Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10930 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10930 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BIFUMO GIOVANNI N. IL 27/10/1956
avverso la sentenza n. 8124/1999 CORTE APPELLO di CATANIA, del
18/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. It,e xfr iste-4 fa> okeVri
che ha concluso per e
ir Si- A-50 •

Udito, per la parte civi , l’Avv
Udit i difensor Av

Data Udienza: 09/01/2014

Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Bifumo Giovanni avverso la sentenza
emessa in data 18.1.2013 dalla Corte di Appello di Catania che confermava quella del
Tribunale di Siracusa -Sez. distaccata di Avola del 19.3.2004, con cui il predetto era
stato ritenuto colpevole del delitto di cui agli artt. 81, 56, 624, 625 n. 2 e 7 c.p.
(tentato furto di quanto contenuto in tre autoveicoli: fatto del 9.8.1999) e condannato
alla pena di anni due di reclusione.
Deduce il vizio motivazionale in quanto erano rimaste prive di motivazione le censure

la mancata applicazione della riduzione per il delitto tentato nella sua massima
estensione, l’erronea applicazione della riduzione per il delitto tentato calcolata al
reato base aumentato per la continuazione anziché sul reato consumato.
Rappresenta, ancora, la violazione di legge in relazione all’art. 56 c.p. essendo stata
operata la riduzione per il tentativo al reato aumentato per la continuazione e non al
reato consumato.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
Le censure inerenti la misura dell’aumento per la continuazione e la mancata
applicazione della riduzione per il delitto tentato nella sua massima estensione sono
manifestamente infondate, dal momento che in tema di determinazione della misura
della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, dell’eseguita
valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella
sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per
addivenirvi in concreto (da ultimo, Cass. pen. Sez. II, 19.3.2008 n. 12749 Rv.
239754). E, al riguardo, la Corte ha rilevato che i numerosissimi reati contro il
patrimonio nonché di diversa natura per i quali l’imputato aveva riportato condanna
ne evidenziavano l’accentuata capacità a delinquere.
Quanto al calcolo della pena per il reato continuato effettuata non sulla base di quella

addotte con i motivi di appello concernenti: l’eccessivo aumento per la continuazione,

del furto aggravato con successivo aumento per la continuazione, bensì su quella del
reato di furto aggravato e continuato, è palese la carenza d’interesse (art. 591,
comma 1 lett. a c.p.p.).
Infatti, un calcolo della pena siffatto implica, quale risultato, una pena finale
comunque inferiore a quella che si ottiene effettuando la riduzione della pena per il
reato consumato nella identica misura e successivo aumento della medesima quota
per la continuazione.
Quindi l’imputato ha pure beneficiato di una pena inferiore a quella che
legittimamente e correttamente gli sarebbe spettata, ma tale anomalia non è
emendabile in assenza dell’impugnazione della Parte pubblica.

2

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Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
ritiene equo liquidare in C 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di
inammissibilità.
P.Q.M.

processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9.1.2014

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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