Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10863 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 10863 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di CHAMARI Hamdi, n. a
Castelvetrano il 17.08.1989 avverso l’ordinanza n. 880/2013 del
Tribunale di Bari, in funzione di giudice del riesame, in data
22.07.2013 con la quale era stata rigettata l’istanza ex art. 309 cod.
proc. pen. avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Bari in data 06.02.2013 impositiva della misura
cautelare della custodia in carcere;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Paolo
Canevelli che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il difensore avv. Carlo Corbucci che ha chiesto l’annullamento
del provvedimento impugnato con tutte le conseguenze del caso e/o

Data Udienza: 06/02/2014

di voler dichiarare che non sussistono i presupposti di fatto e di diritto
per l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza in data 06.02.2013, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Bari, su conforme richiesta del

Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale, applicava
nei confronti di CHAMARI Hamdi la misura cautelare della custodia in
carcere per il reato di cui all’art. 270-bis cod. pen..
CHAMARI è accusato di aver partecipato, nell’ambito di una cellula
operante in Andria ed in altre zone del territorio italiano,
un’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale,
cooperando nell’attività di proselitismo, di finanziamento
dell’associazione e di procacciamento di documenti falsi, tenendo i
contatti con altri membri dell’organizzazione ed essendo disponibile,
unitamente ai correi, al trasferimento in zone di guerra per compiervi
attività di terrorismo.
2.

A seguito di ricorso nell’interesse del CHAMARI, il Tribunale di Bari,
in funzione di giudice del riesame, con l’ordinanza impugnata,
rigettava l’istanza ex art. 309 cod. proc. pen..

3.

Avverso tale provvedimento, nell’interesse di CHAMARI Hamdi veniva
proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
-mancanza dei presupposti per l’applicazione della misura;
-assenza assoluta dei gravi indizi di colpevolezza;
-assenza di motivazione dell’ordinanza del giudice per le indagini
preliminari e dell’ordinanza del Tribunale in data 06.02.2013;
-inidoneità dei comportamenti addotti a sostegno della misura a
costituire gravi indizi di colpevolezza o anche soltanto indizi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.

Il ricorso è infondato e, come tale, va respinto.

5.

È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà
personale.

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Secondo l’orientamento di questa Corte Suprema, che il Collegio
condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative
che hanno interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod.
proc. pen. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in
ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte

Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se
il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione
riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento
delle risultanze probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di
riesame, mezzo di impugnazione, sia pure atipico, ha la specifica
funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare
con riguardo ai requisiti formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen.,
ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del
provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la
motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di
vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal
citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen.,
con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della
pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza (Cass., Sez. un., n. 11 del 22/03/2000,
Audino, rv. 215828; conforme, dopo la novella dell’art. 606 cod.
proc. pen., Cass., Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, rv.
237012).
Si è inoltre osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure
cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile
soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge,
ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche
quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti
ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze

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esaminate dal giudice di merito (Cass., Sez. 5, n. 46124
dell’08/10/2008, Pagliaro, rv. 241997; Cass., Sez. 6, n. 11194
dell’08/03/2012, Lupo, rv. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc.
pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è, quindi,
rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di
specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della

motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità
non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono
inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito,
dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi
di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma
incriminatrice.
Il Tribunale del riesame ha valorizzato, ad integrazione del
necessario quadro di gravità indiziaria legittimante l’emissione della
impugnata misura coercitiva, una articolata serie di elementi, dai
quali – con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come
tale esente da vizi rilevabili in questa sede, oltre che in difetto delle
ipotizzate violazioni di legge – è stata nel complesso desunta la
sussistenza del necessario quadro di gravità indiziaria in relazione al
reato ipotizzato, nella specie senz’altro configurabile nei suoi
elementi costitutivi essenziali.
6. Ha evidenziato il giudice di seconde cure come la corposa
piattaforma indiziaria posta alla base della misura cautelare genetica
traesse origine dall’articolata attività d’indagine svolta dai R.O.S. dei
Carabinieri di Bari avente ad oggetto il contrasto dell’eversione
internazionale nell’ambito del terrorismo islamista; l’interesse
investigativo trovava il suo fondamento nel fatto che l’area barese e
foggiana fosse notoriamente popolata da folte comunità di immigrati
e, dunque, tra le più sensibili al rischio di diffusione di fenomeni
terroristici. L’indagine prende le mosse dalla presenza in Andria di un
gruppo religioso, capeggiato da Hosni Hachemi Ben Hassen, imam
della locale moschea, gruppo assolutamente aderente alla causa
promossa da Al Qaeda del quale facevano parte militanti jihadisti i

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quali, da contesti di emarginazione sociale, era stati condotti sino
alla prassi terroristica: il jihad diventa l’unico argomento di
conversazione e tutto è riferito o ricondotto alla necessità
dell’impegno combattentistico per l’affermazione del puro Islam.
Nella ricostruzione dei fatti posti a fondamento dell’incolpazione,
oltre all’intercettazione telefonica delle conversazioni intrattenute dai
soggetti d’interesse investigativo, una valenza rilevante hanno avuto

videosorveglianza posto all’esterno del

cali center

sia l’attività di intercettazione telematica abbinata al servizio di
gestito dal

principale indagato, sia i servizi di osservazione che le dichiarazioni
di alcuni collaboratori di giustizia a suo tempo reclutati
dall’organizzazione capeggiata da Essid Sami Ben Khemais, affinchè
diventassero “martiri” compiendo azioni suicidiarie contro il “nemico
crociato-sionista” in uno dei teatri di Jihad.
L’associazione indagata risulta dedita ad una scrupolosa attività di
proselitismo radicalista, volta a rafforzare, con estrema cautela e
discrezione, una più ampia struttura organizzata pronta a colpire il
mondo occidentale.
Nei confronti del CHAMARI, il provvedimento impugnato evidenzia
una serie di intercettazioni il cui interlocutore è il predetto indagato il
quale, pienamente consapevole della sua appartenenza al gruppo
criminale capeggiato dall’Hosni, manifesta e confronta i propri accesi
sentimenti antisemiti e antioccidentali nonchè l’aspirazione a partire
verso territori di guerra al fine di immolarsi per la causa religiosa. E’
emerso altresì come il CHAMARI visionasse, al pari degli altri
indagati, video e documenti reperiti sul web inneggianti alla causa
islamica, commentando le azioni dei “fratelli mujahedeen” ovvero gli
attacchi missilistici compiuti; in particolare, vi è un’intercettazione
telefonica nella quale l’interlocutore dell’indagato si raccomanda di
evitare di farsi fotografare o, comunque, di diffondere fotografie in
compagnia di altri soggetti per evitare di creare prove a suo carico,
ovvero altra conversazione nella quale l’interlocutore di raccomanda
di cancellare i files contenenti delle “lezioni” scaricate da internet.
Elementi che, unitariamente valutati, si pongono al di là quelle che
possono essere considerate come mere manifestazioni di adesione
ideologica al radicalismo fondamentalista e, pertanto, nel quadro di
una coordinata ed organica lettura delle emergenze investigative,

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sono stati ragionevolmente ritenuti dimostrativi dell’inserimento degli
indagati nella cellula terroristica de qua.
7. Le doglianze del ricorrente inerenti all’adeguatezza del quadro
indiziario valorizzato dal Tribunale del riesame si risolvono nella
prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito, sollecitando un “controllo ed un
sindacato” non appartenente al giudice di legittimità il cui compito –

va ribadito – è solo quello di verificare che il giudice di merito abbia
dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato
offrendo motivazione congrua in ordine alla valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto
che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass.,
Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, rv. 255460).
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere «all’interno» del
provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una
nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso
esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In
altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione
alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle
vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun
potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive
dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari
e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata
chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il
controllo di legittimità è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame
dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia
rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di
legittimità:
1)

l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo

hanno determinato;
2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo
del

provvedimento

impugnato,

ossia

la

congruità

delle

argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

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Nella fattispecie, entrambi i requisiti ricorrono: sotto questo aspetto
il ricorso, che di fatto ha contestato la valutazione della ritenuta
gravità indiziaria, è infondato e, come tale, da rigettare.
8. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deliberato in Roma, camera di consiglio del 6.2.2014

pen.

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