Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10968 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10968 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COCILOVO GIAN FRANCO N. IL 22/02/1939
avverso l’ordinanza n. 94/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 06/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZOROMIS;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 05/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Cocilovo Gianfranco presentava alla Corte d’Appello di Reggio Calabria domanda di equa
riparazione per la detenzione dallo stesso ingiustamente sofferta nell’ambito di procedimento
penale per concorso esterno in associazione di stampo mafioso conclusosi con sentenza di
proscioglimento passata in giudicato.
2.

La Corte territoriale adita rigettava la domande ravvisando nel comportamento

colposa, sinergica alla produzione dell’evento restrittivo della libertà personale, sulla scorta
delle seguenti specifiche circostanze fattuali che, ad avviso della Corte stessa, avevano
legittimato l’intervento dell’Autorità nei confronti del predetto con l’applicazione della misura
restrittiva: 1) il Cocilovo e la sua compagna Benas Liana – originari del Nord Italia e privi di
legami di parentela con la cosca Pelle-Vottari – avevano un rapporto di frequentazione e
conoscenza ultradecennale con il nucleo familiare di Pelle Domenico e di Pelle Antonio;
2) certa, per il giudice del merito – in base ad intercettazioni ambientali effettuate sull’auto in
uso al Cocilovo ed alla Benas – era la conoscenza in capo ai due della caratura criminale dei
loro amici, nonché la consapevolezza di correre dei rischi nel continuare siffatta
frequentazione ed a prestare ausilio ai predetti, dal momento che usavano accortezze varie
ed un linguaggio criptico, per comunicare, evidentemente proprio temendo di essere
intercettati e coinvolti nell’indagine; 3) in una circostanza, la moglie di Pelle Domenico, Vottari
Maria, si era preoccupata di reperire schede telefoniche “sicure”, una delle quali era stata
ceduta proprio alla coppia Cocilovo-Benas; 4) il GUP, nella sentenza assolutoria, aveva
definito il comportamento dei due “ampiamente sospetto”, anche se era poi pervenuto alla
conclusione che la loro condotta, oggettivamente riscontrata, era rimasta a livello di aiuto
prestato ad un singolo associato piuttosto che all’intero sodalizio malavitoso, ed aveva
sottolineato che il duo Cocilovo-Benas nutriva una sorta di riconoscenza verso gli associati
per aver il Cocilovo goduto della assicurazione di “benevolenza ambientale” in relazione ai
suoi molteplici interessi imprenditoriali; 5) ancora, il GUP aveva altresì sottolineato che dagli
atti del procedimento era emerso che il Cocilovo e la Benas si erano offerti spontaneamente
di reperire per Vottari Teresa (moglie di Pelle Antonio), anch’essa imputata e detenuta

nell’ambito del medesimo procedimento penale, un difensore di fiducia e di curare il
pagamento del relativo onorario e delle spese.
3. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il Cocilovo, a mezzo del
difensore (cassazionista), denunciando vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza
della colpa grave, sostenendo che la Corte distrettuale stessa sarebbe incorsa in errore di
impostazione e prospettiva nel valutare le risultanze processuali ai fini che in questa sede

dell’istante – alla luce di quanto acquisito agli atti – gli elementi di una condotta gravemente

interessano, valorizzando circostanze irrilevanti ai fini dell’individuazione della colpa grave
ostativa al diritto all’equa riparazione.
4. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha richiesto il rigetto del ricorso.
5. Con memoria dell’Avvocatura Generale dello Stato si è costituito il Ministero delle Finanze,
con diffuse e pertinenti argomentazioni finalizzate a contrastare il proposto ricorso.

1. Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
2. Come ripetutamente affermato da questa Corte, il giudice dell’equa riparazione ha il
potere-dovere di apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori a sua
disposizione e di fornire adeguata e congrua motivazione del convincimento conseguito. Per
quel che concerne la verifica dei presupposti e delle condizioni richieste perché sussista in
concreto il diritto all’equa riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave
dell’interessato nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le Sezioni
Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza (Sarnataro) N. 43 del 13/12/1995-9/2/1996,
hanno infatti enunciato il principio di diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad
autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale: “Nel
procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente
l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della
sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del
giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale,
deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire
non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come
fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento
«detenzione» ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampi libertà di
valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare
la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che
negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla
riparazione”. Con detta sentenza è stato, ancora, precisato che: a) “deve intendersi
dolosa

non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei

suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la
condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio
con il parametro dell’ «id quod plerumque accidit» secondo le regole di esperienza
comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso
intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in
pericolo”; b) “poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data

3

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CONSIDERATO IN DIRITTO

dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente,
macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o
norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di
intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo
della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso”(confr. anche, fra le tante:
Sez. 4, n. 3912/96 – cc. 29/11/95 – RV. 204286; Sez. 4, n. 596/96, RV. 204624); la sinergia,
“sia il momento

genetico che quello del permanere della misura restrittiva” (così, “ex plurimis”, Sez. 4, n.
963/92, RV. 191834).
3. Nella concreta fattispecie, la Corte distrettuale ha fondato il suo convincimento sulla
contiguità dell’istante all’ambiente malavitoso e sulla sua disponibilità a fornire aiuto e
supporto in particolare ad un esponente di spicco del sodalizio, desumibile da specifiche e
significative circostanze fattuali – quali sopra ricordate nella parte narrativa – ritenute
accertate dal giudice della cognizione e dallo stesso evidenziate pur nella sentenza di
assoluzione. Orbene, trattasi di un “iter” motivazionale assolutamente incensurabile in quanto
caratterizzato da argomentazioni pienamente rispondenti a criteri di logicità ed adeguatezza,
nonchè in sintonia con i principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità in tema di dolo e
colpa grave quali condizioni ostative al diritto all’equa riparazione: percorso argomentativo
assolutamente esaustivo e rispettoso dei canoni interpretativi dettati dalla giurisprudenza di
legittimità.

4. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
4.1. Il ricorrente va altresì condannato a rifondere al Ministero delle Finanze, resistente, le
spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 750,00,

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla
rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del presente giudizio che liquida in
complessivi euro 750,00.
Il Presidente

Roma, 5 dicembre 2013

(Pietro Antonio Sirena)

Il Consigliere estensore
(Vi cenzo Romis

3C-eZ”. C2- Lx-•-•4
OGW)

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sulla custodia cautelare, del comportamento dell’istante può riguardare

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