Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10898 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10898 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BABUSCI FRANCESCO N. IL 29/06/1949
CAVALLERO GIOVANNI MARIO N. IL 05/01/1951
avverso la sentenza n. 5782/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del
04/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Data Udienza: 30/10/2013

-1- Con sentenza del Tribunale di Torino, sezione distaccata di Susa, del 21 dicembre
2010, Babusci Francesco, Cavallero Giovanni Mario e Berinde Vasile sono stati ritenuti
colpevoli del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di Candotti Mauro, dipendente della
ditta “FrejusScarl”, e condannati, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con
giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante e concessi i benefici della
sospensione condizionale della pena e della non menzione, alla pena di sei mesi di
reclusione ciascuno.
1.1) Era accaduto che, nel corso di lavori eseguiti nel tunnel ferroviario del Frejus, ove
erano in corso opere diretteall’abbassamento della massicciata ed alla ricostruzione dei
binari, Candotti Mauro,utilizzando la chiave di accesso lasciata appesa ad una catenella
posta in un quadro elettrico,era entrato nella cabina contenente il trasformatore di corrente
elettrica che alimentava una fresatrice,rimanendo folgorato a seguito di contatto del corpo,
specificamente del gomito sinistro, con uno dei conduttori di tensione presenti all’interno
della cabina.
1.2) Sul luogo dell’incidente si trovavano diversi macchinari, tra i quali un’apparecchiatura
di scavo costituita da una fresa e dal suo carro tecnologico gommato sul quale era montata
una cabina adibita ad officina ed un modulo suddiviso in due scomparti, di cui uno centrale,
nel quale si è verificato l’infortunio, contenente il trasformatore, ed un altro all’interno del
quale si trovavano i pannelli con gli interruttori di controllo elettrico.
1.3) Secondo quanto emerso in sede di indagini e di accertamenti tecnici, nel progetto del
carro tecnologico in questione era prevista la procedura di attivazione e disattivazione
dell’alimentazione elettrica della predetta cabina, che consisteva in una serie di operazioni
da eseguire con una precisa sequenza, in modo da non consentire a nessuno l’ingresso nella
cella senza che fosse preventivamente disattivata l’alimentazione del trasformatore. Era
anche previsto che l’esecuzione di tali operazioni nella corretta sequenza fosse assicurata da
un sistema di interblocco tra l’apertura della porta della cabina trasformatore e la
disattivazione dell’impianto, mediante l’impiego di chiavi inanellate tra loro. In particolare,
la chiave del lucchetto della porta del trasformatore era disponibile solo dopo la messa in
sicurezza (mediante disattivazione e messa a terra) dell’impianto di MT; infatti, tale chiave
doveva essere inanellata con la chiave del selezionatore di terra, la quale poteva essere
estratta solo dopo la disattivazione dell’impianto.
Secondo tale sistema, dunque, la porta del trasformatore avrebbe potuto essere aperta solo
dopo che fosse stata eseguita la completa sequenza delle operazioni di attivazione o
disattivazione, il cui mancato rispetto avrebbe impedito l’accesso alla cabina.
E’ stato accertato, altresì, che al momento dell’infortunio non era attivo il sistema di
sicurezza rappresentato dall’interblocco delle chiavi della cella trasformatore e di quelle di
disattivazione dell’impianto mediante l’inanellamento tra le stesse. In realtà, le chiavi dei
sezionatori di terra e di linea all’interno della cella quadri erano libere ed inserite nelle
rispettive serrature, quindi non inanellate tra loro né con la chiave della cella trasformatore,
affidata in custodia a Berinde Vasile, rinvenuta, in prossimità dell’apertura della cella, dal
Candotti, che l’ha utilizzata per accedervi.
1.4) Dell’infortunio sono stati ritenuti responsabili il Babusci, quale datore di lavoro
(delegato) del lavoratore infortunato e direttore tecnico e di cantiere della “FrejusScarl”, con
delega espressa, conferita con procura speciale, in materia di sicurezza e igiene del lavoro e
di prevenzione antinfortunistica, il Cavallero, nella qualità di coordinatore in materia di
sicurezza in fase diesecuzione dell’opera, ed il Berinde,operaio elettricistaal quale era stata
affidata la custodia delle chiavi della cabina.

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Ritenuto in fatto.

-3- Avverso detta sentenza, propongono ricorso abusci Francesco ekavallero Giovanni.
3.A-I1 Babusci deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata.
Sostiene il ricorrente che la corte territoriale non avrebbe esaminato i motivi d’appello,
laddove era stata contestata l’affermazione del primo giudice secondo cui l’imputato non
aveva adeguatamente considerato nel POS i rischi di accesso alla cabina in presenza di parti
in tensione e di avere omesso di prevedere e di adottare le necessarie misure di sicurezza. In
realtà, si sostiene nel ricorso, nel POS era stata indicata una procedura di accesso ed era stato
individuato il responsabile della stessa, legittimato a detenere e conservare le chiavi che
permettevano di accedere alla cella trasformatore; la procedura di attivazione e
disattivazione era, seppur in termini sintetici, indicata nel piano. La corte territoriale avrebbe
fatto un laconico riferimento alla inadeguatezza del piano, senza analizzarne i contenuti e
senza spiegare le ragioni del giudizio di inadeguatezza espresso, e nulla avrebbe osservato
con riguardo al rapporto causale tra la ritenuta inadeguatezza e l’evento determinatosi.
Analoghe censure sono stato proposte con riferimento ai profili di colpa concernenti la
formazione e l’informazione del personale, laddove era stato osservato nei motivi d’appello
che sia il Berinde che il Calena avevano esperienza e formazione adeguate; mentre in punto
di informazione, non trattate in motivazione, erano state richiamate nell’atto di appello le
dichiarazioni rese dai lavoratori, in particolare dai testi Dionisio e Calena.
3.B- Il Cavallero deduce:
a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove la corte territoriale ha ritenuto
sussistente, nei confronti dell’imputato, un profilo di colpa per omesso controllo
dell’idoneità del POS. Sostiene il ricorrente che in detto piano erano state fornite precise
indicazioni, atte ad impedire qualsiasi contatto degli operanti con le parti in tensione. D’altra
parte, ha ancora osservato il ricorrente, l’apparecchiatura in questione era stata fornita

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-2- Su appello proposto dagli imputati, la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 4
marzo 2013, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha sostituito la pena inflitta al
Babusci ed al Cavallero con la corrispondente pena pecuniaria, dichiarata tuttavia
condonata, con revoca della sospensione condizionale concessa dal primo giudice e con
conferma nel resto.
La corte territoriale ha quindi ribadito la responsabilità degli imputati, rilevando, anzitutto,
l’insufficienza del piano operativo di sicurezza, che conteneva scarne e generiche
osservazioni sul punto di interesse, poiché non prestava specifica attenzione alle procedure
previste per l’accesso alla cabina elettrica di alimentazione (peraltro ingombra di vario
materiale) e perla messa in servizio e messa fuori servizio delle apparecchiature della stessa;
procedure che avrebbero dovuto essere predisposte, attuatee comunicate al personale. In
punto di formazione ed informazione dello stesso personale, la corte ha rilevato che nessuna
indicazione era stata prevista per i lavoratori, né avvertimenti di sorta, ad eccezione di un
piccolo simbolo apposto sulla porta della cabina, ritenuto insufficiente rispetto al rischio che
comportava la presenza di un trasformatore come quello presente in cantiere, non
accompagnata da un esplicito riferimento al rischio di morte per elettrocuzione.
Addebiti contestati al Babusci in punto di redazione del piano operativo di sicurezza, ed al
Cavallero in punto di mancata verifica dell’idoneità dello stesso.
E’ stato altresì contestato che al momento dell’incidente non era attivo il sistema di
sicurezza rappresentato dall’interblocco delle chiavi della cella trasformatore e di quelle di
disattivazione dell’impianto. Dette chiavi, infatti, come già sopra rilevato, erano libere ed
inserite nelle rispettive serrature.
Il Berinde è stato riconosciuto responsabile dell’infortunio per avere lo stesso lasciato
incustodite, appese ad un quadro elettrico, le chiavi di accesso alla cabina, e quindi a
disposizione di chiunque, anche di persone non abilitate ad accedervi, come il Candotti.

Considerato in diritto.
-1- I ricorsi sono infondati, ai limiti dell’inammissibilità.
Ambedue i ricorrenti denunciano vizi di motivazione, sotto vari profili, della sentenza
impugnata. Orbene, occorre rilevare che,in tema di vizio motivazionale, questa Corte ha
costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della
motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorché il provvedimento
giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva, ovvero la medesima, pur esistendo
graficamente, sia tale da non evidenziare l’iter argomentativo seguito dal giudice per
pervenire alla decisone adottata. E’ stato, altresì, affermato che il vizio è presente anche
nell’ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale
evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione
decisionale prescelta.
L’indagine di legittimità sulla motivazione affidata a questa Corte è quindi volta solo ad
accertare se gli elementi probatori utilizzati dal giudice del merito siano stati compiutamente
valutati secondo le regole della logica, attraverso un iter argomentativo congruo ed
adeguato, idoneo a giustificare la decisione adottata; rimanendo estraneo ai poteri del
giudice di legittimità un intervento volto ad offrire una diversa interpretazione delle prove o
una revisione dell’analisi ricostruttiva dei fatti.
Tanto premesso, osserva la Corte che, nel caso di specie, le censure mosse dai ricorrenti,
che in generale ripropongono questioni in punto di fatto, peraltro già poste all’attenzione dei
giudici del merito, si rivelano del tutto infondate, inesistenti essendo, in realtà, i pretesi vizi
motivazionali della sentenza impugnata che, viceversa, presenta una struttura argomentativa
adeguata e coerente sotto il profilo logico.
Riprendendo le linee propositive tracciate dal primo giudice a sostegno della propria
decisione, i giudici del gravame hanno esaminato le tematiche essenziali della vicenda
sottoposta al loro giudizio e, dopo avere ricostruito i fatti, hanno adeguatamente motivato le
ragioni del proprio dissenso rispetto alle argomentazioni ed osservazioni difensive.
Essi hanno dunque ribadito, in piena sintonia con le emergenze probatorie in atti, la
responsabilità di ambedue gli imputati, radicata su un’organica e corretta valutazione di tali
emergenze.
In particolare:
1.A- Per quanto riguarda Babusci Francesco, deve anzitutto osservarsi che la normativa
che attiene al delicato tema della sicurezza del lavoro, in particolare nell’ambito di attività
svolte in un cantiere edile, individua diverse posizioni garanzia, la principale delle quali
certamente riguarda il datore di lavoro, che organizza e gestisce l’esecuzione dell’opera, e
sul quale anzitutto grava l’obbligo di intervenire, attraverso l’adozione di adeguate misure di
protezione e prevenzione, affinché l’attività dei dipendenti si svolga in sicurezza e sia
garantita l’incolumità fisica e la salute degli stessi.

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accompagnata da copiosa documentazione tecnica, compresa quella concernente la
proceduta di attivazione e disattivazione delle apparecchiature della cabina elettrica;
b) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di individuazione, nei confronti del
ricorrente, di ulteriori profili di colpa, quali quello della omessa custodia delle chiavi, senza
considerare che al coordinatore è attribuito un compito di alta vigilanza, tra i quali non può
rientrare il controllo delle modalità di custodia delle chiavi in questione da parte dei
lavoratori, avendo il coordinatore rapporti con le imprese, non certo con gli operai;
c) Vizio di motivazione in punto di sussistenza del nesso causale, laddove la corte
territoriale, dopo avere riconosciuto la responsabilità dell’elettricista per non avere
adeguatamente custodito la chiave della cabina, ha poi attribuito la responsabilità
dell’incidente alla mancata previsione, nel POS, di precise regole.

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E’ noto che tra i principali compiti che la legge gli affida vi è quello di redigere il piano
operativo di sicurezza, attraverso il quale egli, dopo un’approfondita valutazione dei rischi
per la sicurezza e la salutedei lavoratori,con riferimento alla natura dell’attività aziendale,
deve elaborare e predispone adeguate misure di prevenzione e protezione, idonee a garantire
la sicurezza e l’incolumità dei dipendenti.
Più specificamente, per quanto oggi interessa, il Babusci era tenuto a procedere ad
un’attenta valutazione dei rischi connessi con la presenza della cella trasformatore e con la
possibilità di accessi all’interno della stessa, in presenza di parti in tensione, e quindi ad
adottare le procedure più idonee al fine di garantire che tali accesi fossero limitati al
personale autorizzato, ed in condizioni di sicurezza, e fossero impediti alle persone non
autorizzate.
Orbene, proprio con riguardo all’elaborazione del piano operativo di sicurezza, i giudici
del merito hanno individuato, sulla base di quanto emerso in atti,precisi profili di colpa a
carico dell’imputato, sia generici (negligenza, imprudenza e imperizia), che specifici, con
riferimento al disposto dell’art. 4 co. 2 del d.lgs n. 626/94 (trasfuso nel T.0 per la sicurezza
e il lavoro), in relazione alla sommaria valutazione, in detto piano, dei rischi specifici
connessi con la presenza della cabina elettrica, nonchèalla generica individuazione delle
procedure di accesso e delle misure preventive e di sicurezza da adottare.
Non hanno omesso gli stessi giudici di esaminare le difese dell’imputato, che ha sostenuto
che il piano operativo doveva ritenersi completo ed esauriente sotto tutti i possibili aspetti;
essi, tuttavia, dopo avere compiutamente esaminato i contenuti del POS redatto
dall’imputato, hanno concordemente tratto la convinzione della sommarietà, genericità ed
insufficienza dello stesso a fronte della condizione di evidente pericolo che nasceva già dalla
sola presenza della cabina, che imponeva specifiche valutazioni, appropriate procedure di
accesso e la previsione di idonee misure di prevenzione e sicurezza.
In particolare, hanno rilevato i giudici del merito, proprio a causa della inadeguata
valutazione del rischio, non era stata prevista nel piano la procedura di disattivazione e
riattivazione della linea elettrica, come prescritto dalla normativa in materia di conduzione
di impianti elettrici, né erano stati individuati i soggetti dotati di adeguata conoscenza,
esperienza e formazione, ai quali affidare la gestione dell’impianto. A dimostrazione di tale
inadeguatezza, è stato anche segnalato che la cabina era ingombra di vario materiale, ciò che
ne rendeva evidentemente più difficile e rischioso l’accesso. Non era stata neanche
individuata alcuna procedura di interblocco, prevista nel progetto del carro tecnologico
proprio al fine di consentire l’accesso alla cella solo dopo la disattivazione della linea
elettrica e l’isolamento delle parti attive dell’impianto.
Il sistema di garanzia degli interblocchi tra interruttore e accesso al trasformatore era stato
anche disatteso; ciò che, hanno giustamente sostenuto gli stessi giudici, comportava precise
responsabilità in capo, non solo al soggetto che aveva disanellato le chiavi e lasciato le
chiavi della cabina in un posto a chiunque accessibile, ma anche all’imputato per culpa in
vigilando e in eligendo.
Non erano state, in definitiva, previste nel piano le specifiche misure di prevenzione e
protezione da adottarsi per garantire la sicurezza dei lavoratori nel corso di operazioni che
prevedevano l’accesso alla cella trasformatore.
Mentre giustamente irrilevante è stata ritenuta l’osservazione difensiva secondo cui la
procedura di disattivazione della linea non era stata ancora compiutamente predisposta alla
data dell’infortunio, essendo al tempo ancora in corso le operazioni di assemblaggio della
fresa, che non era quindi ancora entrata in funzione. In proposito, è stato giustamente
osservato che, in realtà, il macchinario, alla data dell’infortunio, era già stato installato ed al
momento dell’incidente esso risultava già collegato alla linea di alta tensione mediante il
trasformatore; ciò imponeva la tempestive e precisa valutazione del rischio, accompagnata

dalla individuazione delle misure di sicurezza che, se adottate, avrebbero impedito al
Candotti di accedere alla cella in tensione.
Considerazioni ed argomentazioni che il ricorrente contesta in buona parte ribadendo tesi
ed argomenti già posti all’esame della corte territoriale e dalla stessa motivatamente respinti,
ovvero proponendo e rielaborando considerazioni in fatto, non deducibili nella sede di
legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva e coerente sul piano logico.
Ulteriori profili di colpa i giudici del merito hanno rilevato nella mancata adeguata
formazione degli elettricisti circa le misure di sicurezza da adottare per prevenire i rischi di
folgorazione e, in generale, nell’omessa informazione circa i rischi connessi con l’accesso
nella cabina con le parti in tensione. A tale proposito, è stato anche rilevato che nel piano
operativo di sicurezza non era stata prevista l’apposizione, sulla porta della cella
trasformatore, di una targa recante l’avvertimento del pericolo di morte, accompagnato dal
contrassegno del teschio, ed il divieto di accesso per le persone non autorizzate.
Quanto alle decantate formazione, professionalità ed esperienza del personale, degli
elettricisti in particolare, ed alla oculatezza nell’individuare il consegnatario delle chiavi
della cabina, cioè, per quanto oggi interessa, del Berinde, sembra evidente alla Corte che lo
stesso infortunio del quale è rimasto vittima il Candotti ne ha attestato la grave insufficienza
e l’approssimazione.
In realtà, solo la cattiva informazione e l’inadeguata formazione ha indotto la vittima ad
accedere, senza precauzione alcuna, dentro la cabina.
Solo chi non possedeva un idoneo livello di formazione ed aveva ricevuto ben scarse
informazioni circa le esigenze di sicurezza cui rispondeva l’inanellamento delle chiavi del
complesso macchinario, le avrebbe disanellate.
Solo chi era privo di adeguate formazione ed informazione circa la necessità, ancora per
evidenti motivi di sicurezza, di custodire con attenzione e scrupolo la chiave della cabina,
l’avrebbe lasciata incustodita e a disposizione di chiunque. Proprio la delicatezza di tale
incarico, per i riflessi che lo esso avrebbe avuto in punto di sicurezza del cantiere, richiedeva
che lo stesso fosse assegnato dopo che della persona prescelta si fosse adeguatamente
verificato il livello di formazione e di affidabilità, e dopo che la stessa fosse stata
adeguatamente informata e resa consapevole della delicatezza del compito affidatogli.
E dunque, giustamente i giudici del merito hanno anche fatto riferimento, tra gli altri,
anche a profili di colpa in eligendo.
Insufficienza del POS, dunque, inadeguatezza delle misure di prevenzione e di sicurezza,
inadeguata formazione e mancanza di informazione, unite all’assenza di interventi di
verifica della sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza, chiaramente delineano
una condotta certamente censurabile e colposa, nei termini sopra indicati, che ampiamente
giustifica l’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche in considerazione della
assoluta prevedibilità dell’incidente, e denuncia l’infondatezza dei motivi di ricorso
proposti.
1.B- Analoghe considerazioni valgono per Cavallero Giovanni Mario che, nella qualità di
coordinatore in materia di sicurezza in fase di esecuzione dell’opera, era titolare di
un’autonoma posizione di garanzia, che si affiancava a quelle degli altri soggetti destinatari
delle norme antinfortunistiche.
La corte territoriale ha correttamente osservato che tale posizione imponeva all’imputato,
anzitutto, di verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza predisposto dalla ditta
esecutrice dei lavori con riferimento, in particolare, alla regolamentazione delle modalità di
accesso alla cella trasformatore ed alla individuazione delle misure da adottare perché tale
accesso avvenisse solo in condizioni di sicurezza e solo da parte del personale qualificato,
adeguatamente formato e specificamente autorizzato.
Verifica alla quale la stessa corte ha ritenuto, alla stregua degli elementi probatori acquisiti,
non avesse provveduto l’imputato che, delle evidenti carenze del piano, nei termini sopra

-2- In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

specificati, avrebbe dovuto prendere atto e pretendere che ad esse si ponesse
immediatamente rimedio; ciò ancor prima che fosse messo in funzione il macchinario.
Sotto tale profilo, dunque, infondate si presentano le censure proposte, alla luce delle
articolate e coerenti argomentazioni poste dai giudici del merito a sostegno della decisione
impugnata.
Analoga infondatezza presentano le censure concernenti gli ulteriori profili di colpa rilevati
dagli stessi giudici in relazione al dovere di vigilanza, attribuito allo stesso coordinatore,
sulla corretta osservanza, da parte dei lavoratori, delle misure di prevenzione e sicurezza.
In realtà, a tale figura professionale è demandato tale specifico compito che, seppur non
deve implicare una continua presenza in cantiere, deve tuttavia esercitarsi in maniera attenta,
e scrupolosa e deve riguardare tutte le lavorazioni in atto, specie quelle che pongono
maggiormente a rischio l’incolumità dei lavoratori; esso deve essere costantemente
esercitato per consentire, in caso di mancato rispetto delle norme di sicurezza e prevenzione,
di intervenire ed adottare le misure necessarie ad eliminare prontamente l’eventuale
sussistenza di obiettive situazioni di pericolo.
Se cosi è, deve ammettersi che la presenza in cantiere, peraltro all’interno di una galleria,
del macchinario in questione, che già avrebbe dovuto costituire oggetto di particolare
attenzione per chiunque ricopriva posizioni di garanzia, e dunque anche per l’odierno
ricorrente, avrebbe dovuto indurre a porre maggior attenzione. Non si trattava, quindi, solo
di accorgersi, come osserva il ricorrente, della mancata custodia delle chiavi, che pure, in
vista dell’uso a cui erano destinate, avrebbero dovuto esser oggetto di specifica attenzione,
bensì di rendersi conto almeno del fatto, particolarmente grave e facilmente verificabile, che
il sistema di garanzia degli interblocchi tra interruttore e accesso al trasformatore era stato
disatteso, con gravissimo rischio per chiunque, sia pure imprudentemente e senza essere
autorizzato, avesse deciso di accedere alla cabina; ed ancora, della mancata apposizione (e
prima ancora della mancata previsione nel POS) di cartelli di avvertimento e di pericolo
capaci di attirare l’attenzione anche delle persone meno attente per indurle alla massima
prudenza.
Anche sotto tale profilo, dunque, le considerazioni ed argomentazioni svolte dai giudici del
merito si presentano del tutto in sintonia con gli elementi probatori acquisiti e coerenti sul
piano logico, e quindi non censurabili nella sede di legittimità, specie se contestate, come nel
caso di specie, sostanzialmente ribadendo tesi ed argomenti già posti all’esame della corte
territoriale, ovvero proponendo e rielaborando considerazioni in fatto, non deducibili nella
sede di legittimità.
Mentre del tutto infondate sono le censure concernenti il nesso di causa, avendo in
proposito correttamente rilevato i giudici del merito che, ove in maniera completa e
dettagliata fosse stato elaborato il piano operativo di sicurezza sui punti in contestazione,
ove l’imputato avesse adeguatamente verificato la rispondenza dello stesso alle esigenze di
prevenzione e di sicurezza connesse con la presenza e l’utilizzazione della cabina elettrica e
fosse intervenuto per porre rimedio alle carenze sopra evidenziate, eventualmente anche
interrompendo le lavorazioni, l’infortunio non si sarebbe verificato.
Anche nei confronti del Cavallero, dunque, i giudici del merito hanno motivatamente
individuato precisi profili di colpa che ne legittimano l’affermazione di responsabilità.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2013.

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