Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10955 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10955 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASTROPIGNANO DOMENICO N. IL 05/09/1968
avverso l’ordinanza n. 184/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
18/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. 3 i

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Uditi d’ nsor Avv.;

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Data Udienza: 28/11/2013

-1- Castropignano Domenico propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore,
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli, del 18 ottobre 2011, che ha respinto la
domanda, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta in
conseguenza dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del tribunale
della stessa città nell’ambito di procedimento penale che l’ha visto indagato per i reati di cui
agli artt. 416 bis cod. pen., 74, 73 e 80 del d.p.r. n. 309/90. Procedimento definito con
sentenza assolutoria, per non avere commesso il fatto, nella quale i giudicanti hanno preso
atto della decisione di un collaboratore di giustizia di avvalersi, in dibattimento, della facoltà
di non rispondere, in tal guisa avendo provocato la espunzione dal fascicolo del dibattimento
delle dichiarazioni accusatorie rese, in sede di indagini preliminari, nei confronti del
Castropignano.
La corte d’appello ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che il richiedente, con il suo
comportamento gravemente colposo, aveva contribuito a dar causa al provvedimento
restrittivo.
-2- Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso per cassazione, ove si deducono
i vizi di violazione di legge e di motivazione del provvedimento impugnato, con riguardo
all’affermata sussistenza del presupposto impeditivo al riconoscimento del diritto alla
riparazione, cioè di una condotta gravemente colposa del richiedente.
-3- L’Avvocatura Generale dello Stato, ritualmente costituitasi in giudizio nell’interesse del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiede dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il
ricorso.
Considerato in diritto.
Il ricorso è infondato.
-1- Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per
ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi
abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve
prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto,
sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta
abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro
indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale
condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso
comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad
apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante”, non
se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto
all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso
possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere
determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto
incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal
giudice della cognizione. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in
considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la
valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del
processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad
accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno
concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.
-2- Orbene, nel caso di specie la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo
ritenuto, sulla base di quanto emerso in sede di indagini, con motivazione adeguata, seppur

Ritenuto in fatto.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 500,00 in favore della cassa delle ammende nonché alla
rifusione, in favore del Ministero delle Finanze, delle spese del presente giudizio, che liquida
in complessivi euro 750,00.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013.

particolarmente sintetica e in taluni passaggi impropria, nel rispetto della normativa di
riferimento, che la condotta del Castropignano avesse sostanzialmente contribuito ad
ingenerare, sia pure in presenza di errore dell’autorità giudiziaria, la rappresentazione di una
condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione
ingiustamente sofferta.
In particolare, i giudici della riparazione, richiamando circostanze emerse nella sede di
cognizione, hanno legittimamente ritenuto che le frequentazioni ed i rapporti intrattenuti
dall’odierno ricorrente con personaggi coinvolti nel traffico e le ammissioni dello stesso circa
condotte di detenzione di sostanze stupefacenti, sia pure per il consumo personale, erano
l’espressione di una condotta quantomeno fortemente ambigua ed imprudente, connotata da
colpa grave, che aveva contribuito alla formazione del significativo quadro indiziario che
aveva determinato l’adozione del provvedimento restrittivo.
Il ricorrente, d’altra parte, svolge nel ricorso considerazioni, oltre che prevalentemente in
fatto, anche generiche, poiché non contrastano l’elemento centrale posto dal giudice della
riparazione a base della decisione impugnata, cioè le ambigue ed imprudenti frequentazioni
con soggetti dediti a traffici illeciti.
-3- Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che
si ritiene equo determinare in euro 500,00. Egli deve essere, altresì, condannato a rifondere al
Ministero resistente le spese del presente giudizio, che complessivamente si liquidano in euro
750,00.

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