Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10928 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10928 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BRESCIA
nei confronti di:
MUCA ARDIAN ALIAS N. IL 27/08/1980
inoltre:
MUCA ARDIAN ALIAS N. IL 27/08/1980
avverso la sentenza n. 3013/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
06/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
Udito il Procuratore G5nerale in persona del ott. e,71,;ek
che ha concluso per .t9
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Data Udienza: 09/01/2014

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Udito, per la parte civile, yAvv

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Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 11.10.2012 resa dal Tribunale di Brescia all’esito del giudizio
abbreviato, Muca Ardian era riconosciuto colpevole dei delitti di estorsione aggravata
(dalle più persone riunite e dalla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale: art.
99, comma 4° c.p.), spaccio di sostanze stupefacenti e rientro non autorizzato sul
territorio nazionale dopo l’espulsione e condannato alla pena alla pena di anni 5, mesi 4
di reclusione ed C 24.000,00 di multa: in tale sentenza il Tribunale aveva ritenuto come
reato più grave quello di spaccio di stupefacenti ma aveva concesso l’attenuante del

equivalenti alle aggravanti contestate.

2. In parziale riforma di tale pronuncia, la Corte di Appello di Brescia, con sentenza in
data 6.2.2012, riconosceva l’attenuante di cui al 5 0 comma dell’art. 73 dPR 309/1990
come prevalente sulla recidiva e, ritenuto come più grave il delitto di estorsione
aggravata, rideterminava la pena inflitta in anni 4 mesi 5 e giorni 10 di reclusione ed C
2.800,00 di multa.

3. Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione il Procuratore generale presso la
Corte di Appello di Brescia e il difensore di fiducia di Muca Ardin adducendo
rispettivamente i motivi di seguito riportati in sintesi.
Il Procuratore generale:

la. si duole della violazione dell’art. 81 c.p. essendo stato erroneamente individuato il
reato più grave la cui scelta, secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte
del 28.2.2013, deve essere effettuata in astratto e quindi avrebbe dovuto cadere sul
delitto di cui all’art. 73 dPR 309/1990 che prevede una pena maggiore di quella sancita
per l’estorsione aggravata;
2a. rappresenta, inoltre, la singolarità del duplice giudizio di bilanciamento: uno per il
capo A) (di estorsione aggravata con equivalenza tra attenuante ex art. 62 n. 6 c.p. e
aggravanti contestate, tra cui la recidiva) ed uno per il capo B) (di spaccio di
stupefacenti, con attenuante di cui al 5° comma prevalente sulla recidiva);
3a. deduce, infine, il vizio motivazionale in ordine al giudizio di prevalenza
dell’attenuante di cui al 5 0 comma dell’art. 73 dPR 309/1990 rispetto alla contestata
recidiva, in riforma della sentenza di primo grado (che aveva ne ritenuto l’equivalenza),
ciò facendo d’ufficio, poiché non risultava proposto un apposito motivo di appello.
La difesa del Muca:

lb. si duole anch’essa dell’individuazione del reato più grave in quello dell’estorsione
aggravata, con richiamo alla pronuncia di questa Corte a Sezioni unite del 28.2.2013 e,
quindi, con preferenza della pena edittale in astratto e non in concreto;

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risarcimento del danno e quella di cui al 5° comma dell’art. 73 dPR 309/1990 come

2b. si pone, altresì, il quesito se tra i criteri di individuazione della pena più grave
debbano essere individuate anche le conseguenze in fase esecutiva derivanti dal titolo di
reato (l’art. 629 cpv. è ricompreso nell’elenco di cui all’art. 4 bis L. 354 del 1975,
limitativo dei permessi ed altri benefici penitenziari);
3b. deduce la violazione di legge in relazione al doppio giudizio sul bilanciamento delle
circostanze, assumendo, altresì, che dell’aggravante speciale della recidiva non deve
tenersi conto, soccombendo rispetto all’aggravante di cui al capoverso dell’art. 629 c.p.;
4b. Rappresenta, infine, la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione al

ritenuto più grave il delitto di spaccio di stupefacenti, era necessario determinare come
dovesse essere calcolato l’aumento di pena per la continuazione in quanto la recidiva ex
art. 99, 5 0 comma c.p. poteva operare solo in relazione al delitto di cui all’art. 629 cpv.
c.p. (il solo incluso nell’elenco di cui all’art. 407 comma 2° c.p.p.).

Considerato in diritto
4. Entrambi i ricorsi sono infondati e vanno respinti.

5.

Attesa la sostanziale omogeneità di quasi tutte le censure, afferenti alla

individuazione del reato più grave ai fini della continuazione, è opportuna la trattazione
unitaria delle stesse.

5.1. La pronuncia delle Sezioni unite sopra richiamata dal ricorrente (n. 25939 del
28.2.2013, Rv. 255347), ha affermato il principio di diritto secondo il quale: “In tema di
reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena
edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in
cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse”.
Ma è chiaro che per determinare il reato più grave, occorre tuttavia intendersi su cosa
significhino pena in astratto e pena in concreto, senza confondere la sanzione con il
reato.
Infatti, si è rilevato, occorre considerare che la nozione di “violazione più grave” ha una
valenza “complessa” che, muovendo dalla sanzione edittale comminata in astratto per
una determinata fattispecie criminosa, implica la valutazione delle sue concrete modalità
di manifestazione.
La sanzione edittale, cioè la pena prevista in astratto, è sempre quella comminata per il
reato contestato o ritenuto (in concreto) in sentenza, secondo il titolo e le circostanze
ritenute esistenti (salvo che disposizioni particolari e tassative escludano a certi effetti la
rilevanza delle circostanze o di alcune di esse), tenuto conto del loro bilanciamento
nonchè dei minimi e dei massimi edittali così risultanti. Una volta che le circostanze

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giudizio di bilanciamento delle circostanze ad effetto speciale, assumendo che, una volta

attenuanti siano state riconosciute e sia stato effettuato il pure doveroso giudizio di
bilanciamento rispetto alle aggravanti contestate, è al risultato di tale giudizio che deve,
in altri termini, farsi riferimento per l’individuazione in astratto della pena edittale per il
reato circostanziato. Sicchè, l’individuazione in astratto della pena edittale non può
prescindere dal risultato finale di tale giudizio, dovendosi calcolare nel minimo l’effetto
di riduzione per le attenuanti e nel massimo l’aumento per le circostanze aggravanti
(Sez. Un. n. 3286 27.11.2007, Chiodi; Sez. I n. 24838 del 15.6.2010 Di Benedetto, Rv.
248047 ed altre).

e cioè che dell’aggravante speciale della recidiva non deve tenersi conto nell’ambito del
giudizio di comparazione concernente l’estorsione, dal momento che la stessa soccombe
rispetto all’aggravante di cui al capoverso dell’art. 629 c.p., alla luce della pronuncia
resa sul punto da questa Suprema Corte a Sezioni Unite n. 20798 del 24.2.2011, Rv.
249664.

5.3. Consegue, sulla base di tali principi, che correttamente la Corte territoriale ha
effettuato un duplice giudizio di comparazione, al fine dell’individuazione del reato più
grave in astratto, in relazione al reato di estorsione aggravata, per cui la ritenuta
equivalenza dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. rispetto all’aggravante e alla
recidiva contestata (che comunque, per quanto testè osservato, rimane assorbita
dall’aggravante di cui all’art. 629 cpv. c.p.) ha comportato l’applicabilità della pena di
cui al primo comma dell’art. 629 c.p. (e quindi da cinque a dieci anni di reclusione ed C
da C 1.000,00 ad C 4.000,00), laddove la ritenuta prevalenza dell’attenuante (così
all’epoca qualificata) di cui al 5° comma dell’art. 73 dR 309/1990 sulla recidiva ne
abbatteva la pena sino a quella prevista dall’attenuante medesima (da uno a sei anni di
reclusione e da 3.000,00 a 26.000,00 di multa), risultando, quindi, nettamente inferiore
all’altra.
E’ appena il caso di rilevare che la pronuncia della Corte Costituzionale del 5.11.2012 n.
251, come tale successiva alla sentenza di primo grado, relativa alla possibilità del
giudizio di comparazione di prevalenza dell’allora attenuante di cui al 5° comma dell’art.
73 dPR 309/1990 sulla recidiva, è stata correttamente ritenuta applicabile dalla Corte
territoriale al caso di specie.
Ma tale conclusione non rimane alterata seguito dell’ulteriore novella introdotta dal D.L.
n. 146 del 23.12.2013, che ha espressamente qualificato il 5° comma dell’art. 73 dPR
309/1990 quale figura autonoma di reato, rideterminando la pena edittale da uno a
cinque anni di reclusione ed C 3.000 a 26.000 di multa: pur venendo meno, di
conseguenza, il giudizio di comparazione di cui all’art. 69 c.p., residua comunque un
reato la cui pena edittale (come sopra rideterminata), benchè aumentata di due terzi
4

Giova riconoscere, a tal proposito, la fondatezza del rilievo della difesa del Muca sub 3b

per la recidiva contestata ex art. 99, 4 0 comma c.p., non vale a superare quella prevista
per l’estorsione semplice a seguito del giudizio di bilanciamento che la concerne.
6. Non può trascurarsi di osservare, quanto alla censura sub 2b del ricorso del Muca,
che il quesito posto dal ricorrente è assolutamente irrilevante: l’art. 81 c.p. concerne la
pena e non rilevano gli effetti della stessa ai fini dell’individuazione del reato più grave,
tanto più che il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile ai
fini della fruizione dei benefici penitenziari allorché il condannato abbia espiato per

con la violazione più grave, ma sia solo un reato satellite, lo scioglimento del cumulo
formatosi per effetto della continuazione non può non determinare il ripristino per esso
della pena edittale prevista, calcolata nel minimo, e quindi con esclusione di qualsiasi
riferimento alla pena inflitta in concreto a titolo di aumento per la continuazione,
giacché tale riferimento non ha più ragione di essere, una volta che si sia operato lo
scioglimento del vincolo giuridico dovuto alla continuazione. (Nella specie, in relazione a
condanna a pena, diminuita per il rito abbreviato, a cinque anni di reclusione e 8.600
euro di multa per cessione di sostanze stupefacenti ed estorsione aggravata – reato,
quest’ultimo, ostativo alla concessione dei benefici penitenziari, per il quale era stato
applicato, a norma dell’art. 81 cod. pen., l’aumento sulla pena stabilita per il primo
reato, indicato come il più grave – era stata avanzata istanza di sospensione dell’ordine
di esecuzione concernente il residuo di pena da espiare dopo la detrazione della custodia
cautelare presofferta e di tre anni per l’indulto elargito con legge n. 241 del 2006.
Nell’enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto che la pena alla quale
fare riferimento per la sospensione dell’ordine di esecuzione dovesse essere quella di
quattro anni di reclusione, così ridotta per il rito quella prevista come minima per
l’estorsione aggravata). V. Corte cost., 27 luglio 1994 n. 361.” (Cass. pen. Sez. I, n.
46246 del 5.11.2008 Rv. 242086).
7. Consegue il rigetto dei ricorsi e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente Muca Ardian al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9.1.2014

intero la pena relativa ai reati ostativi. “Tuttavia, allorché il reato ostativo non coincida

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