Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10944 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10944 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Agostini Claudio n. il 29.8.1979
avverso la sentenza n. 1694/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Milano il 2.5.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 28.2.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Pratola, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv.to S. Bettiati del foro di Varese che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 28/02/2014

Ritenuto in fatto
i. — Con sentenza resa in data 2.5.2013, la Corte d’appello di
Milano ha integralmente confermato la sentenza in data 24.2.2010
con la quale il tribunale di Monza ha condannato Claudio Agostini (in
qualità di legale rappresentante della società Agostini Cedis s.p.a.)
alla pena di tre mesi di reclusione in relazione al reato di lesioni colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro, ai danni della lavoratrice Marika Ravasi, in Monza 1’8.7.2006.
In particolare, all’Agostini, nella richiamata qualità di legale
rappresentante della società datrice di lavoro, era stata contestata la
violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonché il
mancato rispetto delle norme cautelari espressioni di colpa specifica
analiticamente indicate nel capo d’accusa sollevato a suo carico.
Nel caso di specie, la lavoratrice infortunata, mentre era intenta allo spostamento di una macchina per il confezionamento di prodotti alimentari al fine di procedere alla pulizia del piano di lavoro,
rimaneva colpita all’alluce del piede sinistro dalla caduta di un componente della ridetta macchina (una bobina con la pellicola per il
confezionamento), che le provocava lesioni (una frattura composta
pluriframmentata) guaribili in oltre 5o giorni.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di due motivi
d’impugnazione.
Nel dettaglio, il ricorrente censura la sentenza d’appello per
violazione di legge, avendo la corte territoriale erroneamente ritenuto
obbligatorio l’apprestamento, da parte del datore di lavoro, del dispositivo di protezione individuale costituito dalle scarpe antinfortunistiche specificamente richiamate in sentenza, senza tener conto dell’imprevedibilità dello specifico rischio concretizzatosi ai danni della lavoratrice in relazione alla semplice attività di pulizia dei banconi del
reparto di frutta e verdura del negozio cui la stessa era addetta.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nella ricostruzione
del nesso di causalità tra la mancata dotazione delle scarpe antinfortunistiche in favore della Ravasi e l’evento lesivo dalla stessa subito,
attesa l’imprevedibilità della rottura della macchina movimentata
dalla lavoratrice, essendo la corte territoriale altresì incappata nel

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travisamento della prova testimoniale resa dalla stessa vittima in ordine alla specificazione della causa della caduta della bobina ch’ebbe
a provocarle la lesione.

Considerato in diritto
2. – Entrambi i motivi di ricorso — congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono
infondati.
E invero, del tutto correttamente la corte territoriale ha confermato l’obbligatorietà, in capo al datore di lavoro,
dell’apprestamento della dotazione antinfortunistica costituita dalle
scarpe descritte in sentenza (calzature provviste, nella parte anteriore, di un puntale rigido capace di resistere senza rompersi alle cadute
di oggetti del peso di 20 Kg. dall’altezza di un metro), avuto riguardo
all’agevole e intuibile prevedibilità di eventi infortunistici in ipotesi
provocabili dall’accidentale caduta di merce dai piani di esposizione
(o, in ogni caso, dai piani di lavoro) di un negozio ai danni dei lavoratori ad esso addetti.
In particolare, alla lavoratrice vittima della vicenda oggetto
dell’odierno procedimento erano state assegnate mansioni consistenti nella movimentazione di cassette di frutta e verdura tra piani diversi del negozio, tanto per la relativa collocazione negli spazi destinati
all’accesso del pubblico, quanto per la pulizia dei piani di lavoro al
termine della giornata.
Nel caso in esame, proprio in occasione dello svolgimento
dell’attività di pulizia di un bancone (e quindi nell’esecuzione delle
proprie mansioni ordinarie), la lavoratrice, nel movimentare una
macchina per il confezionamento di prodotti, ebbe a subire gli effetti
della caduta di un componente di detta macchina sul proprio piede
non adeguatamente protetto mediante l’uso delle descritte calzature
antinfortunistiche.
Al riguardo, la corte territoriale ha adeguatamente rilevato
come, nel corso dell’istruzione dibattimentale, fosse emersa la generalizzata estensione dell’obbligatorietà dell’uso di dette calzature da
parte del personale impiegato all’interno di luoghi di lavoro analoghi
a quello in esame, come confermato, tanto dall’ispettore
dell’amministrazione sanitaria locale competente (cfr. la deposizione
del teste Bonista), quanto dallo stesso direttore del negozio presso il

,

quale l’odierna lavoratrice prestava la propria attività lavorativa (cfr.
la deposizione del teste Confalone).
In termini di piena congruità logica e consequenzialità argomentativa, la corte territoriale ha quindi evidenziato la circostanza
dell’intuibile prevedibilità della sempre possibile caduta in terra di
oggetti (o di parti di essi, come nella specie) in un ambiente di lavoro
come quello organizzato dall’odierno imputato, nonché l’affermata
sussistenza del nesso di causalità tra la caduta della bobina de qua sul
piede della Ravasi e l’infortunio dalla stessa subito, attesa la verosimile certezza oltre ogni ragionevole dubbio — equiparabile al più elevato livello di credibilità razionale — dell’impedimento dell’evento lesivo de quo là dove la lavoratrice avesse calzato le scarpe antinfortunistiche alla cui dotazione, in favore della propria dipendente,
l’Agostini doveva ritenersi indefettibilmente tenuto (avuto riguardo al
peso non superiore a quindici chili della bobina caduta e alle indicate
capacità di resistenza delle calzature antinfortunistiche obbligatorie);
e tanto, indipendentemente dalla causa della rottura della macchina
movimentata dalla Ravasi, dovendo ritenersi, tale evenienza,
un’eventualità pacificamente connessa all’espletamento delle mansioni della lavoratrice offesa, pienamente prevedibile e agevolmente
evitabile.
Sulla base delle argomentazioni esposte – accertata l’integrale
infondatezza dell’impugnazione proposta dall’imputato -, dev’essere
pronunciato il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.2.2014.

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