Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10953 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10953 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STOLDER RAFFAELE N. IL 29/01/1986
avverso l’ordinanza n. 250/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
25/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
1ette/s9tife le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Stolder Raffaele ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza
indicata in epigrafe, con la quale è stata respinta l’istanza di riparazione per
l’ingiusta detenzione subita dal 20.3.2007, in relazione all’accusa di aver fatto
parte dell’associazione dedita al traffico di stupefacenti facente capo al clan
camorristico Mazzarella, in particolare collaborando con il coimputato e suocero
De Vincentiis e compiendo singoli fatti di spaccio.
La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto era risultato
storicamente accertato che, nel medesimo contesto ‘umano, spaziale e
temporale, in cui il De Vincentiis trafficava in stupefacenti, l’istante commetteva
reati in concorso con terzi, condivideva le doglianze del suocero circa la penuria
di stupefacenti da acquistare e rivendere, ne accettava gli ordini relativi
all’esecuzione di scambi con soggetti rimasti ignoti alle indagini, nella
consapevolezza della illiceità di tali scambi.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 cod. proc. pen., deducendo violazione di legge e vizio motivazionale.
Rileva l’esponente che la condotta colposa non può consistere in circostanze
relative alla condotta già oggetto della pronuncia assolutoria e deve concretarsi
in comportamenti esterni ai temi dell’incolpazione. Inoltre non possono integrare
colpa grave comportamenti che possono apparire sospetti. Stante i rapporti
familiari tra lo Stolder ed il De Vincentiis la frequentazione con quest’ultimo non
può valere quale condotta gravemente colposa dello Stolder. Anche l’esercizio
della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio non assume valenza nella
prospettiva della riparazione, perché egli non poteva “fornire ovvero prospettare
in quella sede … specifiche circostanze idonee a caducare il valore indiziante
degli elementi acquisiti in sede investigativa”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.

3.1. A fronte dei rilievi mossi con il ricorso che si esamina va rammentato che in
tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se
chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave,
deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori
disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino

2

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il

eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).
In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha
ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia

generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un
procedimento a suo carico (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010 – dep.
30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel medesimo senso già Sez. U, n. 43 del
13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203636).
Una risalente pronuncia ha sostenuto che “la condizione ostativa al
riconoscimento del diritto all’indennizzo per l’ingiusta detenzione rappresentata
dall’aver dato causa, da parte del richiedente, all’ingiusta carcerazione, non può
consistere in circostanze relative alla condotta già oggetto della pronuncia
assolutoria, ma deve concretarsi in comportamenti esterni ai temi
dell’incolpazione, di tipo processuale, come un’autoincolpazione, un silenzio
cosciente su di un alibi, una fraudolenta creazione di tracce o prove a proprio
danno” (Sez. 6, n. 1401 del 28/04/1992 – dep. 22/05/1992, Zenatti, Rv.
190488). Ad essa, evidentemente, si richiama il ricorrente.
Ma tale orientamento è stato disatteso dalla successiva giurisprudenza, che si è
attestata sul principio per il quale “in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo,
rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve
concretarsi in comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della
cognizione e che possano essere di tipo extra-processuale (grave leggerezza o
macroscopica trascuratezza tali da aver determinato l’imputazione), o di tipo
processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi); il
giudice è peraltro tenuto a motivare specificamente sia in ordine all’addebitabilità
all’interessato di tali comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla
determinazione della detenzione. (Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001 – dep.
28/02/2002, Pavone, Rv. 220984).
3.2. Non è corretta neppure l’affermazione secondo la quale non possono
integrare colpa grave comportamenti che possono apparire sospetti, per i quali il
perimetro della rilevanza giuridica è tracciato dalle norme in tema di misure di
prevenzione. In realtà nulla vieta una duplice valutazione del medesimo

anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in

elemento, ora al fine di verificare la pericolosità sociale del soggetto, in vista
dell’adozione di una misura di prevenzione; ora per l’accertamento della condotta
ostativa della riparazione dell’ingiusta detenzione. Quel che occorre, in questa
seconda sede, è che il comportamento ‘sospetto’, da solo o unitamente ad altri,
consista in una eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di
leggi o regolamenti che, rapportata al titolo della detenzione, possa ritenersi di
questa una concausa.

giurisprudenza di questa Corte è nel senso che, le frequentazioni ambigue, ossia
quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di
complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela, e sono poste in
essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti,
possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad
escludere la riparazione stessa (Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007 – dep.
08/01/2008, Pandullo, Rv. 238782). Ma ciò non esclude che, anche in presenza
di rapporti familiari, possa concretizzarsi il menzionato comportamento colposo.
Accade, evidentemente, quando gli elementi disponibili dimostrino che alla
causale familiare si accompagna una diversa relazione, sostenuta da finalità non
necessariamente implicate dal vincolo parentale.
Nel caso che occupa la Corte di Appello ha compiutamente indicato gli elementi
che definiscono la frequentazione del De Vincentiis da parte dello Stolder come
non esclusivamente familiare (ne accettava gli ordini relativi all’esecuzione di
scambi con soggetti rimasti ignoti alle indagini, nella consapevolezza della
illiceità di tali scambi).

3.4. L’ultimo rilievo del ricorrente coglie un dato che la Corte di Appello non ha
posto a base del proprio convincimento.

3.5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

4. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/11/2013.

3.3. Quanto ai rapporti di affinità che legano lo Stolder al De Vincentiis, la

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