Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10885 del 26/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 10885 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Zarcone Antonino Carlo nato a Barcellona RG. il
4/11/1980
avverso l’ordinanza del Tribunale di Messina, sezione del riesame in data
30/9/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio
del provvedimento impugnato e, ritenuta l’urgenza che determina l’efficacia
provvisoria della misura, trasmissione degli atti al Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria;
udito per l’indagato l’avv. Tommaso Autru Ryolo che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 6/9/2013 il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Barcellona Pozzo Gotto disponeva l’applicazione della misura

Data Udienza: 26/02/2014

degli arresti domiciliari nei confronti di Zarcone Antonino Carlo in ordine ai
reati di cui agli artt. 416 cod. pen. (capo a), 642 e 372 cod. pen. in
relazione ai sinistri specificati nell’ordinanza.
1.1. Avverso tale provvedimento proponeva istanza di riesame l’indagato
contestando l’utilizzabilità delle intercettazioni, la sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza in relazione al reato associativo e la carenza di esigenze
cautelari.
1.2.

Il Tribunale di Messina, sezione del riesame, respingeva l’istanza

2.

Ricorreva per Cassazione l’indagato, per mezzo dei suoi difensori di

fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:
ricorso proposto dall’avv. Tommaso Autru Ryolo
2.1. violazione di norma processuale prevista a pena di inutilizzabilità, ai
sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., in relazione agli artt.
266 e ss. cod. proc. pen. nella parte in cui sono stati ritenuti utilizzabili i
risultati delle attività captative nonostante non sussistessero indizi di un
reato punito con la pena di anni cinque di reclusione. Evidenzia al riguardo
che quando vennero autorizzate le intercettazioni non era ipotizzabile il
reato di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen., ma solo quello di cui all’art. 480 o,
al più, quello di cui all’art. 483 cod. pen.
2.2. violazione di legge in relazione al rigetto dell’eccezione d’incompetenza
ex art. 11 cod. proc. pen. e della conseguente richiesta di annullamento
della misura in assenza del requisito di urgenza. Ci si riferisce al riguardo
alla connessione con il procedimento inviato alla Procura di Reggio Calabria
ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen.
2.3. mancanza di motivazione nella parte in cui sono stati ritenuti gravi
indizi di colpevolezza rispetto ai reati contestati. Ci si duole in particolare
della carenza di motivazione in ordine all’ipotesi accusatoria

con

particolare riferimento al quadro indiziario del delitto associativo.
2.4. violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità e carenza di
motivazione nella parte in cui è stata omessa la motivazione in ordine alla
memoria difensiva. Ci si riferiva, in particolare, all’assenza di un quadro
indiziario sufficiente per ritenere che all’interno dello studio professionale si
stesse svolgendo un’attività criminosa.
Ricorso proposto dall’avv. Giuseppe Calabrò
2.5. violazione di norme processuali e vizio di motivazione, ai sensi dell’art.

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proposta, confermando l’ordinanza impugnata.

606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen., con riguardo alla mancata
considerazione delle doglienze mosse con il riesame in ordine
all’inutilizzabilità delle intercettazioni.
2.6. violazione di norme processuali e vizio di motivazione, ai sensi dell’art.
606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen., con riguardo alla ritenuta
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati in
contestazione.
2.7. violazione di norme processuali e vizio di motivazione, ai sensi dell’art.

sussistenza delle esigenze cautelari.
Con memoria depositata in cancelleria il 20/2/2014, il ricorrente, a mezzo
del difensore avv. Tommaso Autru Ryolo, insisteva ancora sull’accoglimento
dei motivi proposti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Entrambi i ricorsi proposti risultano infondati e devono essere, pertanto,
rigettati. È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di
questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei
provvedimenti sulla libertà personale. Secondo l’orientamento di questa
Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di
Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle
vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso
l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate,
trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile
del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché
del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è,
perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di
verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di
carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto
incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di
illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento. (Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli,
Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760). Inoltre il controllo di
legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti

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606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen., con riguardo alla ritenuta

restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la
congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,
stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo
del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle
fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio,
quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e

giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione
dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando
non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando
ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della
motivazione sulle questioni di fatto. (Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998,
Barbaro, Rv. 210566). Non possono essere dedotte come motivo di ricorso
per cassazione avverso il provvedimento adottato dal tribunale del riesame
pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento,
rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in
alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto tribunale,
come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata
ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad
esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della
richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla
verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a
sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art.
309, comma 8, cod. proc. pen. (Sez. 1 sent. n. 1786 del 5.12.2003,
Marchese, Rv 227110). Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi
quanto segue.
3. Il provvedimento impugnato non presenta i vizi denunciati con il ricorso.
3.1. Quanto al primo motivo proposto dall’avv. Ryolo coincidente con il
primo motivo proposto dall’avv. Calabro, attinenti entrambi all’utilizzabilità
dei risultati delle intercettazioni, deve in via preliminare evidenziarsi che,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, «i
gravi indizi che, ai sensi dell’art. 267, comma 1, cod. proc. pen.
costituiscono presupposto per il ricorso alle intercettazioni, attengono
all’esistenza del reato e non alla colpevolezza di un determinato soggetto;
per procedere ad intercettazione non è pertanto necessario che i detti indizi

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siano a carico dei soggetti le cui comunicazioni debbano essere, a fine di
indagine, intercettate» (sez. 6 n. 9428 del 18.06.1999 Rv. 214127). Ed il
provvedimento impugnato contiene una motivazione senz’altro esaustiva in
ordine all’astratta configurabilità, nel caso di specie, del reato di cui all’art.
479 cod. pen., risultando, invece, le considerazioni svolte nel ricorso
attinenti al diverso profilo della colpevolezza dell’indagato. In tal senso si è
anche evidenziato che i presupposti dell’intercettazione sono la sua
indispensabilità ai fini delle indagini e la sussistenza dei gravi indizi di

reato, da intendersi non in senso probatorio, cioè come valutazione del
fondamento dell’accusa, ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi
delittuose configurate, che non devono risultare meramente ipotetiche,
richiedendosi una ricognizione sommaria degli elementi dai quali sia dato di
desumere la probabilità dell’avvenuta consumazione di un reato e non
un’esposizione analitica, né tanto meno l’evidenziazione di un esame critico
degli stessi (sez. 6 n. 42178 del 7/1/2006, Rv. 235318; sez. 6 n. 10902 del
26/2/2010, Rv. 246688).
3.2. Passando all’esame del secondo motivo proposto dall’avv. Ryolo, rileva
il Collegio la doglianza è del tutto generica, non essendo per nulla indicati
gli elementi in base ai quali il difensore ritiene sussistente un’ipotesi di
connessione del presente procedimento con quello stralciato e trasmesso
alla Procura di Reggio Calabria che avrebbe imposto la trasmissione degli
atti a quell’ufficio ai sensi dell’art. 11 comma 3 cod. proc. pen.
Viceversa il Tribunale di Messina ha correttamente ritenuto radicata
la competenza per territorio nell’ufficio giudiziario di Barcellona Pozzo Gotto
sulla base dei criteri fissati dal codice ed in particolare tenendo conto del
luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato associativo.
3.3. Quanto poi al terzo motivo proposto dall’avv. Ryolo coincidente con il
secondo motivo proposto dall’avv. Calabrò, nell’ordinanza si dà atto
adeguatamente della sussistenza del presupposto cautelare di cui all’art.
273 cod. proc. pen., rilevandosi come il reato associativo enunciato nella
provvisoria imputazione emerge dalle risultanze investigative in atti
costituite dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali e dagli esiti delle
attività di polizia giudiziaria compendiate nelle informative in atti; dal
complesso di tali elementi il Tribunale ha ritenuto accertata, sotto il profilo
della gravità indiziaria, l’effettiva esistenza di un sodalizio criminale dedito
con continuità al compimento di una serie indeterminata di truffe
assicurative nel settore dei sinistri stradali facente capo, tra gli altri, anche

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all’attuale indagato.
3.4. Con riferimento poi alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, di
cui si occupa il terzo motivo di ricorso proposto dall’avv. Calabro, il
Tribunale ha adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza di un
concreto ed attuale pericolo di reiterazione di condotte criminose, facendo
riferimento alle concrete modalità di svolgimento del fatto, al ruolo apicale
ricoperto nel contesto associativo dal ricorrente ed all’accertata
perpetrazione con continuità nel tempo di numerosissimi delitti. Alla luce di

tali considerazioni inerenti le modalità della condotta delittuosa posta in
essere dal ricorrente, si è, ragionevolmente, ritenuto necessario assicurare,
attraverso la misura degli arresti domiciliari applicata, una limitazione della
libertà di movimento dello stesso idonea ad evitare la commissione di
ulteriori reati.
3.4. Quanto, infine, al quarto motivo proposto dall’avv. Ryolo coincidente
parzialmente con le doglianze sollevate nell’ambito del primo motivo di
ricorso proposto dall’avv. Calabrò, contrariamente a quanto sostenuto nei
ricorsi, nel provvedimento viene adeguatamente evidenziato che le
intercettazioni eseguite all’interno dello studio professionale dello Zarcone
hanno riguardato l’attività illecita svolta dallo stesso attraverso l’esercizio
della professione legale. Ed in proposito questa Corte ha sempre ritenuto
che l’art. 103 comma 5 cod. proc. pen., nel vietare le intercettazioni delle
conversazioni o comunicazioni dei difensori, riguarda l’attività captativa in
danno del difensore in quanto tale ed ha dunque ad oggetto le sole
conversazioni o comunicazioni – individuabili, ai fini della loro
inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma – inerenti all’esercizio delle
funzioni del suo ufficio e non si estende ad ogni altra conversazione che si
svolga nel suo ufficio o domicilio (sez. 6 n. 38578 del 3/6/2008, Rv.
241510).
4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara rigetta i ricorsi, la parte privata che li ha proposti deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

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Così deliberato in camera di consiglio, il 26 febbraio 2014

Dott. Rob

estensore

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i,Crrettt Palombi di Montrone

Il Pr sidente
Dott. DyrfenicoGiQQ 7

Il Consigli

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