Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10889 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 10889 Anno 2014
Presidente:
Relatore: CONTI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Menna Giovanni, nato a Massa il 06/10/1949

avverso la sentenza del 12/03/2013 della Corte di appello di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Conti;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Genova confermava la
sentenza in data 21 maggio 2009 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Massa, appellata da Giovanni Menna, condannato, all’esito di
giudizio abbreviato, con le attenuanti generiche, alla pena di quattro mesi di
reclusione, oltre alla incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione
per la durata di un anno, in quanto responsabile del delitto di cui all’art. 318 cod.
pen., perché, nella qualità di pubblico ufficiale, dirigente del settore ambiente

Data Udienza: 23/01/2014

pe

I

• •

della Provincia di Massa Carrara, in violazione dell’art. 3 D.P.C.M. 28 novembre
2000 (codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni),
riceveva per sé e per sua moglie da Mauro Costa un orologio di valore pari a
euro 2.820 marca Cartier in acciaio, quale corrispettivo per il suo interessamento
finalizzato al rilascio di provvedimenti a favore della ditta Costa Mauro s.r.I.,
svolgente attività di raccolta e trattamento di rifiuti solidi urbani e di produzione
di combustibili da rifiuto, in varie pratiche amministrative e in un ricorso

Le prove della responsabilità penale dell’imputato venivano rinvenute in
risultanze documentali, in servizi di osservazione di p.g., nel rinvenimento
nell’abitazione del Menna dell’orologio Cartier di cui sopra e nelle parziali
ammissioni dell’imputato.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore avv.
Giulio Enzo Frediani, che, con un unico motivo, denuncia la violazione dll’art. 318
cod. pen., nel testo precedente la riforma recata dalla legge n. 190 del 2012,
sostenendo che non vi era alcuna prova del collegamento del regalo fatto dal
Costa con le funzioni esercitate dal Menna, tanto più a seguito delle novità recate
dalla legge n. 190 del 2012, che, nell’opinione di vari commentatori, ha
rafforzato l’esigenza di nesso sinallagmatico tra dazione o promessa di un’utilità
e compimento dell’atto di ufficio.

3. Il ricorso è manifestamente infondato, posto che il collegamento tra il
costoso regalo ricevuto dell’imputato e l’interessamento di questo nelle varie
procedure amministrative interessanti la ditta facente capo a Mauro Costa è
stato ineccepibilmente tratto dai giudici di merito dal tenore delle intercettazioni
telefoniche, da cui si ricava tra l’altro che fu proprio l’imputato – in un contesto in
cui i rapporti con l’imprenditore erano caratterizzati esclusivamente dalle
preoccupazioni del Costa circa l’andamento delle pratiche interessanti la sua
ditta, e senza che fra i due sussistessero rapporti di amicizia – a chiedere che gli
fosse fatto il regalo di un orologio da destinare alla moglie; richiesta
correttamente ritenuta non altrimenti giustificabile se non in quadro corruttivo,
sia pure non finalizzato al compimento di atti contrari ai doveri di ufficio.
Non si vede come tale quadro probatorio possa mettere in dubbio il “nesso
sinallagmatico tra dazione e promessa” cui si riferisce il ricorrente; fermo
restando che il nuovo testo dell’art. 318 cod. pen. si pone in linea di continuità
normativa con quello recato dal medesimo articolo prima della riforma introdotta

giurisdizionale interessanti la predetta ditta (in Massa, nel dicembre 2006).

dalla legge n. 190 del 2012, ed anzi ha allargato l’area della punibilità ad ogni
fattispecie di monetizzazione del munus pubblico, pur se sganciata da una logica
di formale sinallagmaticità (v. Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013, Abbruzzese, Rv.
255073).

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle
ammende che, in relazioni alle questioni dedotte, si ritiene equo determinare in

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e alla somma di euro mille in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 23/01/2014.

euro mille.

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