Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10965 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10965 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORSO GIACOMO N. IL 04/12/1976
avverso l’ordinanza n. 120/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
23/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/
le conclusioni del PG Dott. p

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i-P eticAn,

Data Udienza: 05/12/2013

FATI-0 E DIRITTO

1. Corso Giacomo, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Palermo, depositata il
27/4/2012, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per
l’ingiusta detenzione subita, in relazione alle ipotesi di reato porto d’armi e
ricettazione, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa
dal GIP di Sciacca il 20/5/2008, dal 22/5/2008 al 21 /12/2009; imputazioni dalle

2. La Corte territoriale ravvisò la circostanza escludente del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., e cioè di avere
concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave, per quanto appresso.
In ora notturna il ricorrente, procedendo a forte velocità, inseguito dalle forze
dell’ordine, si era liberato di un oggetto non rintracciato, gettandolo fuori dal
finestrino, nonché di un incarto contenente eroina, recuperato dagli operatori. In
una conversazione telefonica, intercettata il giorno dopo, confidava
all’interlocutore di essersi dovuto liberare di una pistola, descrivendone con
puntualità modello e caratteristiche e in altre conversazioni, intervenute nei mesi
successivi, manifestava l’intenzione di procurarsi un’arma.

3. Il ricorrente, con l’unitaria censura, chiede l’annullamento dell’ordinanza
impugnata criticando il ragionamento della Corte territoriale sotto il profilo del
vizio motivazionale.
Dopo aver narrato i fatti il ricorrente prospetta che la Corte territoriale non aveva
tenuto conto della condotta pienamente collaborativa serbata dall’imputato
davanti al GIP, allo scopo di chiarire la propria posizione, in specie spiegando il
contenuto ed il significato delle conversazioni telefoniche intercettate.
Quantomeno il mantenimento della misura, pertanto, avrebbe dovuto essere
considerato ingiusto.
In ogni caso sulle conversazioni captate, giudicate inidonee a sorreggere giudizio
di colpevolezza, non avrebbe potuto fondarsi il rimprovero di aver contribuito,
per colpa grave, all’emissione dell’ordinanza custodiale.

4. Con memoria del 15/11/2013 l’Avvocatura generale dello Stato si
costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo dichiararsi inammissibile
o, comunque, rigettarsi il ricorso.

quali era stato poi assolto.

5. Il ricorso non supera il vaglio d’ammissibilità in quanto manifestamente
infondato.

5.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente
orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza
n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo

riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo
istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione
di stupefacente.

5.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha individuato, con
ragionamento del tutto esente da censure in questa sede rilevabili e tantomeno
da travisamenti, in cosa sia consistita la colpa grave del ricorrente, il quale aveva
tenuto comportamento a dir poco assai ambiguo. Gli elementi in parola, derivanti
da condotte dell’interessato, al contrario di quel che egli mostra di ritenere, sono
stati determinanti per l’emissione della misura cautelare. Il Corso confida,
riportando puntualmente la situazione nella quale si era venuto a trovare, di
essere stato costretto, il giorno prima, a liberarsi dell’arma da fuoco
(dettagliatamente descritta); nonché, in altre e successive conversazioni, di
essere alla ricerca di un’arma.
Ovviamente, non ha rilievo di sorta in questa sede la circostanza che gli elementi
raccolti siano stati giudicati inidonei a sostenere l’accusa: quel che qui rileva è
che con il tenuto comportamento il Corso abbia ingenerato il fondato sospetto
della di lui partecipazione ai delitti contestati.
Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento in cui fa
applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al risarcimento in
esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i
consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della regola
che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve intendersi
idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314

autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare

comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto
e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una
prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti,
valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod
plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano

tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento
dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in
pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è

riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art. 314 c.p.p., quella condotta
che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica
negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o
norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella
mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995, n.
43)
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).
Peraltro, intangibile il diritto al silenzio e anche al mendacio, è evidente che in
presenza di una situazione fattuale che integri gravi indizi di colpevolezza a
carico dell’indagato, ove costui sia portatore di conoscenza capace di pienamente
ripristinare la verità dei fatti, non può pretendere di avvantaggiarsi
dell’indennizzo di legge, ove non abbia fornito tempestivamente quel minimo di
collaborazione che sarebbe stata idonea a fare piena luce.
5.3. Non può essere presa in considerazione l’addotta circostanza secondo
la quale le risposte fornite in sede d’interrogatorio di garanzia sarebbero state
tali da chiarirne la posizione, trattandosi di mera allegazione non autosufficiente.

5.4. Priva di pregio risulta la critica, peraltro sommaria e generica,
afferente alla durata della misura, la quale, in assenza di fatti nuovi, segnalati,

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data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla

per la revoca, al competente giudice della cautela, in questa sede non può
assumere rilievo.

6. All’epilogo consegue il pagamento delle spese processuali, nonché della
somma, stimata congrua, di €. 1.000,00 in favore della cassa delle ammende e
di quelle legali in favore della Ministero intervenuto, nella misura di giustizia di
cui in dispositivo.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende, nonché alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese
del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 750,00.

Così deciso nella camera di consiglio del 5/12/2013.

P.Q.M.

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