Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10954 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10954 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DONNARUMMA MICHELE N. IL 06/0411979
avverso l’ordinanza n. 33/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
27/09/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GI COMO FOTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. VPD■ J7e Cm.44″■,

JA. k API a

Uditi difen r Avv.;

ttoA;stoto

Data Udienza: 28/11/2013

-1- Donnarumma Michele propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore,
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli, del 27 settembre 2011, che ha respinto
la domanda, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta in
conseguenza dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del tribunale
della stessa città nell’ambito di procedimento penale che l’ha visto imputato dei delitti di cui
agli artt. 74 e 73 del d.p.r. n. 309/90; accuse dalle quali è stato successivamente assolto per
non avere commesso il fatto.
La corte d’appello ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che il richiedente, con il suo
comportamento gravemente colposo, aveva contribuito a dar causa al provvedimento
restrittivo.
-2- Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso per cassazione, ove si deduce la
violazione dell’art. 314 c. p. p., con riguardo all’affermata sussistenza del presupposto
impeditivo al riconoscimento del diritto alla riparazione, cioè di una condotta gravemente
colposa del richiedente.

Considerato in diritto.
Il ricorso è infondato.
-1- Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per
ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi
abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve
prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto,
sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta
abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro
indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale
condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso
comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad
apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante”, non
se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto
all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso
possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere
determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto
incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal
giudice della cognizione. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in
considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la
valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del
processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad
accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno
concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.
-2- Orbene, nel caso di specie la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo
ritenuto, sulla base di quanto emerso in sede di indagini, con motivazione adeguata e
coerente sotto il profilo logico e nel rispetto della normativa di riferimento, che la condotta
del richiedente avesse sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pure in presenza di
errore dell’autorità giudiziaria, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è
scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta.
I giudici della riparazione, richiamando circostanze emerse nella sede processuale, hanno
legittimamente ritenuto che le frequentazioni, attestate da numerosi controlli di polizia, ed i
rapporti intrattenuti dal Dormarurruna con esponenti dell’organizzazione criminosa, ed anche
con il capo clan, Federico Dario, ed il tenore di talune conversazioni telefoniche intercettate,

2_

Ritenuto in fatto.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013.

nelle quali i due si scambiavano notizie circa la presenza di altri affiliati, fossero elementi
caratterizzanti una condotta gravemente imprudente e negligente nei termini richiamati
dall’art. 314 cod. proc. pen. Una condotta, quindi, giustamente ritenuta connotata da colpa
grave, che aveva quantomeno contribuito alla formazione del significativo quadro indiziario
che aveva determinato l’adozione del provvedimento restrittivo.
Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta
di riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico
attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione; mentre resta di esclusiva
pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o
dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere
censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse
in sede processuale, correttamente valutate dalla corte territoriale e perfettamente in linea con
i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.
-3- Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle
spese processuali.

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