Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10871 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 10871 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di MIONI RESSEL Immacolata, n. a
Trieste il 12.10.1925, rappresentata e assistita dall’avv. Walter
Zidarich, avverso l’ordinanza di archiviazione n. 1672/2012 emessa
dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trieste in
data 17/10/2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
lette le conclusioni scritte presentate in data 23.11.2013 dal Sostituto
procuratore generale dott. Francesco Mauro Iacoviello che ha chiesto
di dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 20/02/2014

1. Con ordinanza in data 17.10.2012, nell’ambito del procedimento a
carico di ignoti per il reato di cui all’art. 644 cod. pen., il Giudice per le
indagini preliminari di Trieste, all’esito della fissata udienza camerate
ex art. 410, comma 3 cod. proc. pen., previo rigetto dell’opposizione
proposta dalla persona offesa Mioni Ressel Immacolata, disponeva
l’archiviazione del procedimento.
2. Avverso tale provvedimento, nell’interesse di Mioni Resse! Immacolata,

veniva proposto ricorso per cassazione per denunciare la sostanziale
abnormità dell’ordinanza sotto vari profili e chiedere l’annullamento
dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
4.

Si afferma in giurisprudenza come sia da considerarsi inammissibile il
ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento di
archiviazione per vizi di motivazione che non si risolvano in violazioni
del contraddittorio ovvero per “errores in iudicando” fondati su una
diversa interpretazione della legge sostanziale (cfr., ex multis, Cass.,
Sez. 1, n. 9940 del 03/02/2010-dep. 09/03/2010, p.o. in proc. Di
Vincenzo e altri, rv. 246779).
Il provvedimento impugnato è stato emesso a seguito della
opposizione del ricorrente, all’esito della rituale instaurazione e
celebrazione dell’udienza partecipata in camera di consiglio. Ora, la
violazione del contraddittorio è l’unico vizio denunziabile con il ricorso
avverso il provvedimento di archiviazione, vuoi preso de plano vuoi, a
maggior ragione emesso a seguito di camera di consiglio (Cass., Sez.
u., sent. n. 24 del 1995, e tra molte, Cass., Sez. 6, n. 436 del
05/12/2002, Mione; Cass., Sez. 1, n. 8842 del 07/02/2006, Laurino;
Cass., Sez. 6, n. 3896 del 26/10/1995, Ronchetti; Cass., Sez. 6, n.
3018 del 20/09/1991, Di Salvo). Osta a una diversa lettura, il principio
di tassatività dei mezzi d’impugnazione e non v’è ragione
costituzionalmente imposta di un ampliamento della piattaforma dei
vizi denunziabili mediante ricorso. La natura, “interlocutoria e
sommaria… finalizzata a un controllo di legalità sull’esercizio
dell’azione penale e non a un accertamento sul merito
dell’imputazione” (C. cost., ord. nn. 153 del 1999, 150 del 1998, 54

2

del 2003; sent. n. 319 del 1993), dell’archiviazione e la

ratio,

esclusivamente servente il controllo di legalità e obbligatorietà
dell’azione penale, che tradizionalmente si riconosce assistere lo ius ad
loquendum e gli strumenti di tutela dell’offeso (“negli stretti limiti in cui
ciò risponda” a tale funzione di controllo: C. cost. ord. n. 95 del 1998),
consentono d’affermare difatti che alla pretesa sostanziale del
denunziante/querelante offrono comunque adeguata garanzia: da un

lato, la possibilità di sollecitare una riapertura delle indagini anche sulla
scorta di indagini difensive; dall’altro, l’intatta facoltà esercitare i propri
diritti d’azione e difesa, ampiamente e senza preclusione alcuna, nella
sede (civile) propria. Non è possibile per tali ragioni denunziare la
nullità del provvedimento di archiviazione per vizi di motivazione che
non si risolvano in violazioni del contraddittorio e neppure è possibile
impugnare il provvedimento assertivamente affetto da

error in

iudicando (errore che evidentemente si sostiene commesso allorché
s’afferma che i fatti dovevano essere adeguatamente investigati) in
quanto basato su non condivisibili interpretazioni della legge
sostanziale, qualificandolo abnorme (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5052 del
21/10/1999, Andreucci; Cass., Sez. 6, n. 1416 del 22/03/2000).
Il ricorso alla categoria dell’abnormità è ipotizzabile difatti solo nei casi
di tale travalicamento dei limiti assegnati dalla legge al provvedimento
denunziato, da provocare di necessità l’intervento di un meccanismo di
autoconservazione del sistema: la qual cosa presupporrebbe che
l'”abnorme” (in tesi) esercizio del poteri di interdizione fosse stato
esercitato in assenza delle norme di diritto sostanziale o processuale
applicate, non già soltanto sulla base di una lettura non condivisa dei
documenti prodotti o di un misconoscimento delle allegazioni difensive
denunziato come illogico o sorretto da motivazione inadeguata.
5. Alla pronuncia consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento,
in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i
profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in
euro 1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento

3

delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in Roma, camera di consiglio del 20.2.2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. Andrea ellegrino

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o t. Ciro Pet

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