Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10923 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10923 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BEVILACQUA DONATO N. IL 06/08/1975
avverso la sentenza n. 143/2012 CORTE APPELLO di POTENZA, del
18/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Data Udienza: 18/12/2013

RITENUTO IN FATTO

Bevilacqua Donato veniva condannato alla pena di un anno di reclusione ed euro 350,00 di
multa dal Tribunale di Melfi, con sentenza in data 5 maggio 2011 per il reato di cui all’art.
95 del d.P.R. n. 115 del 2002, con la contestazione della recidiva reiterata infraquinquennale. Il Bevilacqua aveva dichiarato, nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello

(anche con riferimento ai propri familiari) avendo percepito redditi per complessivi euro
12.756,47; era stato poi accertato che il nucleo familiare del Bevilacqua aveva invece percepito redditi pari ad euro 23.284,71 (reato commesso il 23 settembre 2002).
Proponeva appello l’imputato il quale sollecitava l’assoluzione ed invocava in subordine la
concessione delle attenuati generiche.
La Corte territoriale confermava l’affermazione di colpevolezza e motivava il convincimento
così espresso richiamando il compendio probatorio acquisito ed affermando la configurabilità
del reato, quale contestato al Bevilacqua, in ogni caso di false attestazioni reddituali
nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio, a prescindere dall’eventuale sussistenza, in
concreto, delle condizioni di reddito richieste per l’ammissione al beneficio in argomento,
dovendo individuarsi la ratio della norma nell’esigenza della veridicità della dichiarazione, ed
evocando in proposito l’indirizzo interpretativo in tal senso affermatosi nella giurisprudenza
di legittimità; la Corte stessa riteneva poi il Bevilacqua non meritevole delle attenuanti generiche così condividendo quanto argomentato al riguardo dal primo giudice.
Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, dolendosi dell’affermazione di colpevolezza sul presupposto del denunciato vizio motivazionale in ordine alle valutazioni probatorie, ed eccependo comunque l’intervenuta prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Ritiene il Collegio che preliminarmente – avuto riguardo alla data di accertamento del reato,
al titolo del reato medesimo, ed alla pena edittale per lo stesso prevista – occorre verificare
se, alla data della odierna udienza, sia interamente decorso il termine massimo di prescrizione, secondo la tesi sostenuta dal ricorrente.
La deduzione difensiva, circa la prescrizione, deve essere esaminata tenendo conto dei seguenti dati: 1) il titolo del reato: art. 95 del d.P.R. n. 115/2002, con la contestata recidiva;
2) la data dell’accertamento del reato: 23 settembre 2002; 3) la data della sentenza di primo grado, 5 maggio 2011; 4) il testo dell’art. 157 c.p. come modificato dalla legge n. 251
del 2005; 4) la data dell’entrata in vigore di detta legge, 8 dicembre 2005, e le disposizioni
transitorie della stessa.

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Stato, di essere nelle condizioni reddituali previste per l’ammissione al beneficio richiesto

Tanto premesso, va rilevata l’intervenuta prescrizione: detta causa estintiva del reato deve
invero ritenersi verificata, per quanto in prosieguo si preciserà, pur tenendo conto del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte – con sentenza (imp. Cremonese) del 28
novembre 2001, depositata l’11 gennaio 2002 – in tema di sospensione del decorso del termine di prescrizione in conseguenza di impedimento dell’imputato o del suo difensore.
La pena detentiva edittale per il reato in questione è pari ad un massimo di cinque anni di
reclusione.

anni, con un aumento, nel caso di atti interruttivi, che non può essere di più di due terzi per
l’ipotesi in cui, come nella concreta fattispecie, all’imputato sia contestata anche la recidiva
qualificata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.: termine massimo di prescrizione,
dunque, per il reato come contestato al Bevilacqua (con la recidiva), pari a 10 anni (6 anni+due terzi).
La citata legge n. 251/2005 era già entrata in vigore (8 dicembre 2005) alla data della lettura del dispositivo della sentenza di primo grado (5 maggio 2011): di tal che, nel caso di
termini di prescrizione previsti dalla legge in parola più brevi rispetto a quelli del previgente
art. 157 c.p., dovrebbero trovare applicazione le nuove disposizioni secondo quanto previsto
dalle norme transitorie della legge medesima, avuto riguardo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 393 del 2006 e tenuto conto dell’indirizzo interpretativo quale delineatosi nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., “ex plurimis”, Sez. 5, n. 2076 del 05/12/2008 Ud. dep. 20/01/2009 – Rv. 242362).
Tenuto conto di tutto quanto fin qui detto, non v’è dubbio alcuno che nella concreta fattispecie deve trovare applicazione il termine di prescrizione previsto dall’art. 157 c.p. come
novellato con la legge 251/05, vale a dire sei anni, con un massimo di dieci anni, per gli atti
interruttivi, ove si dovesse tener conto della contestazione della recidiva prevista dal quarto
comma dell’art. 99 del cod. pen.
Dunque, la prescrizione del reato ascritto al Bevilacqua sarebbe cronologicamente maturata
alla data del 23 settembre 2012 (dieci anni dal 23 settembre 2002), calcolando anche l’aumento per la recidiva. Mette conto tuttavia evidenziare che il primo giudice, nel determinare
la pena da infliggere al Bevilacqua, pur non escludendo formalmente la recidiva, non ne ha
però tenuto conto onde “calibrare la pena”. Orbene, nella giurisprudenza di quesata Corte è
stato condivisibilmente affermato che “qualora la recidiva, pur oggetto di contestazione,
non sia stata comunque valutata dal giudice nella quantificazione della pena inflitta, non si
può, in difetto di specifica impugnazione sul punto, tener conto, ai fini del calcolo del tempo
necessario perché maturi la prescrizione del reato, dell’aumento di pena ad essa collegato”
(Sez. 2, n. 18595 del 08/04/2009 Ud. (dep. 05/05/2009 ) Rv. 244158; conf., Sez. 6, n.
43771 del 07/10/2010 Ud. (dep. 11/12/2010 ) Rv. 248714 ); ed è stato ulteriormente precisato che “in tema di prescrizione del reato, quando il giudice abbia escluso, anche implicitamente, la circostanza aggravante facoltativa della recidiva qualificata (art. 99, comma

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In base alla legge n. 251 del 2005, il termine di prescrizione per il reato “de quo” è di 6

quarto, cod. pen.), non ritenendola in concreto espressione di una maggiore colpevolezza o
pericolosità sociale dell’imputato, la predetta circostanza deve ritenersi ininfluente anche ai
fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato”

(Sez. 2, n. 2090 del

10/01/2012 Ud. – dep. 19/01/2012 – Rv. 251776).
Ne deriva che, non rilevando la recidiva, e dovendo quindi considerarsi solo l’aumento di un
quarto della pena edittale per il reato ascritto al Bevilacqua, il termine massimo di prescrizione – pari a sette anni e mezzo (6 anni + un quarto) – è maturato, nel caso in esame, alla

Resta ora da verificare se nel corso dei due gradi di giudizio di merito vi sono stati periodi di
sospensione, riconducibili a richieste di rinvio dell’imputato e/o del difensore, tali da comportare la protrazione della scadenza del termine di prescrizione ad epoca successiva
all’odierna udienza: orbene, detti periodi hanno determinato uno “slittamento” della prescrizione al 20 luglio 2011 (in data anteriore alla sentenza d’appello).
Deve dunque prendersi atto che allo stato è intervenuta la causa estintiva della prescrizione,
maturata già prima della sentenza di secondo grado ed invocata espressamente con il ricorso (cfr., al riguardo, Sez. Unite, Bracale).
Per quel che concerne poi l’applicabilità dell’art. 129, secondo comma, del codice di rito, va
ricordato che, in forza dei consolidati princìpi di diritto enunciati da questa Corte, il sindacato di legittimità, appunto ai fini della eventuale applicazione della disposizione appena citata, deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire
ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o
dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle
medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di
nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo
cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato,
ed in presenza di gravame che non risulti affetto da inammissibilità originaria (che non consentirebbe di rilevare la causa estintiva del reato, secondo il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte in materia), deve essere dichiarata l’estinzione del reato.
Nel caso in esame non sussistono le condizioni per una pronuncia assolutoria, ai sensi del
secondo comma dell’art. 129 c.p.p., atteso che nelle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata – già innanzi ricordate (nella parte relativa allo “svolgimento del processo”) e da intendersi qui integralmente richiamate onde evitare superflue
ripetizioni – non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei ad integrare la prova evidente
dell’innocenza dell’imputato.

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data del 23 marzo 2010.

L’impugnata sentenza deve essere dunque annullata senza rinvio, perché estinto il reato per
prescrizione.
P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Roma, 18 dicembre 2013
Il coifsigiiere estensore

Il Presidente
(Pietro Antonio Sirena)

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1.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
nr Sezione Penale

(Vi cenzo Romis)

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