Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10963 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10963 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ORIANO LAURA N. IL 01/06/1973
avverso l’ordinanza n. 25/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
lette/o,titot le conclusioni del PG Dott. im
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Avv.;

Data Udienza: 05/12/2013

FATTO E DIRITTO

1. D’Oriano Laura, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Napoli, depositata il
13/1/2012, con la quale venne rigettata la sua istanza di riparazione per
l’ingiusta detenzione subita, in regime di custodia cautelare, dal 16/7/2005 al
20/7/2005, e, in regime di arresti domiciliari fino al 13/3/2006, per il delitto di

2. La Corte territoriale ravvisò la circostanza escludente del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., e cioè di avere
concorso a dare causa all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per colpa grave, per quanto appresso.
La D’Oriano era stato tratta in arresto flagrante con l’accusa di aver concorso con
il marito nella detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo cocaina
«sulla base di una condotta connivente, volta a nascondere la sostanza
stupefacente ai verbalizzanti e ad evitarne il sequestro; attività che la D’Orfano
pose in essere al momento dell’irruzione dei Carabinieri e che fu volta, come
riconosciuto dalla stessa sentenza di assoluzione, a favorire il marito, evitando il
sequestro della sostanza stupefacente (…)».

3.

la D’Oriano ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata

denunziando vizio motivazionale in questa sede rilevabile.
Assume la predetta che la Corte napoletana aveva rivalutato lo stesso
compendio probatorio che il giudice del processo penale aveva giudicato
inadeguato a fondare la penale responsabilità della D’Oriano. In presenza di un
mero comportamento passivo della donna non le si sarebbe potuto addebitare
alcuna condotta gravemente colposa foriera della decisione di imporle la
restrizione cautelare.

4. Con memoria del pervenuta il 15/11/2013 l’Avvocatura generale dello
Stato si costituiva per l’Amministrazione finanziaria chiedendo dichiararsi
inammissibile o, comunque, rigettarsi il ricorso.

5. Il ricorso va disatteso in quanto infondato.

5.1. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità è costantemente
orientata nel senso tracciato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza
n. 34559 del 15.10.2002, secondo la quale in tema di riparazione per l’ingiusta

cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, dal quale era stata poi assolta.

detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o
concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo
autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare
riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica
negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del
convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è
incensurabile in sede di legittimità.
E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo

istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della
libertà personale il convincimento di un probabile concorso nell’illecita detenzione
di stupefacente.

5.2. La Corte territoriale, nel caso di specie, ha individuato, seppure in
sintesi, in cosa sia consistita la colpa grave della ricorrente. Costei aveva tenuto
comportamento ambiguo, dimostrando non solo di essere a piena conoscenza
dell’illecita attività di spaccio condotta dal marito, ma anche attivandosi allo
scopo di assicurarne l’impunità, così svolgendo un ruolo d’intensa connivenza,
non agevolmente distinguibile, prima del vaglio dibattimentale, dalla piena
partecipazione.
Invero, dagli stralci dell’esame dibattimentale di uno dei CC operanti, prodotto
dalla ricorrente in uno al ricorso, si ha modo di apprendere che la D’Oriano,
all’irrompere dei CC, si precipitò, insieme al marito, verso il bagno, venendo
bloccata sulla soglia del predetto locale, mentre il marito tentava di disfarsi nel
gabinetto della sostanza stupefacente contenuta all’interno di un involucro.
Sul piano soggettivo, poi, non poteva sfuggire alla D’Orlano, coniuge di soggetto
provatamente coinvolto nell’illecita attività, che una simile condotta era idonea a
indurre negli inquirenti il convincimento di penale responsabilità anche della
predetta.
Argomenti, questi, che correttamente hanno indotto la Corte territoriale a
reputare sussistente la colpa grave in capo all’istante.
Come a suo tempo chiarito, non potendo l’Ordinamento, nel momento in cui fa
applicazione della regola solidaristica, alla base del diritto al risarcimento in
esame, obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutti i
consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della regola
che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, cod. civ.), deve intendersi
idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314
comma 1 c.p.p., non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto
e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una

congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dallo

prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti,
valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod
plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano
tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento
dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in
pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è
data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione, ai sensi del predetto comma 1 dell’art. 314 c.p.p., quella condotta

negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o
norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma
prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella
mancata revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., 13/12/1995, n.
43).
A tal riguardo, la colpa grave può concretarsi in comportamenti sia processuali
sia di tipo extraprocessuale, come la grave leggerezza o la rilevante
trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al momento
restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti
dall’interessato, anche prima dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa
conoscenza, indipendentemente dalla circostanza che tali comportamenti non
integrino reato (anzi, questo è il presupposto, scontato, dell’intervento del
giudice della riparazione) (in puntuali termini, Sez. IV, 16/10/2007, n. 42729).

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese del procedimento
e al rimborso delle spese legali in favore del Ministero costituito, che vista la
notula, si liquidano siccome in dispositivo nella misura reputata di giustizia.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali rlip
nonché alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del
presente giudizio che liquida in complessivi euro 750,00.
Così deciso nella camera di consiglio del 5/12/2013.

che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica

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