Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10893 del 25/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 10893 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso presentato nell’interesse di
D’Innocenzo Christian, nato a Roma il 30/04/1975
avverso la sentenza emessa 1’11/05/2012 dalla Corte di appello di L’Aquila

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Pio Gaeta, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata

RITENUTO IN FATTO
Il difensore di Christian D’Innocenzo ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata nei
confronti del suddetto imputato dal Tribunale di Teramo il 14/06/2007; i fatti si
riferiscono al fallimento della Geo Progect s.r.I., dichiarato nel 2002, società di
cui il D’Innocenzo era stato amministratore unico. In primo grado il prevenuto
era stato condannato alla pena di anni 2 di reclusione (oltre a pene accessorie di

Data Udienza: 25/10/2013

legge e con il beneficio della sospensione condizionale), in ordine all’addebito di
bancarotta fraudolenta documentale, per avere sottratto le scritture contabili o
comunque per averle tenute in modo tale da non consentire la ricostruzione del
movimento degli affari dell’impresa; all’esito del giudizio di appello veniva
riconosciuta al D’Innocenzo l’attenuante di cui all’art. 219, comma terzo, legge
fall., con conseguente riduzione della pena ad anni 1 e mesi 4 di reclusione.
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta:
1. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 216 legge fa/I.

D’Innocenzo di non avere tenuto le scritture di cui alla rubrica, dall’altro
viene esclusa la prova di un danno concreto per i creditori (tanto da
riconoscere l’attenuante speciale sopra ricordata): a riguardo, il difensore
evidenzia la necessità «che il danno, rappresentato dalla impossibilità di
ricostruire il patrimonio del fallito, si concretizzi effettivamente. Se danno
non v’è, perché comunque il patrimonio è facilmente ricostruibile o viene
facilmente ricostruito, non ricorre il reato». Inoltre, si rappresenta che
l’ipotizzata condotta di sottrazione dei libri contabili non avrebbe
comunque trovato alcun riscontro concreto, dovendosi tenere presente
che le risultanze processuali avevano fatto emergere che a gestire la ditta
erano in effetti persone diverse dall’imputato, all’epoca dei fatti appena
22enne
2. carenza di motivazione, nonché inosservanza ed erronea applicazione
dell’art. 216 legge fa/I.
Secondo la difesa, la mera consapevolezza dell’imputato circa la tenuta
irregolare delle scritture non dovrebbe intendersi sufficiente per ritenere
provato l’elemento soggettivo del delitto contestato (dal momento che
per la bancarotta fraudolenta documentale si richiede comunque il dolo,
per quanto generico), mentre la mancanza dei libri contabili comporta in
linea di principio la configurabilità di un addebito di bancarotta semplice.
A riguardo, il ricorrente evidenzia che «il profilo oggettivo della
responsabilità dell’amministratore di diritto può essere certamente
ancorato all’art. 40 cod. pen., ma il profilo soggettivo della sua
responsabilità va accertato caso per caso, valutando il significato
probatorio dell’intero contesto della sua azione […], accertando se
l’amministratore di diritto era consapevole delle altrui pratiche sottrattive
e delle finalità ulteriori perseguite con tali condotte, ovvero
semplicemente avesse accettato il rischio – omettendo ogni controllo che l’amministratore di fatto sottraesse i libri contabili»; secondo la
difesa, l’amministratore di diritto sarebbe «garante del bene giuridico

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Nell’interesse del ricorrente si segnala che da un lato viene addebitato al

penalmente tutelato dagli artt. 216 e 217 della legge fallimentare», ma
egli potrebbe rispondere del reato commesso dall’amministratore di fatto
solo una volta acquisita prova certa del dolo, ponendosi
conseguentemente un problema di «compatibilità del dolo eventuale con il
dolo specifico, id est se il dolo eventuale possa essere solo generico (e
cioè la mera accettazione del rischio che si verifichi un determinato
evento), ovvero se possa caratterizzare anche un reato di dolo specifico».
Problema che, in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità, non

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Va innanzi tutto chiarito che nel capo d’imputazione l’ipotesi della sottrazione
delle scritture contabili (in ordine alla quale, in effetti, sarebbe stata necessaria
la prova di un dolo specifico) non è presa in considerazione come unica modalità
della condotta contestata, giacché al D’Innocenzo si addebita “comunque” di
avere tenuto le scritture de quibus in modo da non consentire la ricostruzione del
movimento degli affari della Geo Progect s.r.I.: e questa è, all’esito del processo
di primo grado, la condotta di cui il Tribunale di Teramo ritenne fosse stata
raggiunta la prova, stando a quanto si legge già a pag. 1 della sentenza emessa
il 14/06/2007. I giudici di prime cure rilevarono che l’imputato, nella veste di
amministratore unico della predetta società, aveva «sostanzialmente omesso di
tenere, dal 1997 in poi, i libri e le scritture contabili obbligatorie», precisando
subito dopo che la documentazione era stata regolarmente tenuta ed aggiornata
solo nel primo anno di vita della Geo Progect, quando peraltro l’amministratore
era persona diversa dal D’Innocenzo: in seguito, malgrado la società risultasse
avere operato fino a pochi mesi prima del fallimento, era stato possibile rinvenire
soltanto documenti “sporadici” (tra cui alcune fatture emesse, quasi nessuna di
acquisto, ed un libro giornale in bianco).
Ergo, come peraltro lo stesso ricorrente si premura di segnalare illustrando
le peculiarità del delitto in rubrica, l’elemento soggettivo richiesto ai fini della
ravvisabilità della bancarotta fraudolenta documentale – per omessa tenuta, e
non già per sottrazione, delle scritture contabili – si limita al dolo generico, ed a
nulla rilevano le digressioni su cui il ricorso si sofferma, con qualche confusione
concettuale, in tema di rapporti fra dolo eventuale e specifico.
A questo punto, non è chi non veda come una contabilità sostanzialmente
inesistente, parzialmente aggiornata solo fin tanto che amministratore formale
della società non era il D’Innocenzo, costituisca ipso facto fattore ostativo alla

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potrebbe che meritare soluzione negativa.

ricostruzione della consistenza patrimoniale dell’impresa e derivi da una scelta
consapevole del soggetto preposto alla gestione: non si ravvisano
contraddittorietà di sorta, peraltro, nell’affermazione dei giudici di merito
secondo cui non emergerebbe la prova effettiva di un danno subito dai creditori
(da riferire evidentemente alla mancata contestazione di condotte distrattive), né
può assumere rilievo la circostanza che l’amministratore di diritto di una società
possa o meno intendersi titolare di una posizione di garanzia in ordine ad
eventuali condotte criminose di un amministratore di fatto.

confronti di una presunta “testa di legno” (peraltro, nel caso di specie, non
risulta in alcun modo dimostrato che il D’Innocenzo meritasse tale qualifica) non
può trovare «automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta
accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore
fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della
destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal
momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore
apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi
nutriti dall’amministratore di fatto»; tuttavia, ciò vale soltanto per i casi di
bancarotta fraudolenta per distrazione, «mentre con riguardo a quella
documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle
scritture contabili ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo
formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita […], atteso il diretto e
personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le
suddette scritture» (Cass., Sez. V, n. 19049 del 19/02/2010, Succi, Rv 247251).
2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 25/10/2013.

La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affermare che, nei

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