sospetto (sul punto, trattandosi di mera elencazione di profili
di merito puntualmente individuati dall’ordinanza gravata, non può che ad essa
farsi riferimento in questa sede), a dispetto di quel che assume il ricorrente, si
pone in correlazione causale con l’applicazione della restrizione cautelare.
Non è dirimente la circostanza che a fianco di quel che si presentava quale il
movente più attendibile del delitto si siano affiancate congetturate anche altre
ipotesi: al Fiorentino, infatti, si rimprovera di non aver consentito di escludere la
ricostruzione, che conduceva al Guida e, quindi, a lui.
Argomenti, questi, che correttamente hanno indotto la Corte territoriale a
reputare sussistente la colpa grave in capo all’istante.

5.3. E’, poi, da escludersi che l’accusa e gli indizi non fossero puntuali: non
solo, infatti, dal minuto resoconto del provvedimento impugnato emergono, per
un verso, le convergenti ragioni che facevano apparire attendibile le propalazioni
rese da soggetti intranei all’organizzazione, sulla stessa, sui ruoli e sul movente
dell’omicidio e, per altro verso, l’individuazione delle modalità operative
dell’agguato, dei mezzi usati e del ruolo del Fiorentino. A fronte di un simile
quadro, certamente non vago o generico, era da attendersi dall’imputato quel
decisivo sapere che l’avrebbe scagionato. Non solo il Fiorentino ha negato un tale

2

in forma rituale), all’interno di organizzazione di tipo mafioso, il cui capo, dagli

contributo, ma trincerandosi nella rivendicazione del legame col capo clan, ha
rafforzato il convincimento accusatorio.
Ovviamente, a parte la natura meramente assertoria dell’argomento, non
assumerebbe, in ogni caso, rilievo di sorta l’eventuale tardivo mutamento
d’atteggiamento dell’imputato, che avrebbe potuto semmai influire sulla durata e
permanenza della misura solo ove, il detto mutamento, quale circostanza nuova,
fosse stato messo a disposizione del competente giudice della cautela con

5.4. Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel
momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al
risarcimento in esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe
su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo,
della regola che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve
intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi
dell’art. 314 comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un
evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o
meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e
volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il
parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza
comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e
di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui
interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art.
314 c.p.p., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per
evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di
leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non
voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si
sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o
nella mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995,
n. 43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non

specifica istanza.

integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).
Peraltro, intangibile il diritto al silenzio e anche al mendacio, è evidente che in
presenza di una situazione fattuale che integri gravi indizi di colpevolezza a
carico dell’indagato, ove costui sia portatore di conoscenza capace di pienamente
ripristinare la verità dei fatti, non può pretendere di avvantaggiarsi
dell’indennizzo di legge, ove non abbia fornito tempestivamente quel minimo di

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese del procedimento
e al rimborso delle spese legali in favore del Ministero costituito, che vista la
notula, si liquidano siccome in dispositivo nella misura reputata di giustizia.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del
presente giudizio che liquida in complessivi euro 750,00.

Così deciso nella camera di consiglio del 18/12/2013.

collaborazione che sarebbe stata idonea a fare piena luce.

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