Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10926 del 18/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 10926 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LA CHINA LUCA N. IL 21/02/1975
avverso la sentenza n. 3955/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
11/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Gpnerale in persona del Dott. ,UU
YJy (-#A
A
il
il
che ha concluso per ,1(
eTc94-0

Udito, per la parte civile, l’Avv

k-Rofwto

Udit i difensor Avv.
f7 3)

re,ti0P-[

Cupe’,u/gro •

if(444-9(

te-e cts[0-/-6

Data Udienza: 18/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Ragusa, con sentenza del 18/6/2012, dichiarata la
penale responsabilità di La China Luca, medico anestesista, per avere, per
colpa causato la morte di Drago Filippo (fatto accaduto in Vittoria il
16/9/2004), deceduto a sèguito della somministrazione, in occasione di un

l’imputato, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena
sospesa stimata di giustizia.

1.1. La Corte d’appello di Catania, investita della cognizione
i m pugnatoria dall’appello proposto dall’imputato, con sentenza
dell’11/3/2013, confermò la statuizione di primo grado.

2. L’imputato propone ricorso per cassazione corredato da plurimi
motivi di censura.

2.1. Con il primo motivo vengono denunziati vizio motivazionale in
questa sede rilevabile, mancanza della motivazione e travisamento della
prova.
Queste in sintesi le ragioni della doglianza. 1)11 rilevato stato cianotico nel
paziente non era da ricollegare ad un’eccessiva somministrazione di Fentanest
(il farmaco utilizzato per procurare l’effetto anestetico), in quanto se così
fosse stato la mancanza di ossigenazione avrebbe mostrato i propri segni
immediatamente, rendendosi subito eclatantemente visibile a tutti, essendo
stato, viceversa, osservato dall’infermiere Barone un «pallore assoluto»
del paziente. II) Inoltre, in presenza di un’aritmia cardiaca, avevano chiarito i
consulenti del GIP, il decesso non sarebbe stato preceduto da cianosi. Di
conseguenza, andava esclusa la causa morte dipendente da mancanza di
ossigenazione ricollegabile agli effetti del farmaco, dovendosi ritenere che la
morte fu causata da un’aritmia maligna, alla quale seguì l’arresto cardiaco;
né, peraltro, i periti erano stati in grado di esprimersi in termini di certezza o
prossimi ad essa circa la causa della morte. III) La Corte territoriale aveva
mostrato grave limite motivazionale nel disattendere le critiche difensive, che
prendevano spunto dalle risposte possibiliste dei periti, senza spiegare quali
fossero state le spiegazioni fornite dai tecnici di settore tali da lasciare
maturare sereno giudizio di colpevolezza, così escludendo ogni altra causa

1

intervento chirurgico, di una dose eccessiva di anestetico, condannò

alternativa ipotizzabile. IV) In definitiva si era trattato di motivazione
apparente e del tutto insoddisfacente, che era giunta financo a sminuire la
portata della deposizione dell’infermiere, giudicata inattendibile sol perché
costui, prestando servizio presso reparto di chirurgia oculistica non avrebbe
avuto dimestichezza con altre patologie, così dimenticando che gli infermieri
hanno formazione generalista di primo livello. V) La Corte catanese, inoltre,
per escludere che il decesso fosse stato causato dalla coronopatia, dalla quale
la vittima era risultata affetta, aveva travisato le emergenze probatorie dando

non presente in atti. VI) Alle dette osservazioni andava aggiunto che, come
evidenziato con l’appello, ove si fosse trattato di una depressione respiratoria,
la somministrazione di ossigeno avrebbe dovuto risolvere la crisi, al contrario,
il riscontro in sede di autopsia dell’enzima CPK indirizzava univocamente verso
l’infarto. VII) L’emivita (20 minuti) del farmaco utilizzato e la natura
dell’intervento (reiterato a distanza di pochi giorni dal primo per il presentarsi
di recidivazione nel distacco della retina) facevano reputare non eccessivo il
quantitativo somministrato e, ad un tempo, incompatibile il sopravvenire del
malore ricollegato ad effetti del principio attivo assunto, quando oramai erano
trascorsi più di venti minuti dall’inoculazione. VIII) Infine, valutato il
tranquillizzante risultato delle analisi ematologiche, la buona ripresa del
paziente e la consumazione del tempo di latenza del farmaco non v’era motivo
che l’imputato s’intrattenesse oltre presso il paziente. La Corte d’appello, in
definitiva, secondo il ricorrente, aveva omesso di prendere in effettivo esame
tutte le doglianze sopra sunteggiate, limitandosi a fornire risposta
motivazionale generica e vaga, scollata dalle emergenze processuali.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta erronea applicazione
dell’art. 3, comma 1 del D.L. n. 158 del 13/9/2012 (cd. legge Balduzzi),
nonché mancanza di motivazione sulla richiesta istruttoria della Difesa, con la
quale era stata evidenziata la necessità di risentire i periti sul punto.
La Corte territoriale si era contraddetta palesemente in quanto, dopo aver
affermato che nel caso di specie si verteva in ipotesi d’imperizia, allo stesso
tempo sostiene essere stato sintomo d’imperizia la scelta del dosaggio, senza,
peraltro, tener conto, che l’imperizia, secondo opinione scientifica accreditata,
si risolve in ambiti settoriali disciplinati da regole in negligenza ed
imprudenza. In ogni caso proprio nel capo d’imputazione si rimprovera al La
China condotta imperita. Ciò posto, ove si ritenga che l’imputato, incorrendo
in errore, abbia somministrato un dosaggio eccessivo del farmaco, non in
astratto, ma per non avere adeguatamente tenuto conto, in concreto, delle
condizioni del paziente, perciò stesso non potrebbe negarsi che costui si era
2

per acquisito un esame elettrocardiografico, escludente alterazioni di rilievo,

attenuto alle regole della buona pratica medica, discostandosene solo nella
loro concreta applicazione, senza perciò dar vita a quella

«deviazione

ragguardevole rispetto all’agire appropriato definito dalle standardizzate
regole d’azione>>,

siccome precisato da questa Corte in una recente

occasione (Sez. IV, n. 16237 del 29/1/2013).

2.3. Con il terzo motivo viene allegata violazione degli artt. 157 e 159,

Rileva il ricorrente che secondo la Corte etnea dal 17/7/2007 al
13/2/2008, dal 12/5/2008 al 6/10/2008, dal 15/7/2009 al 16/12/2009, dal
3/10/2011 all’1/4/2011 [rectius, come si trae dalla sentenza impugnata:
4/11/2011], dal 5/12/2011 al 16/1/2012 e dal 23/4/2012 al 18/6/2012 il
termine prescrizionale era rimasto sospeso, in quanto la trattazione era stata
rinviata in accoglimento di richiesta del Difensore, con la conseguenza che il
termine ultimo sarebbe venuto a scadere il 19/1/2014. L’asserto, a parere del
La China, è erroneo per le seguenti ragioni: i verbali delle udienze del
17/7/2007 e 12/5/2008, allegati al ricorso, attestavano inequivocamente che
il giudice aveva sospeso il termine prescrizionale per la durata di sessanta
giorni; inoltre, anche per il rinvio disposto all’udienza del 15/7/2009 la durata
della sospensione non poteva superare i sessanta giorni, trattandosi di rinvio
a sèguito di legittimo impedimento, a causa di concomitante impegno
professionale. Conseguiva all’esposto che il reato si era prescritto prima
dell’udienza dell’11/3/2013, all’epilogo della quale era stato letto il dispositivo
d’appello.
2.4. L’ultima doglianza denunzia l’assenza di motivazione a riguardo del
beneficio della non menzione, negato dal primo giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Ragioni di pregiudizialità impongono il previo esame del motivo con
il quale è stata dedotta l’intervenuta prescrizione.
La valutazione si risolverebbe favorevolmente all’imputato nel caso in cui
anche uno solo dei periodi di sospensione del corso della prescrizione disposti
con le ordinanze del giudice di primo grado con le quali, rispettivamente,
all’udienza del 17/7/2007, accogliendo istanza difensiva, rinviò la trattazione a
quella del 13/2/2008 e all’udienza del 12/5/2008, per il medesimo motivo,
rinviò il prosieguo all’udienza del 6/10/2008, restasse limitato (come da quel

3

cod. pen.

Giudice dichiarato) alla durata massima di giorni sessanta, prevista dall’art.
159, comma, comma 1, n. 3), siccome novellato dall’art. 6 della legge n. 251
del 5/12/2005.
Ciò in quanto, detratto anche uno solo dei periodi di tempo esuberanti,
quantificabile in oltre cinque mesi per il primo intervallo e in quasi tre mesi
per il secondo, sicuramente ad oggi il reato si è prescritto.
Invero, il fatto risale al 16/9/2004 e tenuto conto che le attenuanti generiche
furono reputate dal Tribunale prevalenti (altrimenti non si comprenderebbe la

delle numerose sospensioni registrate, sarebbe andato a prescriversi il
16/3/2012. La Corte catanese, conteggiate tutte le sospensioni ha statuito
che il termine in parola si sarebbe consumato il 19/1/2014.
Ove si consideri che per giungere al predetto risultato il Giudice d’appello, a
dispetto di quanto affermato nelle ordinanze del Tribunale, non limitò il
periodo di sospensione a 60 giorni + 60, avendo conteggiato, invece, tutto il
tempo intercorso tra l’udienza del 17/7/2007 e quella del 13/2/2008 e tra
l’udienza del 12/5/2008 e quella del 6/10/2008.

3.1. In entrambi i casi il Tribunale rinviò la trattazione accogliendo
documentata istanza del Difensore, impedito, in quanto impegnato in altra
sede.
Secondo un condivisibile orientamento di legittimità «la disposizione di cui
all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, così come sostituito dalla L. 5 dicembre 2005,
n. 251, art. 6, comma 3, regola in via generale le cause di sospensione del
corso della prescrizione, stabilendo che la prescrizione è sospesa, tra l’altro, in
caso di sospensione del procedimento o del processo penale “per ragioni di
impedimento delle parti e dei difensori, ovvero su richiesta dell’imputato o del
suo difensore”, in tal modo distinguendo l’ipotesi determinata da un
impedimento delle parti o dei difensori dall’ipotesi di sospensione concessa a
richiesta dell’imputato o del difensore dell’imputato. La disposizione in esame
disciplina la durata della sospensione del processo, stabilendo che, in ipotesi
di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori ( non
quindi anche nell’ipotesi di sospensione a richiesta dell’imputato o del suo
difensore), l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno
successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, ovvero calcolando la
sospensione della prescrizione per il solo tempo dell’impedimento, aumentato
di sessanta giorni.
Sulla base delle espressioni usate dal legislatore, è pertanto chiaro che la
limitazione di giorni sessanta, oltre il tempo dell’impedimento, del periodo,
che può essere preso in considerazione ai fini della sospensione della
4

determinazione della pena in mesi quattro di reclusione), il reato, in assenza

prescrizione, si applica solo ai rinvii determinati da impedimento di una delle
parti o di uno dei difensori e non anche ai rinvii concessi a seguito di una
richiesta dell’imputato o del suo difensore>> (Cass., Sez. I, n. 5956 del
4/2/2009).
Fermo il presupposto ricognitivo di cui sopra, in diverse occasioni questa Corte
ha mostrato di ritenere che l’impedimento del difensore per contemporaneo
impegno professionale, sebbene tutelato dall’ordinamento con il diritto al
rinvio dell’udienza, non costituisce un’ipotesi d’impossibilità assoluta a

applicazione il limite di durata della sospensione del corso della prescrizione
previsto dall’art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen. (Cass., Sez. II, n. 17344
del 29/3/2011, Rv. 250076; Sez. I, n. 44609 del 14/10/2008, Rv. 242042).
Il Collegio non condivide quest’ultimo arresto, il quale, con molta probabilità
sconta il vizio di un mancato confronto con la ricognizione della natura del
diritto al differimento della trattazione su istanza del difensore, impegnato
professionalmente in altro procedimento. Ipotesi, questa, come è ben agevole
cogliere, ben diversa dall’istanza di rinvio per svariate altre ragioni, pur
connesse alla necessità di meglio esercitare il diritto di difesa (acquisizione di
documenti, studio degli atti, reperimento di precedenti giurisprudenziali,
esigenza di attendere definizioni giudiziarie, adesione ad astensioni
dall’attività proclamate da organi rappresentativi della categoria, ecc.).

3.2. La peculiarità dell’ipotesi aveva generato notevoli contrasti in
sede di legittimità, che le S.U., chiamate a comporre, con la sentenza n. 4708
del 27/3/1992 (Rv. 190828), aveva sintetizzato in tre filoni: dai due estremi
opposti, l’uno che finiva quasi per obliterare il prospettato diritto e l’altro che,
esaltandone forse eccessivamente la portata, finiva per sacrificare le esigenze
di speditezza e funzionalità del sistema processuale penale; al terzo,
collocantesi in posizione mediana, che, riconosciuto il diritto, si sforzava
d’individuarne i limiti.
Ripudiate le due posizioni più radicali, in quell’occasione, si rilevò:
<< che il nuovo codice di rito ha equiparato l'impedimento del difensore a - quello dell'imputato, innovando sul punto la precedente disciplina; - che ciò è strettamente correlato alla filosofia del nuovo codice, tutta radicata sulla previsione della partecipazione dell'accusa e della difesa, su un piano di parità, in ogni stato e grado del processo proprio perché si è voluto realizzare un "processo di parti"; - che conseguentemente l'intervento del difensore costituisce una attività di "partecipazione" e non di mera "assistenza", essendo il difensore tecnico direttamente impegnato - al pari del pubblico ministero - nella ricerca, 5 partecipare all'attività difensiva e non dà luogo ad un caso in cui trovano individuazione, proposizione e valutazione di tutti gli elementi probatori e nell'analisi della fattispecie legale; - che pertanto l'effettività della difesa - non ridotta ad una mera formale presenza di un tecnico del diritto pur se non in grado, per mancanza di significativi rapporti con le parti, di padroneggiare il materiale di causa - è condizione per la validità dello stesso rapporto processuale; - che di conseguenza un motivo, serio e documentato, che impedisca l'esercizio del compito difensionale deve essere considerato, potenzialmente, legislatore ha ritenuto essenziale per un corretto svolgimento dell'intero procedimento. Di contro non può però ritenersi che l'ordinamento rimetta al difensore ed a lui solo, la scelta di quale procedimento trattare e di quale rinviare, rendendolo così arbitro assoluto, prospettando un impedimento professionale, di influire sull'andamento e l'esito dei procedimenti attraverso il conferimento di una funzione sostanzialmente interdittiva>>.
Con la conseguenza che l’impegno professionale del difensore in altro
procedimento doveva ritenersi legittimo impedimento, che dà luogo ad
assoluta impossibilità a comparire ai sensi dell’art. 486, comma 5, cod. proc.
pen., a condizione che il costui prospetti l’impedimento e chieda il rinvio non
appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni e che non si limiti a
comunicare e documentare l’esistenza di un contemporaneo impegno
professionale in altro processo, ma esponga le ragioni che rendono essenziale
l’espletamento della sua funzione in esso per la particolare natura dell’attività
a cui deve presenziare, l’assenza in detto procedimento di altro condifensore
che possa validamente difendere l’imputato, l’impossibilità di avvalersi di un
sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui si intende
partecipare sia in quello di cui si chiede il rinvio. Il giudice di quest’ultimo
processo deve valutare accuratamente, bilanciando le esigenze di difesa
dell’imputato da un lato e quelle di affermazione del diritto e della giustizia
dall’altro, le documentate deduzioni difensive, anche alla luce delle eventuali
necessità di una rapido esaurimento della procedura trattata, per accertare
che l’impedimento non sia funzionale a manovre dilatorie o non possa nuocere
all’attuazione della giustizia nel caso in esame.
In coerenza con il solco tracciato dalla pronunzia di cui sopra, le S.U.,
ritornate sull’argomento con la sentenza n. 29529 del 25/6/2009 (Rv.
244109), hanno ulteriormente chiarito che nel caso di istanza di rinvio per
concomitante impegno professionale del difensore, spetta al giudice effettuare
una valutazione comparativa dei diversi impegni al fine di contemperare le
esigenze della difesa e quelle della giurisdizione, accertando se sia
6

come ostativo alla concreta attuazione di quella funzione di difesa che il

effettivamente prevalente l’impegno privilegiato dal difensore per le ragioni
rappresentate nell’istanza e da riferire alla particolare natura dell’attività cui
occorre presenziare, alla mancanza o assenza di un condifensore nonché
all’impossibilità di avvalersi di un sostituto a norma dell’art. 102 cod. proc.
pen.

3.3. L’orientamento sopra riportato che, assimilando l’impedimento
giustificato dal concomitante impegno professionale in altro procedimento del

attinenti al miglior esercizio della difesa, finisce col porsi in contrasto con la
ricostruzione d’assetto operata in sede di S.U.
Proprio perché l’impedimento per l’anzidetta ragione è stato riportato alla
categoria della assoluta impossibilità a comparire, valorizzandosi ed
esaltandosi nel codice di rito penale dell’88, il significato dell’effettività della
difesa tecnica, che, come felicemente sintetizzato dalla sentenza n. 4708 cit.
«

non ridotta ad una mera formale presenza di un tecnico del diritto pur se

non in grado, per mancanza di significativi rapporti con le parti, di
padroneggiare il materiale di causa – è condizione per la validità dello stesso
rapporto processuale», per un verso, quale contraltare, si è inteso definire e
delimitare, l’esercizio di un tale diritto (nei termini già riportati); ma, per altro
verso, proprio la necessità della ricorrenza dei rigorosi presupposti individuati,
rende viepiù convincente l’opinione che, verificata la sussistenza dell’ipotesi in
presenza della quale l’aspettativa all’accoglimento dell’istanza non può essere
frustrata senza incorrere in grave illogicità motivazionale, l’impossibilità a
comparire del difensore deve considerarsi assoluta ai sensi del comma 5
dell’art. 486, cod. proc. pen., con l’ulteriore conseguenza che l’udienza non
può essere rinviata oltre il sessantesimo giorno e, pertanto, la sospensione del
corso della prescrizione non può avere durata maggiore, nel caso in cui il
giudice differisca la trattazione oltre il sessantesimo giorno (art. 159, comma,
n.3, cod. pen.).

3.4. Volendo, poi, spostare l’analisi su un piano esegetico – lessicale
non può farsi a meno di evidenziare che la previsione di cui all’art. 159, cod.
pen. (che ha la funzione precipua d’individuare e descrivere le ipotesi al
ricorrere delle quali scaturisce l’effetto sospensivo del corso della prescrizione)
si limita ad assimilare all’impedimento dell’imputato quello del difensore. L’art.
486, cod. proc. pen., diretto a disciplinare la vicenda sul piano
procedimentale, dopo aver circoscritto la

«assoluta impossibilità»

a

comparire dell’imputato alle ipotesi di «caso fortuito, forza maggiore o altro
legittimo impedimento», al comma 5, dispone che «il giudice provvede a
7

difensore alla richiesta di differimento per le più varie ragioni, sia pure

norma del comma 3 [sospensione o rinvio del dibattimento] anche nel caso di
assenza del difensore, quando risulta che la stessa è dovuta ad assoluta
impossibilità a comparire per legittimo impedimento purché tempestivamente
comunicato>>.
Non è difficile cogliere che, venuto meno l’espresso riferimento alle classiche
ipotesi di impedimento invincibile per circostanze materiali del tutto
indipendenti dalla volontà del soggetto, la norma prevede il rinvio allorquando
il difensore risulti assolutamente impossibilitato a comparire per legittimo

quella petsa in rassegna per l’imputato, tanto che l’impedimento, pur sempre
assoluto (e l’assolutezza ricorre ove restino integrati i presupposti individuati
dalle S.U.), viene qualificato legittimo, cioè giustificato, non strumentale o
defatigante, sempre a condizione che venga prontamente comunicato. Ove la
nozione coincidesse con quella della forza maggiore o del caso fortuito,
peraltro, non sempre sarebbe possibile la pronta comunicazione.
Ovviamente, anche per il difensore, oltre al legittimo impedimento per
concomitante impegno professionale, il rinvio è dovuto in caso di eventi
costituenti forza maggiore o caso fortuito.

4. Alla luce di quanto svolto, siccome anticipato al § 3., il reato
all’odierna udienza deve constatarsi essersi prescritto.
Ciò rende superfluo pendere in esame la validità, l’efficacia e l’impugnabilità
dell’ordinanza emessa all’udienza del 15/7/2009, con la quale, accogliendo
istanza di rinvio per legittimo impedimento per concomitante impegno
professionale del difensore, il Tribunale sospese (rectius: dichiarò sospeso)
per una durata ben superiore ai sessanta giorni il corso della prescrizione.

5. Gli altri motivi di ricorso, sibbene sorretti da argomentazioni serie,
o comunque, apprezzabili, non consentono, tuttavia di cogliere l’emersione di
un quadro che descriva nitidamente, senza necessità di ricercarla, l’innocenza
dell’imputato.
In tema di declaratoria di cause di non punibilità nel merito in concorso
con cause estintive del reato, il concetto di «evidenza» dell’innocenza
dell’imputato o dell’indagato presuppone la manifestazione di una verità
processuale chiara, palese ed oggettiva, tale da consistere in un quid pluris
rispetto agli elementi probatori richiesti in caso di assoluzione con formula
ampia (Cass. 19/7/2011, n. 36064).
Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p. quando le
circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del

8

impedimento professionale. Trattasi di una categoria ontologica diversa da

medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti
in modo assolutamente incontestabile (Cass. 14/11/2012, n. 48642).
Invero, nel caso di specie, restando al vaglio previsto dal comma 2
dell’art. 129, cod. proc. pen., la dipendenza della morte del paziente da causa
non palesemente indipendente dalla somministrazione del trattamento
anestetico praticato dall’imputato e l’assenza di elementi univoci dai quali
trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento
d’innocenza del medesimo, impone l’anticipato epilogo.

reato contestato estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione.

Così deciso in Roma il 18/12/2013.

Va disposto, pertanto, annullamento della sentenza impugnata essendo il

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA