Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10970 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10970 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ACQUISTAPACE MARCO N. IL 01/05/1958
avverso l’ordinanza n. 139/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
26/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere D tt. GIUSEPPE G7S0;
lette/ssigite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi di

r Avv.;

Data Udienza: 18/12/2013

FATTO E DIRITTO

1. Acquistapace Marco, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso
per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Milano, depositata il
9/2/2012, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta
detenzione subita, in regime di custodia cautelare, dal 21/6/2005 al 28/7/2005
(in origine era stata emessa da GIP, rivelatosi incompetente, la misura degli
arresti domiciliari, sostituita, dopo essere stata accertata la latitanza

arresti domiciliari, fino al 10/9/2005, per i delitti di associazione e delinquere e
truffa aggravata, dai quali verrà scagionato, essendo stato il relativo
procedimento archiviato dal competente GIP in data 7/1/2011.

2. La Corte territoriale ravvisò la circostanza escludente del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., e cioè di avere
concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave, per quanto appresso.
L’Acquistapace era stato interessato dalle indagini riguardanti associazione
criminosa capeggiata da tale Padovani Renato, finalizzata alla perpetrazione di
fraudolenti finanziamenti pubblici (legge n. 488/1992) e plurimi delitti di cui
all’art. 640bis, cod. pen., avendo offerto la disponibilità, tramite società
meramente apparenti e facenti capo al medesimo Acquistapace, per l’emissione
di fatture per operazioni inesistenti nei rapporti simulatamente instaurati con le
società fittiziamente poste in essere dal Padovani, sempre con l’aiuto del
ricorrente.
La posizione dell’Acquistapace era stata archiviata, quanto alle truffe aggravate
perché i reati erano oramai estinti per prescrizione e, quanto al delitto
associativo, non potendosi utilmente sostenersi in giudizio che l’indagato avesse
collaborato il Padovani con la piena consapevolezza di condividere lo scopo
associativo, oltre a non esservi sufficienti elementi corroboranti stabilità,
concretezza e struttura del sodalizio.
Se, tuttavia, opina il Giudice della riparazione, non era provato che
l’Acquistapace avesse collaborato non al solo fine di far conseguire al Padovani
vantaggi fiscali leciti, non poteva negarsi che costui aveva «intrattenuto un
continuativo rapporto di collaborazione con il Padovani in relazione alla specifica
attività già oggetto di indagini, la cui natura delittuosa, se non conosciuta, era
comunque riconoscibile con un minimo di diligenza da parte di un soggetto
certamente non sprovveduto, quale l’attuale ricorrente>>.

)

dell’indagato, con quella più grave della custodia carceraria), e, in regime di

3. L’Acquistapace ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata
criticando il ragionamento della Corte territoriale denunziando omissione e vizio
della motivazione in questa sede rilevabile: a) la Corte territoriale aveva
erroneamente fatto coincidere la descrizione fattuale della condotta rimproverata
con quella ipotizzata dall’accusa, senza tener conto che quella ricostruzione,
almeno per quel che concerneva la posizione dell’Acquistapace, era stata
smentita con il provvedimento di archiviazione; b) il ricorrente si era limitato a
mettere a disposizione del Padovani le sue competenze professionali per la

attraverso fiscalità di vantaggio; c) già nel 1998, ma anche nel 2003, al
momento dell’accettazione dell’incarico professionale, il ricorrente aveva
acquisito taluni affidavit sul conto del Padovani e, pertanto, non aveva logico
fondamento l’affermazione secondo la quale l’Acquistapace si fosse spinto sin
quasi sulla soglia della colposa collusione, senza contare che il reato associativo
era stato escluso per infondatezza della notizia di reato; d) anche per le truffe la
richiesta di archiviazione, pur essendosi riconosciuta l’intervenuta prescrizione,
non aveva escluso la fondatezza dei rilievi difensivi, che scardinavano l’impianto
accusatorio; e) lo stato di latitanza, causa della sostituzione della misura
cautelare degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare, era
scaturita da erronee valutazioni, che non avevano tenuto in conto che il
ricorrente sin dal 1991 era residente all’estero, peraltro godendo anche della
cittadinanza inglese, di talché attraverso un semplice certificato anagrafico si
sarebbe potuto agevolmente appurare una tale circostanza, senza che, in alcun
modo, potesse ipotizzarsi il paventato pericolo di fuga.

5. Il ricorso va disatteso in quanto infondato.

5.1. Devesi, poi, osservare che la giurisprudenza di legittimità è
costantemente orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte
con la sentenza n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha
patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve
apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino
eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo

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costituzione a Londra di una società estera che consentisse leciti risparmi,

istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile concorso nei contestati delitti.

5.3. Sul punto può essere utile, richiamare condiviso precedente (Cass.,
Sez. IV, n. 13096 del 17/3/2010, Rv. 247128), nel quale si è chiarito che «
anche a Sezioni unite (Sez. Un. 13/12/1995, Samataro Rv. 203638) si è avuto
modo di enunciare ripetutamente il principio che nel procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente
l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento
della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da
quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare,
eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un “iter” logicomotivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se
determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste
come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione
dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha
piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per
rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni
dell’azione, sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza
di una causa di esclusione del diritto alla riparazione. Questa Corte ha pure
ripetutamente enunciato il principio che la condizione ostativa al riconoscimento
del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa
all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti che non siano stati
esclusi dal giudice della cognizione e che possano essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver
determinato l’imputazione), o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio
consapevole sull’esistenza di un alibi). Il giudice è peraltro tenuto a motivare
specificamente sia in ordine alì addebitabilità all’interessato di tali
comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla determinazione della
detenzione. Tale indirizzo deve essere ribadito. Infatti, ove fosse consentita la
valorizzazione di emergenze probatorie confutate dal giudizio di fatto espresso
con sentenza irrevocabile, verrebbe caducato il cardine del vigente sistema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, costituito appunto dal giudicato
sull’incolpazione e sulle circostanze di fatto ad essa pertinenti.
Dunque, in breve, non è consentito al giudice della riparazione di mettere in
discussione l’esito del giudizio di merito, esprimendo valutazioni dissonanti.
Occorre invece ponderare circostanze di fatto accertate nel processo e, sulla
base di esse, valutare se sussistano condotte dolose o gravemente colpose
eziologicamente rilevanti, idonee ad escludere il diritto all’indennizzo.»

Nel caso in esame l’essersi fattivamente adoperato per mettere in scena un
complesso ed articolato assetto societario straniero meramente apparente,
finalizzato, anche attraverso emissione di fatture per operazioni inesistenti
(fatto, questo, peraltro non contestato, di eclatante dubbia liceità anche agli
occhi di uno sprovveduto profano), senza che, ovviamente, rilevi la diversa
valutazione fatta dal giudice penale, costituisce attività implicante, in spiccata
misura, colpa da imprudenza. E’, infatti, agevolmente percepibile che attraverso
un simile apparato sia ragionevolmente prevedibile lo sviluppo del fondato

Né, peraltro, gli affidavit, in ogni caso tardivamente prodotti solo in questa sede,
a volerli prendere in considerazione, potevano avere l’effetto di rendere priva di
sospetti l’intiera operazione e non contigua la fattiva condotta del ricorrente,
esperto ed avveduto professionista, specificamente competente in materia.
Inoltre, non può censurarsi il ragionamento della Corte territoriale nella parte in
cui ha valorizzato la circostanza che la sussistenza dei fatti posti a base dei reati
di truffa, coperti da prescrizione, non erano stati, perciò espressamente
sconfessati nel merito dal giudice del procedimento penale.

5.5. Ovviamente, è bene ribadire, non assume rilievo alcuno in questa sede
la circostanza che gli elementi raccolti siano stati giudicati inidonei ad affermare
la penale responsabilità, per quel che sopra si è detto: quel che qui rileva è che
con il tenuto comportamento dell’Acquistapace abbia ingenerato il fondato
sospetto della di lui partecipazione ai delitti contestati.
Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento in cui fa
applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al risarcimento in
esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i
consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della regola
che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve intendersi
idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314
comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto
e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una
prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti,
valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod
plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano
tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento
dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in
pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è
data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art. 314 c.p.p., quella condotta

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sospetto d’indagine in relazione ad ipotesi delittuose anche gravi.

che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica
negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o
norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella
mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995, n.
43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).

5.6. Non ha rilievo di sorta, infine, esaminare la critica mossa alla
dichiarazione di latitanza e al successivo aggravamento della misura.
Invero, accertata la causa ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, la
qualità della misura cautelare sofferta (custodia in carcere o arresti domiciliari)
resta ininfluente.

7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso nella camera di consiglio del 18/12/2013.

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