Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10905 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10905 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
CATANZARO
nei confronti di:
FIALA’ NAZZARENO N. IL 20/03/1966
ORFANO’ PASQUALE N. IL 13/06/1970
inoltre:
FILARDO FRANCESCA
IANNELLO MICHELE
IANNELLO MARIA
IANNELLO GIUSEPPE
ZINNÀ MARIA ANTONIETTA
IANNELLO CONCETTA
IANNELLO CATERINA
IANNELLO SANTINA
IANNELLO PIETRO
avverso la sentenza n. 117/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 12/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. r; Cc) O I &ti illonfo
che ha concluso per ( et4444.c.& (42.114„tetifoc
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Data Udienza: 27/11/2013

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Ritenuto in fatto

1.Con sentenza del 12/1/2012 la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza
di condanna con conseguenti statuizioni civili risarcitorie resa in primo grado, dichiarava
estinto per prescrizione nei confronti di Orfanò Pasquale il reato di omicidio colposo
commesso con violazione di norme antinfortunistiche a lui ascritto e assolveva Fialà
Nazzareno dal medesimo reato, confermando solo nei confronti di quest’ultimo le
statuizioni civili.

secondo di preposto dall’impresa costruttrice per il controllo dell’esecuzione dell’opera,
di non aver posto in essere tutte le attività prevenzionali e di sicurezza sul cantiere, così
cagionando la morte di Iannello Francesco e Mazzeo Domenico, dipendenti della ditta
esecutrice Prestia, investiti dal crollo di un fronte di scavo – realizzato con pendenza
praticamente verticale e profondità pari a circa quattro metri, su terreno altamente
instabile, saturo di acque e privo di armatura di sostegno, sul fondo del quale i predetti
erano intenti, completamente sprovvisti di protezione individuale, a effettuare un getto
in calcestruzzo per la realizzazione del piano di posa delle fondazioni di un erigendo
muro di contenimento (fatto del 17/11/2003). Al solo Fialà, inoltre, era addebitato di
avere, quale progettista e direttore dei lavori, in concorso con la committente e con il
costruttore, eseguito lavori di scavo relativi alla realizzazione del piano seminterrato in
totale difformità rispetto al progetto originariamente presentato ed al relativo permesso
di costruire, nonché in totale assenza di variante. Per tale reato l’accertamento
processuale era stato definito con il proscioglimento per prescrizione in primo grado,
non oggetto d’impugnazione.
1.2.La Corte territoriale, premesso che l’incidente si era verificato per l’omessa
adozione delle misure antinfortunistiche previste dagli artt. 12 d.p.r. 164/1956 12 e 13
D.Ivo. 494/1996; rilevato che la qualifica di direttore dei lavori rivestita dal Fialà
comportava in sé il solo incarico di sorveglianza tecnica relativa alla esecuzione del
progetto e che la responsabilità del direttore dei lavori per la sicurezza sul lavoro
costituisce elemento ulteriore ed eventuale, ricorrente solo ove sia accertata una
ingerenza nella organizzazione del cantiere; ritenuta, altresì, carente l’istruttoria
riguardo all’ingerenza nell’attività lavorativa ed al potere di gestione del cantiere da
parte del direttore dei lavori, escludeva la responsabilità dell’imputato per l’omicidio
colposo. La Corte confermava, altresì, il giudizio di responsabilità nei confronti
dell’Orfanò, in ragione della posizione di garanzia sullo stesso gravante quale
responsabile di cantiere.
2.Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione sia il Procuratore generale
presso la Corte d’Appello di Catanzaro che le parti civili.

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1.1.Ai predetti era stato mosso l’addebito, il primo in qualità di direttore dei lavori, il

2.1.La parte pubblica denuncia, con riferimento alla posizione del Fialà, mancanza e
contraddittorietà della motivazione e violazione della disciplina antinfortunistica.
Osserva che la sentenza aveva mancato di rilevare che il profilo di colpa addebitato al
direttore dei lavori è compreso nell’ambito delle condotte doverose che ad esso
competono; che il direttore dei lavori, titolare di una posizione di garanzia derivata, per
titolo negoziale, da quella originaria del proprietario, è penalmente responsabile del
crollo delle costruzioni anche nell’ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli

e adottare le necessarie precauzioni o, altrimenti, scindere la sua posizione di garanzia
da quella dell’assuntore dei lavori, rinunciando all’incarico, e ciò in forza dell’art. 29 del
D.P.R. 380 del 2001. Rileva, altresì, che dalle risultanze si desumeva che il Fialà fosse
consapevole della qualità assunta e delle responsabilità da essa derivanti. Osserva che i
rischi connessi alla gettata in calcestruzzo non erano stati prospettati e che agli operai
non era stato proibito di proseguire i lavori in cemento armato.
Con separato atto, relativo alla posizione dell’Orfanò, deduce violazione di legge in
relazione all’applicazione dell’art. 157 c.p.
Osserva che, pur ritenendo applicabile ratione temporis la disciplina previgente alla I.
251/2005, non poteva ritenersi maturata la prescrizione del reato. La concessione delle
attenuanti generiche, non ritenute dal giudice di prime cure prevalenti sulle aggravanti,
non incide, infatti, sul trattamento sanzionatorio stabilito dal primo comma dell’art. 589
c.p., che, prevedendo nel massimo la pena di cinque anni, comporta un termine di
prescrizione di dieci anni in virtù del previgente art. 257, 1° n.3 c.p. Ne discende che la
prescrizione massima, tenuto conto delle cause d’interruzione, è di quindici anni. Rileva
che allo stesso risultato si perviene anche con l’applicazione della vigente disciplina,
giacché la prescrizione ordinaria di dodici anni (termine raddoppiato ai sensi della I.
151/2005) deve reputarsi maggiorata, a seguito di interruzione, a quindici anni, pari al
doppio di anni 7 e mesi 6 di reclusione. Conclude affermando che la sentenza ha
erroneamente applicato l’art. 157 c.p. dichiarando l’estinzione del reato per intervenuta
prescrizione.
2.2.Le parti civili deducono, a loro volta, vizio motivazionale. Rilevano che, risultando
certa dall’istruttoria dibattimentale una esecuzione dei lavori diversa da quella
prospettata nella relazione tecnica e nel progetto ed essendo richiesta per la
realizzazione delle opere la figura professionale del direttore dei lavori, la cui nomina va
posta a corredo dell’istanza per il rilascio della concessione edilizia, ne discendeva la
responsabilità del Fialà. Osservano che in proposito la motivazione della Corte
territoriale era assolutamente insufficiente nel suo iter argomentativo e contraria al
principio di ragionevolezza.
Con il secondo motivo deducono violazione di legge in relazione agli artt. 40, 223, 589
c.p. e 2087 c.c. Rilevano che i principi richiamati dalla corte territoriale riguardo alla
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esercitare una oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie

mancata estensione della responsabilità del direttore dei lavori alla predisposizione di
opere provvisorie necessarie per la realizzazione dell’opera principale erano ininfluenti
nella specie, dato che dalle modalità del fatto, per come emerse dall’istruttoria,
risultava che il Fialà aveva concreta ingerenza nell’organizzazione del cantiere sia per la
posizione di garanzia rivestita, sia perché egli, pur trovandosi sul cantiere, nessun
comportamento aveva posto in essere per evitare l’evento mortale verificatosi per
l’assenza di qualsiasi misura di sicurezza. Osservano, inoltre, che il direttore dei lavori,
al pari dell’appaltatore, aveva l’obbligo di cooperare per evitare infortuni e

Considerato in diritto.

Le impugnazioni proposte dal Procuratore generale e dalle parti civili con riferimento
alle statuizioni nei confronti del Fialà sono fondate.
La sentenza di primo grado, invero, pur in assenza di una espressa accettazione, aveva
attribuito la qualità di direttore dei lavori al Fialà in ragione della nomina da parte della
committenza, sulla scorta della ritenuta accettazione di fatto dell’incarico desunta dalla
presenza del predetto sul cantiere e dalla redazione da parte sua dei preventivi, con
quietanza degli anticipi ricevuti anche in relazione alle opere di sbancamento. Aveva
tratto, altresì, dalla circostanza relativa al blocco dei lavori – prospettato dall’imputato al
Farfaglia, proprietario del terreno presente sul posto, ove gli stessi fossero proseguiti
senza il deposito del progetto corredato da relazione geologica presso il Genio Civile – la
consapevolezza in capo allo stesso Fialà della qualità assunta e delle correlate
responsabilità, nonché della pericolosità della situazione creatasi, desumibile dalla
stessa relazione geologica effettuata prima dello sbancamento e dalla constatazione da
parte del direttore dei lavori, presente sul cantiere il giorno del fatto, della pericolosità
dello sbancamento stesso, effettuato in difformità rispetto ai progetti e senza l’adozione
di alcuna cautela nell’esecuzione dei lavori (si veda pg. 24 sentenza di primo grado),
nonché in ragione del rilievo limitato al solo profilo dell’incompletezza della procedura.
Aveva desunto, altresì, dai fatti richiamati, l’omessa prospettazione da parte del
direttore dei lavori di rischi per l’incolumità degli operai, così ravvisando la
responsabilità dello stesso, quale tecnico, in solido con il responsabile della sicurezza,
collegata all’attività conoscitiva peculiare correlata alle sue specifiche competenze
tecniche e di settore.
A fronte dei descritti elementi, la sentenza di secondo grado non ha dato conto in
maniera adeguata delle ragioni per le quali è stato disatteso il ragionamento dei giudici
di primo grado, e, in particolare, delle ragioni per le quali fosse da escludere qualsiasi
responsabilità del direttore dei lavori per mancanza di prova circa la sua ingerenza
nell’organizzazione di cantiere, non potendo essere ritenuta decisiva in funzione di
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salvaguardare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.

esonero dalla responsabilità la mancata presenza quotidiana di costui sul cantiere né la
rilevata assenza al momento della gettata in calcestruzzo e del crollo, pur risultando la
presenza dello stesso nella mattinata e la prospettazione da parte sua di una possibile
diffida a non proseguire le opere in mancanza dei necessari adempimenti
amministrativi, non accompagnata dalla segnalazione dei gravi rischi connessi alla
gettata del calcestruzzo e dalla proibizione della prosecuzione dei lavori in cemento
armato (si veda al riguardo Cass. Sez. 4, Sentenza n. 18445 del 21/02/2008 Rv.
240157 : Il direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni

di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità
adottare le necessarie precauzioni d’ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la
propria posizione di garanzia da quella dell’assuntore dei lavori, rinunciando all’incarico
ricevuto).
Dalle argomentazioni svolte discende l’annullamento della sentenza sul punto, con
rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Catanzaro.
Passando alla posizione dell’Orfanò, deve ritenersi fondato il ricorso proposto dal
Procuratore Generale. La sentenza di primo grado, invero, si limita a prevedere,
esclusivamente in dispositivo, la concessione delle attenuanti generiche, senza
effettuare alcun giudizio di comparazione con le contestate circostanze aggravanti.
Neppure è possibile desumere l’effettuazione di un giudizio comparativo di equivalenza
o di prevalenza dalla comminazione in concreto della pena (nella misura di un anno e
otto mesi di reclusione), compatibile con entrambe le ipotesi. L’esito del giudizio di
comparazione è indispensabile ai fini della determinazione della prescrizione, da
ritenere non ancora maturata, secondo il ragionamento svolto dal Procuratore Generale,
in ipotesi di giudizio di equivalenza, pur applicandosi la disciplina vigente all’epoca del
fatto. Se, infatti, a mente dell’art. 69 c.p., la concessione delle attenuanti generiche
consente di escludere in ogni caso l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 589
c.p., prevedendo la disposizione di cui al primo comma del predetto articolo la pena
massima di cinque anni di reclusione, il termine massimo di prescrizione deve essere
determinato in dieci anni, prolungato della metà per l’avvenuta interruzione, talché
deve reputarsi non ancora maturato.
Deve, pertanto, disporsi l’annullamento della sentenza impugnata anche con riferimento
alla posizione dell’Orfanò, con rinvio alla Corte territoriale in punto di comparazione tra
le circostanze e conseguente computo della prescrizione.
Va rimessa alla Corte d’Appello, altresì, la regolamentazione delle spese tra le parti.

P. Q. M.

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anche nell’ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un’oculata attività

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello penale di
Catanzaro per nuovo esame. Spese tra le parti al definitivo.
Così deciso in Roma il 26/11/2013
Il Presidente

Il Consi liere relatore

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