Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10943 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10943 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Leone Ernesto n. il 26.3.1982
avverso la sentenza n. 268/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di
Napoli il 12.3.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 28.2.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. G. Pratola, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv.to P. Spadafora del foro di Salerno che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 28/02/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 12.3.2013, la corte d’appello di
Napoli ha integralmente confermato la sentenza in data 2.7.2012 con
la quale il tribunale di Torre Annunziata ha condannato Ernesto Leone alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione in relazione al
reato di lesioni colpose commesso, in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, ai danni di Salvatore Frizzi, e di
un anno di arresto ed euro 6.000,00 di ammenda in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza; fatti entrambi commessi in Striano, il
16.7.2011.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, dolendosi della violazione della legge processuale in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel disattendere l’istanza di rinvio avanzata dal difensore di fiducia
dell’imputato motivata dal concomitante impegno professionale in
corrispondenza della data di discussione dell’appello in camera di
consiglio.
Sul punto, rileva il ricorrente come la scelta del rito camerale
operata dalla corte d’appello (sulla cui base, respinta l’istanza di rinvio, era stata evidenziata l’irrilevanza della presenza del difensore), doveva ritenersi del tutto erronea, avendo l’imputato proposto
impugnazione per il riconoscimento del concorso formale dei reati
commessi dall’imputato: questione esulante dai casi contemplati
dall’art. 599, co. i c.p.p., per i quali è prevista la celebrazione dell’appello nelle forme dell’udienza camerale di cui all’art. 127 c.p.p..
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole della violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nell’escludere la configurabilità delle ipotesi criminose contestate all’imputato quali espressioni di un concorso formale di reati, erroneamente disconoscendo il
ricorso di una piena coincidenza spazio-temporale nella consumazione dei fatti oggetto d’esame, con la conseguente più favorevole determinazione del trattamento sanzionatorio dell’imputato.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Con riguardo alla doglianza avanzata dal ricorrente in ordine
alla nullità processuale consistita nella celebrazione del giudizio
d’appello nelle forme di cui all’art. 127 c.p.p. (con la conseguente nul-

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lità dell’intero giudizio d’appello per esser stato celebrato in assenza
del difensore dell’imputato), osserva il collegio come questa corte di
legittimità abbia già in precedenza sottolineato (cfr. Cass., Sez. 6, n.
38114/2009, Rv. 244764) come il principio della pubblicità dell’udienza, sancito dall’art. 471 c.p.p., co. 1, a pena di nullità, subisce deroga esclusivamente nelle ipotesi specificamente determinate in cui
per lo svolgimento del processo è prevista la forma della camera di
consiglio; e quindi, riguardo al giudizio di appello, nelle ipotesi indicate dall’art. 599 c.p.p..
Tale nullità, non rientrando tra quelle di ordine generale previste dagli artt. 178 e 180 c.p.p., dev’essere qualificata come relativa,
ed è soggetta ai termini di deducibilità stabiliti nell’art. 182 c.p.p., per
cui, se la parte è presente, dev’essere eccepita prima del primo atto
della procedura o, se non è possibile, subito dopo.
In particolare, nel giudizio d’appello, l’eccezione dev’essere
proposta subito dopo la notificazione del decreto di citazione dell’imputato a giudizio, nel quale ai sensi dell’art. 601 c.p.p., co. 2, è fatta
menzione della trattazione in forma camerale ex art. 599 c.p.p., o comunque, se la parte è presente, prima del primo atto del procedimento o, se non è possibile, subito dopo (Cass., Sez. 5, n. 26059/2005,
Rv. 232101).
Nel caso di specie, l’imputato, ricevuta la notificazione del decreto di citazione per il giudizio d’appello con la specificazione che si
sarebbe proceduto in camera di consiglio, non ha formulato tempestivamente la relativa eccezione, e il relativo difensore di fiducia, dopo essersi limitato a richiedere un rinvio dell’udienza di discussione
per la sussistenza di un concomitante impegno professionale (senza
che sia peraltro risultata alcuna analitica specificazione delle ragioni
dell’eventuale impossibilità di una sostituzione con altro difensore),
ha dedotto tale eccezione per la prima volta nei motivi dell’odierna
impugnazione, dovendo pertanto ritenersi incorso nella decadenza
comminata dall’art. 182 c.p.p., co. 3 (v., in termini, Cass., Sez. 6, n.
38114/2009, Rv. 244764, cit.).
Quanto al motivo di ricorso concernente la rivendicata configurazione delle ipotesi criminose contestate all’imputato quali
espressioni di un concorso formale di reati, osserva il collegio come
in modo pienamente corretto, sul piano logico-giuridico, la corte territoriale abbia escluso il ricorso di una coincidenza spazio-temporale

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tra le azioni penalmente rilevanti ascritte all’imputato, atteso che, del
tutto verosimilmente, il soggetto agente, prima ancora di provocare
l’incidente e di cagionare il rilevato danno alla vittima nel corso della
circolazione stradale, ebbe a porsi, con una distinta e ontologicamente autonoma attività, in stato di ebbrezza e, in tale condizioni, alla
guida del proprio veicolo, a nulla rilevando (a seguito della consumazione in tale guisa del reato di guida in stato di ebbrezza) l’eventuale
lunghezza del tratto di strada percorso o l’entità dell’intervallo di
tempo trascorso tra l’attività consistita nel porsi alla guida in stato di
ebbrezza e il successivo compimento dell’azione lesiva.

3. –

L’accertamento dell’infondatezza dei motivi di doglianza
avanzati dall’imputato impone il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.2.2014.

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