Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10855 del 21/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 10855 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello di
Palermo nei confronti di
Sbeglia Salvatore, nato a Palermo il 25/11/1939;
Rizzacasa Vincenzo, nato a Palermo il 5/4/1947;
Marcianò Vincenzo, nato a Palermo il 2/1/1945;
Lena Francesco, nato a San Giuseppe Jato il 18/6/1936,
nonché proposto da
Rotolo Antonino, nato a Palermo il 3/1/1946;
Cancemi Carmelo, nato a Palermo il 5/2/1942;
Gottuso Francesco, nato a Palermo 1’8/4/1969;
Seidita Fausto, nato a Palermo il 17/11/1985;
Vaccaro Pietro, nato a Camporeale il 30/4/1936;
Troia Massimo Giuseppe, nato a Romano di Lombardia il 22/7/1975;
Sbeglia Francesco Paolo, nato a Palermo il 26/10/1943;
Sbeglia Francesco, nato a Palermo il 30/6/1970;
Maranzano Antonino, nato a Palermo il 24/2/1940;
avverso la sentenza 17/1/2013 della Corte d’appello di Palermo VI Sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

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Data Udienza: 21/02/2014

udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo:
il rigetto del ricorso del PG.;
il rigetto dei ricorsi di Cancemi Carmelo, Maranzano Antonino, Seidita
Fausto e Troia Massimo Giuseppe;
l’inammissibilità dei ricorsi di Rotolo Antonino, di Vaccaro Pietro e di

– l’annullamento con rinvio nei confronti di Sbeglia Francesco Paolo e di
Sbeglia Francesco in punto di valutazione delle intercettazioni
telefoniche.
Udito per la parte civile, Fecarotta Armando, l’avv. Roberto di Luzio in
sostituzione dell’avv. Claudio Gallina Montana, che conclude per
l’inammissibilità o il rigetto del ricorso di Cancemi Carmelo;
uditi per Sbeglia Salvatore, l’avv. Lillo Fiorello e l’avv. Giovanni Di
Benedetto; per Rizzacasa Vincenzo, l’avv. Raffaele Bonsignore e l’avv.
Giuseppe Oddo; per Cancemi Carmelo, l’avv. Domenico La Blasca; per
Gottuso Francesco, l’avv. Fabio Ferrara; per Seidita Fausto, l’avv. Raffaele
Bonsignore, per Vaccaro Pietro, l’avv. Francesco Giarrusso; per Troia
Massimo Giuseppe, l’avv. Lillo Fiorello; l’avv. Giovanni Rizzuti per Sbeglia
Francesco Paolo; per Maranzano Antonino, l’avv. Carmelo Cordaro; per
Sbeglia Francesco e Lena Francesco, gli l’avv. Giovanni Rizzuti e l’avv.
Giovanni Di Benedetto, che hanno chiesto l’inammissibilità del ricorso del
RG. e l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 8/11/2011 il Gup presso il Tribunale di Palermo,

all’esito di giudizio abbreviato, dichiarò:
-Rotolo Antonino colpevole del reato di estorsione aggravata e continuata in
concorso di cui al capo 4), condannandolo alla pena di anni dieci di
reclusione ed €.2.100,00 di multa;
– Cancemi Carmelo colpevole del reato di estorsione aggravata in concorso,
di cui al capo 27), condannandolo alla pena di anni otto di reclusione ed
€.1.600,00 di multa;

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Gottuso Francesco;

- Marcianò Vincenzo e Vaccaro Pietro colpevoli del reato di estorsione
aggravata in concorso, previa riqualificazione nella forma tentata, di cui al
capo 28, condannandoli alla pena di anni quattro di reclusione ed €.800,00
di multa ciascuno;
– Maranzano Antonino colpevole dei reati di partecipazione ad associazione
mafiosa (capo 1) e trasferimento fraudolento di valori (capo 8),
condannandolo alla pena di anni dieci e mesi dieci di reclusione;
– Seidita Fausto colpevole dei reati di

partecipazione ad associazione

condannandolo alla pena di anni otto e mesi due di reclusione;
– Troia Massimo Giuseppe colpevole del reato di trasferimento fraudolento di
valori (capo 7), condannandolo alla pena di anni due di reclusione;

Sbeglia Francesco Paolo colpevole dei reati di

partecipazione ad

associazione mafiosa (capo 1) e trasferimento fraudolento di valori (capi
13,18 e 19), condannandolo alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione;
– Sbeglia Francesco e Rizzacasa Vincenzo colpevoli del reato di trasferimento
fraudolento di valori (capo 26), condannandoli alla pena di anni tre e mesi
quattro di reclusione.
Il Gup condannò, altresì, Cancemi Carmelo al risarcimento dei danni nei
confronti della parte civile Fecarotta Armando e ordinò la confisca di un
immobile, di conti correnti e di quote di capitale di società varie oggetto di
intestazioni fittizie. Assolse Lena Francesco dal reato di partecipazione ad
associazione mafiosa (capo 1), ordinando il dissequestro delle quote e del
compendio aziendale della Abbazia Sant’anastasia S.p.a. Dichiarò non
doversi procedere nei confronti di Gottuso Francesco, in ordine al delitto di
trasferimento fraudolento di valori (capo 8), esclusa l’aggravante di cui
all’art. 7 D.L. 152/1991, per essere il reato estinto per prescrizione.
2.

A seguito di appello di tutti gli imputati condannati e del P.M. nei

confronti di Lena Francesco, la Corte di appello di Palermo, in parziale
riforma della sentenza impugnata, esclusa l’aggravante di cui all’art. 7 D.L.
152/1991 contestata a Sbeglia Francesco,
– dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso in ordine al
reato ascrìttogli al capo 13), perché estinto per prescrizione;
– assolveva Sbeglia Salvatore e Rizzacasa Vincenzo dal reato loro ascrìtto al
capo 26) perché il fatto non sussiste;
– assolveva Marcianò Vincenzo dal reato ascratogli al capo 28) per non avere
commesso il fatto;

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mafiosa (capo 1) e trasferimento fraudolento di valori (capo 7),

- riduceva la pena inflitta a Maranzano Antonino ad anni otto e mesi sei di
reclusione;
– ordinava la confisca della somma di denaro sequestrata a Maranzano
Antonino dalla Squadra Mobile di Palermo il 10.6.2010;
ordinava la restituzione a Rizzacasa Vincenzo della quota sociale della
Arbolandia s.r.l. allo stesso intestata.
La Corte confermava nel resto l’impugnata sentenza e condannava il Rotolo,
il Cancenni, il Gottoso, il Seidita, il Vaccaro, il Troia e Sbeglia Francesco Paolo

anche alla rifusione della spese sostenute nel grado dalla parte civile
Fecarotta Armando, ordinando la scarcerazione di Marcianò Vincenzo.

3.

Avverso tale sentenza proponeProcuratore Generale nella parte in

cui ha disposto l’assoluzione:
– nei confronti di Marcianò Vincenzo dal reato di cui al capo 28) per non
aver commesso il fatto;
– nei confronti di Sbeglia Salvatore e Rizzacasa Vincenzo dal reato loro
ascritto al capo 26) perchè il fatto non sussiste;
– nonché nella parte in cui ha confermato nei confronti di Lena Francesco,
imputato del reato associativo, l’assoluzione pronunciata dal Gup per non
aver commesso il fatto.
4.

Avverso tale sentenza hanno, altresì, proposto ricorso gli imputati

Rotolo Antonino, Cancemi Carmelo, Gottuso Francesco, Seidita Fausto,
Vaccaro Pietro, Troia Massimo Giuseppe, Sbeglia Francesco Paolo, Sbeglia
Francesco e Maranzano Antonino per mezzo dei rispettivi difensori di
fiducia.
5.

Ricorso del RG.

5.1

Quanto alla posizione di Marcianò Vincenzo, imputato di estorsione

aggravata nei confronti di Di Stefano Giacomo, il RG. ricorrente richiama le
conversazioni intercettate del 10/8/2005 e del 24/11/2005 e deduce che la
motivazione della Corte territoriale sarebbe contraddittoria nel ritenere che
il Marcianò, in qualità di reggente del mandamento mafioso di Boccadifalco,
sarebbe rimasto all’oscuro della richiesta estorsiva.
5.2

Quanto alla posizione di Lena Francesco, il PG deduce la manifesta

illogicità della motivazione che aveva confermato l’assoluzione del Lena,

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ciascuno al pagamento delle ulteriori spese processuali, nonché il Cancemi

imprenditore colluso con la mafia. Al riguardo si duole che i giudici del
merito abbiano proceduto ad una atomizzazione degli indizi a carico
dell’imprenditore ed eccepisce che una lettura globale ed unitaria degli
indizi a carico dell’imputato consente di ritenere conseguita la prova logica
del fatto.
5.3

Quanto alla posizione di Sbeglia Salvatore e Rizzacasa Vincenzo, il

PG deduce la manifesta illogicità della motivazione con la quale la Corte

contestato ai due imputati si è estinto per prescrizione, ma avendo il
Rizzacasa espressamente rinunciato alla prescrizione, l’impugnazione è
rivolta ad ottenere il riconoscimento della penale responsabilità di costui e
la declaratoria di estinzione per prescrizione per Sbeglia Salvatore. Al
riguardo si duole che la Corte territoriale non abbia adeguatamente
valutato gli elementi di prova dai quali è possibile desumere che Sbeglia
Salvatore ha svolto la funzione di socio occulto del Rizzacasa, il quale ha
gestito l’operazione immobiliare di Tommaso Natale per conto dello Sbeglia.
In proposito richiama alcune conversazioni intercettate ed alcune
annotazioni e missive sequestrate il 5/11/2007 nel covo dei latitanti Lo
Piccolo ed altri, tratti in arresto in pari data dalla p.g., nonché le
dichiarazioni del collaborante Nuccio. Alla luce di tali elementi il P.G.
ricorrente conclude che Sbeglia Salvatore, sebbene risulti formalmente
dipendente del Rizzacasa in realtà è socio di fatto ed occulto della
Arbolandia s.r.l. società costituita per acquistare il terreno e procedere alla
lottizazione. I difensori di Lena Francesco di Sbeglia Salvatore e di
Rizzacasa Vincenzo hanno depositato separate memorie, resistendo al
ricorso del RM. di cui chiedono l’inammissibilità o il rigetto.

6.

Rotolo Antonio propone tre motivi di ricorso.

6.1

Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art.

192 cod. proc. pen. e 629 cod. pen. e vizio della motivazione in relazione
alla riconosciuta responsabilità penale del Rotolo, pur in assenza di
elementi legittimi da cui desumere un suo effettivo coinvolgimento in
un’attività estorsiva. Al riguardo deduce la conversazione intercettata fra il
Rotolo e l’Inzerillo – unico elemento a carico dell’imputato – non può essere
considerata una prova decisiva in quanto la motivazione della sentenza
impugnata non ha fornito risposta alla principale contraddizione emersa

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territoriale è pervenuta alla pronuncia di assoluzione. Precisa che il reato

dalle indagini, ossia l’incompatibilità fra il fortissimo legame amicale del
Rotolo con il Riolo e la presunta attività estorsiva perpetuata in danno di
quest’ultimo per più di 20 anni. Si duole, inoltre, che la versione dei fatti
rappresentata dalla difesa in merito al dialogo fra Rotolo e Inzerillo sia
stata accantonata, senza che la Corte abbia saputo contrapporvi una
versione più plausibile, tale da cancellare ogni dubbio sull’effettiva
responsabilità del ricorrente.
Con il secondo motivo si duole di erronea applicazione

dell’aggravante speciale di cui all’art. 7 D.L. 152/1991 in relazione all’art.
629 cod. pen. deducendo che dal tenore della conversazione intercettata
non era possibile desumere né il metodo mafioso, ne l’azione a favore della
consorteria mafiosa. Eccepisce che per la sussistenza dell’aggravante in
parola non è sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità
organizzata o la caratura mafiosa degli autori del fatto.

6.3

Con il terzo motivo si duole delle misure di sicurezza personali

applicate al Rotolo, eccependo che la Corte d’appello ha affermato la
pericolosità sociale dell’imputato senza fare riferimento ai parametri di cui
all’art. 133 cod. pen.

7.

Cancemi Carmelo solleva due motivi di ricorso.

7.1

Con il primo motivo ripropone l’eccezione di inutilizzabilità delle

dichiarazioni della parte offesa Fecarotta Armando, il cui esame era stato
disposto d’ufficio, contestando il potere del Gup di introdurre, nel corso del
giudizio abbreviato, nuovi elementi di prova riguardanti la ricostruzione del
fatto e la responsabilità dell’imputato, sulla scia di un orientamento
giurisprudenziale della S.C. (Cass. Sez. III, sentenza n. 33939/2010 e Sez.
IV, sentenza n. 35247/2005) che la Corte territoriale non aveva condiviso,
richiamando un arresto differente (Cass. Sez. V, sentenza n. 36335/2012).
In subordine chiede che la questione venga rimessa alle Sezioni Unite.
7.2

Con il secondo motivo si duole di vizio della motivazione

eccependo che nella fattispecie non ricorrono gli estremi della condotta
punibile per il reato di estorsione per l’assenza di una condotta minacciosa.
Contesta, altresì la sussistenza dell’aggravante speciale di cui all’art. 7 D.L.
152/1991.

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6.2

8.

Gottuso Francesco deduce violazione di legge e di vizio della

motivazione. In particolare si duole di difetto di correlazione fra
l’imputazione contestata e la sentenza in quanto la Corte avrebbe
modificato la condotta in punto di fatto contestata al ricorrente nel capo
d’imputazione. Si duole inoltre di motivazione manifestamente illogica in
quanto la Corte attribuisce la qualità di socio occulto al Maranzano sulla
scorta del trasferimento di clienti alla 3G Costruzioni e dell’attribuzione a
costui dei profitti derivanti da tali lavori, senza tener conto della consulenza

9.

Seidita Fausto solleva quattro motivi di ricorso.

9.1

Con il primo motivo deduce violazione delle regole che governano la

formazione della prova in relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputato
per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa. In particolare
eccepisce che le dichiarazioni dei tre collaboranti utilizzate in atti non
convergono rispetto ai fatti specifici addebitati al ricorrente e sono prive di
riscontri individualizzanti.
9.2

Con il secondo motivo,in riferimento al reato di cui all’art. 12

quinquies, eccepisce che la prova indiziaria a suo carico costituita
dall’intercettazione di una conversazione intercorsa il 27/3/2006 fra
Maranzano e Bonura, costituisce una dichiarazione sostanzialmente de
relato, meramente indiziaria che non può assurgere a dignità di prova.
9.3

Con il terzo motivo contesta l’applicazione delle aggravanti di cui al

IV e VI comma dell’art. 416 bis cod. pen. In particolare eccepisce che non è
possibile collegare al ricorrente le armi sequestrate nel covo dei Lo Piccolo
e che non è stata verificata in capo all’agente la consapevolezza
dell’avvenuto reimpiego delle utilità procurate dalle azioni criminose.
9.4

Con il quarto motivo si duole del trattamento sanzionatorio ed in

particolare del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Successivamente il difensore del Seidita ha depositato memoria con la
quale insiste nella contestazione dell’aggravante di cui al comma VI dell’art.
416 bis cod. proc. pen. richiamando alcune pronunce della Suprema Corte.

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Vaccaro Pietro solleva due motivi di ricorso con i quali deduce

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tecnico contabile in atti.

violazione di legge e delle regole che governano la formazione della prova
in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di estorsione in forma
tentata ed in relazione all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L.
152/1991.
10.1 Con riferimento al primo motivo contesta la sussistenza di una
minaccia idonea a coartare la volontà della persona offesa e si duole che i
giudici del merito abbiano sottovalutato le dichiarazioni del Di Stefano il

10.2 Con riferimento al secondo motivo, il ricorrente contesta la
sussistenza degli estremi della condotta punibile non avendo l’agente
operato con la finalità specifica di agevolare l’attività dell’associazione
mafiosa.

11.

Troia Massimo Giuseppe deduce violazione di legge e vizio della

motivazione in relazione all’art. 12 quinquies D.L. 356/92 e si duole del
trattamento sanzionatorio.
11.1 Quanto al primo motivo si duole che i giudici del merito abbiano
fatto malgoverno delle regole che orientano la formazione della prova
fondando la pronuncia di responsabilità sulla base di un’interpretazione
acritica dell’unica conversazione oggetto di intercettazione intercorsa il 27
marzo 2006 fra Bonura Francesco e Maranzano Antonino. Al riguardo
deduce che nella conversazione non viene mai fatto il nome di Troia
Massimo Giuseppe ma si indica genericamente il figlio di tale Troia Mariano,
senza che emergano elementi da cui si possa desumere che il Troia Mariano
di cui si parla sia effettivamente il padre dell’odierno ricorrente. Eccepisce,
inoltre, che all’epoca dei fatti egli era soggetto incensurato e non era
destinatario di alcuna misura di prevenzione.
11.2 Quanto al secondo motivo si duole della mancata concessione delle
attenuanti generiche.

12.

Sbeglia Francesco Paolo propone nove motivi di ricorso.

12.1 Con il primo motivo si duole che la Corte territoriale abbia dichiarato
inammissibili i motivi d’appello con i quali era stata eccepita l’inutilizzabilità
dei risultati delle intercettazioni in atti ed eccepisce che sul punto la difesa
appellante aveva compiutamente assolto all’onere di specificare le
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quale non esitò a mandare al diavolo il suo presunto estorsore.

doglianze formulate avverso la sentenza di primo grado.
12.2 Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art.
416 bis cod. pen. e vizio della motivazione sul punto con riferimento alla
ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di partecipazione ad
associazione mafiosa. Al riguardo si duole che la Corte territoriale abbia
fondato il giudizio di responsabilità sul mero sillogismo secondo cui un
imprenditore che entra in contatto con soggetti appartenenti al sodalizio

eccepisce che la Corte non ha precisato quali benefici abbia tratto
l’imprenditore Sbeglia Francesco Paolo dai suoi contatti con ambienti
mafiosi e quali vantaggi abbia conseguito la consorteria mafiosa grazie allo
Sbeglia. In definitiva deduce che la sentenza impugnata non ha individuato
in cosa sia consistita la condotta di partecipazione dell’agente al sodalizio
mafioso ed eccepisce che le stesse propalazioni dei collaboratori di giustizia
non offrono alcun appiglio alla tesi accusatoria.
12.3 Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio della
motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza delle circostanze
aggravanti di cui ai commi IV e VI dell’art. 416 bis cod. pen. Al riguardo si
duole che i giudici del merito abbiano ritenuto sussistenti tali circostanze
aggravanti sulla base di mere presunzioni e senza alcuno specifico
riferimento alla disponibilità di armi da parte dei sodali o al reimpiego dei
profitti illeciti in attività economiche.
12.4 Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio della
motivazione in relazione all’art. 12 quinquies L. n. 356/92 e all’art. 7 D.L.
156/91, dolendosi che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistente la
penale responsabilità dell’imputato per i reati di cui ai capi 13), 18) e 19).
In proposito eccepisce che i giudici del merito abbiano sovrapposto le
distinte nozioni di attribuzione e di gestione di fatto delle società traendo
indebitamente dall’asserito ruolo di gestore di fatto di Sbeglia Francesco
Paolo la prova della provenienza dal medesimo delle risorse utilizzate per la
costituzione e la conduzione delle dette società. Quanto all’elemento
soggettivo del reato eccepisce che dal materiale probatorio in atti non è
possibile desumere che Sbeglia Francesco Paolo abbia agito al fine di
eludere l’eventuale applicazione di misure di prevenzione in quanto il
ricorrente non era mai stato attinto da accuse di partecipazione al sodalizio
mafioso né era mai stato oggetto di procedimenti applicativi di misure di

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debba, per ciò solo, ritenersi un imprenditore mafioso. In particolare

prevenzione. Quindi il ricorrente svolge una specifica contestazione del
valore degli elementi di prova a suo carico con riferimento al reato di cui al
capo 19, al reato di cui al capo 13 ed a quello di cui al capo 18.
12.5 Con il quinto motivo il ricorrente si duole della ritenuta sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/91 con riferimento ai reati di
trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi 13), 18) e 19). Al riguardo
si duole che i giudici del merito abbiano ritenuto sussistente l’aggravante in

per il reato di cui all’art. 416 bis cod. proc. pen. ed eccepisce che nella
fattiaspecie non sussiste alcuna prova del dolo specifico in testa all’agente,
vale a dire la finalità di agevolare l’associazione mafiosa.
12.6 Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio della
motivazione in relazione al diniego di concessione delle attenuanti
generiche, dolendosi di motivazione di stile.
12.7 Con il settimo motivo e ottavo si duole che la Corte d’appello abbia
confermato l’aumento di pena per la circostanza aggravante di cui al VI
comma dell’art. 416 bis cod. pen. nella misura massima di legge.
12.8

Con il nono motivo si duole che la Corte d’appello abbia

confermato la confisca della metà del capitale sociale della Domè srl,
intestata a Sbeglia Marcello, nonché della quota del 20% del capitale
sociale della Palagio srl.

13.

Sbeglia Francesco solleva tre motivi di ricorso.

13.1 Con il primo motivo si duole che la Corte territoriale abbia dichiarato
inammissibili i motivi d’appello con i quali era stata eccepita l’inutilizzabilità
dei risultati delle intercettazioni in atti ed eccepisce che sul punto la difesa
appellante aveva compiutamente assolto all’onere di specificare le
doglianze formulate avverso la sentenza di primo grado.
13.2 Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio della
motivazione in relazione all’art. 12 quinquies L. n. 356/92, dolendosi che la
Corte d’appello abbia dichiarato estinto per prescrizione il reato contestato
al ricorrente pur in presenza della prova evidente della sua estraneità.
13.3

Con il terzo motivo si duole della confisca delle quote del capitale

sociale della Rekoa srl essendo il ricorrente l’effettivo titolare delle quote a
lui intestate.

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parola basandosi esclusivamente sulla ritenuta responsabilità del prevenuto

14.

Maranzano Antonino solleva sette motivi di ricorso.

14.1 Con il primo motivo deduce violazione di norme processuali e la
nullità assoluta dell’azione penale perchè, a seguito di decreto di
archiviazione emesso in data 10/4/2001, non era stato assunto alcun
provvedimento di riapertura delle indagini
14.2 Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art.

determinata con riferimento alla normativa antecedente a quella di cui al
D.L. n.92/2008.
14.3 Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art.
416 bis cod. pen. e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta
responsabilità dell’imputato per il delitto associativo. Al riguardo deduce
che l’attribuibilità al Maranzano della qualifica di “uomo d’onore” è stata
sostenuta nella sentenza impugnata sulla scorta di mere illazioni poiché
tale qualifica non emerge dalle dichiarazioni dei collaboratori. Si duole,
inoltre che la Corte sia pervenuta alla definizione del Maranzano come
imprenditore colluso con la mafia in quanto permanentemente e
consapevolmente asservito agli interessi del sodalizio criminale, sulla base
di una motivazione illogica e contraddittoria viziata da travisamento della
prova poiché il Maranzano risultava avere intrattenuto sempre e solo un
esclusivo rapporto con il Bonura, cioè con un singolo soggetto e non con
l’organizzazione mafiosa.
14.4 Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio della
motivazione in relazione all’art. 12 quinquies L. 306/92 e 7 D.L. 152/92. Al
riguardo eccepisce che il rapporto di cointeressenza con la 3G sarebbe
sorto in epoca successiva alla costituzione della società quando nei
confronti del Maranzano era stato emesso provvedimento di non luogo a
procedere; ciò escluderebbe la finalità di eludere le misure di prevenzione.
Eccepisce, inoltre, che nel caso di specie non vi è stato nessun apporto di
capitali ma solo un reperimento di clientela, condotta che non rientra nella
fattispecie tipica dell’art. 12 quinquies.
14.5 Con il quinto motivo si duole dell’applicazione dell’aggravante di cui
all’art. 7 D.L. 152/1991 ed eccepisce che nel reato associativo è stata
applicata l’aggravante di cui al VI comma dell’art. 416 bis cod. pen. per cui
la stessa condotta non può essere presa in considerazione una seconda

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416 bis cod. pen. ed eccepisce che nel caso di specie la pena andava

volta per l’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/91
14.6 Con il sesto motivo deduce violazione di legge e mancata assunzione
di una prova decisiva con riferimento all’art. 240 cod. pen. e 12 sexies L.
306/92. Al riguardo contesta la confisca del conto corrente e della somma
in contanti sequestrata eccependo che manca del tutto la prova che le
relative somme siano provento di illecito. Eccepisce, altresì, che non
sussiste alcuna sproporzione fra le somme in parola ed il suo reddito e si

della copiosa documentazione prodotta dalla difesa (che allega) relativa alla
situazione reddituale dell’imputato.
14.7 Con il settimo motivo si duole del trattamento sanzionatorio e della
mancata concessione delle attenuanti generiche. Successivamente la difesa
del Maranzano ha depositato memoria con motivi aggiunti, insistendo nella
tesi della non configurabilità della partecipazione del Maranzano al sodalizio
criminale e sviluppando ulteriori argomenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Ricorso del P.G. Preliminarmente va rilevato che, quanto alla

posizione di Sbeglia Salvatore, nei cui confronti è maturata la prescrizione,
il ricorso non è ammissibile difettando i requisiti di concretezza ed attualità
dell’interesse ad impugnare. Al riguardo questa Corte ha ribadito che è
inammissibile, per difetto di interesse, l’appello con il quale il RM. deduca
profili di carenza nell’accertamento dei fatti in ordine a pronuncia
assolutoria adottata dal giudice di primo grado con la formula “perché il
fatto non sussiste”, quando prima della pronuncia della sentenza di appello
sia intervenuta la causa estintiva della prescrizione del reato, atteso che il
mezzo di impugnazione deve perseguire un risultato non solo teoricamente
corretto ma anche praticamente favorevole (Cass. Sez. 6, Sentenza n.
27355 del 15/03/2013 Ud. (dep. 21/06/2013 ) Rv. 255740; Sez. 6,
Sentenza n. 49852 del 05/12/2012 Ud. (dep. 21/12/2012 ) Rv. 253692).

2.

Per quanto riguarda la posizione di Rizzacasa Vincenzo, che risponde

in concorso con Sbeglia Salvatore del delitto di trasferimento fraudolento di
valori di cui al capo 26, la Corte territoriale ha compiutamente ed
adeguatamente motivato, (cfr da fol. 173 a 189) giustificando le differenti
12

duole che la Corte d’appello abbia completamente pretermesso l’esame

conclusioni assunte rispetto al giudizio di primo grado. Secondo
l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte: “In tema di motivazione
della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di
primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio,
alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più
rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto
delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la
riforma del provvedimento impugnato” (Cass.Sez. U, Sentenza n. 33748 del

4, Sentenza n. 28583 del 09/06/2005 Ud. (dep. 29/07/2005 ) Rv. 232441;
Sez. 2, Sentenza n. 746 del 11/11/2005 Ud. (dep. 11/01/2006 ) Rv.
232986; Sez. 6, Sentenza n. 6221 del 20/04/2005 Ud. (dep. 16/02/2006 )
Rv. 233083, Sez. 5, Sentenza n. 42033 del 17/10/2008 Ud. (dep.
11/11/2008 ) Rv. 242330). Nel caso di specie la motivazione della sentenza
impugnata è conforme al percorso argomentativo richiesto dalla
giurisprudenza di questa Corte e pertanto sfugge alle censure sollevate dal
RG. ricorrente, che tendono a provocare un inammissibile intervento di
questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni del
giudice d’appello.

3.

Anche per quanto riguarda la posizione di Marcianò Vincenzo, le

doglianze del RG. ricorrente non sono ammissibili in quanto si risolvono in
censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo
esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle
ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che
rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento
è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto, come nel caso in esame,
da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.

4.

Infine, per quanto riguarda la posizione di Lena Francesco, la

sentenza impugnata è una doppia conforme. I giudici del merito hanno
compiutamente e adeguatamente chiarito che gli elementi indiziari a carico
del Lena non consentono di ritenere accertata una condotta di
partecipazione all’associazione mafiosa. Si deve escludere che una lettura
globale ed unitaria del materiale indiziario avrebbe dovuto portare i giudici
del merito a conclusioni differenti, in quanto, proprio il valore indiziante dei
singoli elementi esaminati è risultato fortemente ridimensionato, nelle

13

12/07/2005 Ud. (dep. 20/09/2005 ) Rv. 231679; in senso conforme: Sez.

valutazioni conformi dei giudici del merito, quanto alle caratteristiche di
gravità, precisione e concordanza. La sentenza impugnata, pertanto, è
coerente con i principi che governano la formazione della prova di cui all’art.
192 cod. proc. pen. Di conseguenza il ricorso del RG. deve essere dichiarato
inammissibile.

5.

Rotolo Antonino. In ordine al ricorso del Rotolo occorre

preliminarmente rilevare che in punto di diritto la sentenza appellata e

integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una
sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare
della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di
pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per
relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non
oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del
28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n.
11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare
l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione
di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar
luogo ad una diversa decisione, sempreché tali elementi non siano muniti di
un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè,
obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa
decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della
motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati
elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere
accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono
essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che
soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di
verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se
risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto
argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente
confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000),
Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud.
23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999
(ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di

14

quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si

annullamento la motivazione incompleta ne’ quella implicita quando
l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca
diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno
che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria,
tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da
ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

6.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di

grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni
aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della
difesa. In particolare la Corte d’appello ha preso in considerazione il legame
affettivo fra il Rotolo ed il Riolo ma ha escluso che tale legame possa aver
portato il Rotolo a mentire all’Inzerillo circa la “messa a posto” della ditta
Riolo, osservando che, sulla base delle regole mafiose, il Rotolo non avrebbe
potuto esimersi dal conteggiare il peso del “pizzo”

«inderogabilmente

gravante sull’attività svolta dal Rio/o» (pag. 16). Del resto le obiezioni del
ricorrente sono fondate su meri elementi logici che non sono muniti di un
chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultano, di per sè,
obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa
decisione. Le argomentazioni della difesa, piuttosto, propongono una
diversa lettura o interpretazione della conversazione captata fra Rotolo ed
Inzerillo che non può essere ammessa in sede di legittimità, tentendo a
provocare un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa
rispetto alle conclusioni legittimamente assunte dai giudici del merito.

7.

Le stesse considerazioni valgono anche in ordine al secondo motivo

con il quale la difesa ricorrente contesta l’applicabilità al caso di specie
dell’aggravante del metodo mafioso. Anche su questo punto la Corte
d’appello ha risposto alle obiezioni dell’appellante, osservando che: «la
finalità di agevolare l’associazione mafiosa emerge di tutta evidenza dalla
stessa natura del pagamento ai fini della “messa a posto” che è come tale
destinato a rimpugnuare la cassa della competente famiglia e prima ancora
ad affermare il potere sul territorio di Cosa Nostra di cui il Rotolo è stato per
tantissimi anni uno dei maggiori protagonisti».

Nel caso in esame la

sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. 152/1991 non è stata
desunta semplicemente dal contesto mafioso o dalla caratura mafiosa dei

15

..-/1—–

secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo

pesonaggi coinvolti, bensì dalla natura oggettiva della condotta mirante ad
agevolare l’attività del sodalizio mafioso, mediante la “messa a posto” delle
imprese che effettuavano lavori nel mandamento mafioso.

8.

Infine è manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso in ordine

alla misura di sicurezza applicata al Rotolo, in quanto la Corte territoriale ha
adeguatamente motivato sul punto mettendo in evidenza la non comune
capacità criminale del Rotolo, che, nonostante le precedenti condanne per

Di conseguenza il ricorso del Rotolo deve essere respinto.

9.

Cancemi Carmelo. Il primo motivo del ricorso del Cancemi verte in

ordine all’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona
offesa, Fecarotta Armando di cui il Gup aveva disposto d’ufficio l’audizione,
ex art. 441, 5 0 comma cod. proc. pen. L’eccezione, che è stata respinta dal
Gup e dalla Corte d’appello, si basa sui limiti che incontra, nel giudizio
abbreviato il potere del giudice di integrazione probatoria. In proposito il
ricorrente richiama un arresto della S.C. che ha statuito che nel giudizio
abbreviato la facoltà del giudice di assumere anche d’ufficio gli elementi
necessari ai fini della decisione non è esercitabile con riguardo alla
ricostruzione storica del fatto e all’attribuibilità di esso all’imputato (Cass.
Sez. 3, Sentenza n. 33939 del 16/06/2010 Ud. (dep. 21/09/2010 ) Rv.
248229).

10.

A ben vedere l’indirizzo giurisprudenziale richiamato dal ricorrente è

stato superato da successivi arresti di questa S.C. In particolare la Sezione
quinta di questa Corte, con la sentenza n. 36335/2012 ha statuito che in
tema di giudizio abbreviato, l’integrazione probatoria disposta dal giudice ai
sensi del quinto comma dell’art. 441 cod. proc. pen., può riguardare anche
la ricostruzione storica del fatto e la sua attribuibilità all’imputato, atteso
che gli unici limiti a cui è soggetto l’esercizio del relativo potere sono
costituiti dalla necessità ai fini della decisione degli elementi di prova di cui
viene ordinata l’assunzione e dal divieto di esplorare itinerari probatori
estranei allo stato degli atti formato dalle parti. Tale orientamento è stato
confermato da un successivo arresto della Sezione 3^ di questa Corte (Sez.
3, Sentenza n. 12842 del 16/01/2013 Ud.(dep.20/03/2013 ) Rv. 255109),
che smentisce il precedente orientamento e che questo Collegio condivide.

16

gravissimi fatti (fra cui diversi omicidi) è ricaduto in una condotta criminale.

Di conseguenza si deve ritenere assodato in punto di diritto che il potere di
integrazione probatoria, ex officio, può riguardare anche la ricostruzione
storica del fatto e la sua attribuibilità all’imputato, purchè il giudice non
sconfini nell’esplorazione di itinerari probatori estranei allo stato degli atti
formato dalle parti. Nel caso di specie è indubitabile che l’assunzione
d’ufficio della testimonianza della persona offesa dal delitto di estorsione
non introduce un itinerario probatorio estraneo allo stato degli atti, in
quanto il tema di prova introdotto dall’accusa e contrastato dalla difesa con

persona offesa al momento dell’erogazione del denaro.

11.

Il secondo motivo di ricorso del Cancenni deve ritenersi inammissibile

per aspecificità (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 28011 del 15/02/2013 Ud.
(dep. 26/06/2013 ) Rv. 255568) Il ricorrente, infatti, si duole
genericamente dell’insussistenza dei presupposti della minaccia e
dell’aggravante metodo mafioso, senza minimamente confrontarsi con le
argomentazioni della sentenza impugnata che ha adeguatamente e
compiutamente motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti della
condotta punibile per il reato di estorsione e delle condizioni di applicabilità
dell’aggravante del metodo mafioso (pagg. 34 e 35).

12.

Gottuso Francesco. Il Gup ha dichiarato non doversi procedere nei

confronti del Gottuso per intervenuta prescrizione del reato di trasferimento
fraudolento di valori contestato al capo 8 della rubrica. La Corte d’appello,
rigettando l’appello dell’imputato, ha confermato la sentenza di primo
grado. Gottuso Francesco ha proposto ricorso dolendosi di violazione di
legge e vizio della motivazione. Orbene l’impugnazione è inammissibile
poiché, secondo l’insegnamento di questa Corte, in presenza di una causa di
estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono rilevabili in sede
di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché
l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la
pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immediata
declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 cod. proc. pen., salvo
che nella sentenza impugnata si dia atto della sussistenza dei presupposti
per la pronunzia di assoluzione, sia pure ai sensi del secondo comma
dell’art. 530 cod. proc. pen., atteso che, nel vigente sistema processuale, la
assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto

17

le indagini difensive, riguardava proprio la eventuale costrizione subita dalla

equiparata alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più
favorevole rispetto a quella di estinzione del reato (Cass. Sez. 4, Sentenza
n. 40799 del 18/09/2008 Ud. (dep. 31/10/2008 ) Rv. 241474). Nel caso di
specie siamo in presenza di una doppia conforme che, al contrario, dà atto
della sussistenza di robusti elementi di prova a conferma dell’accusa
contestata al Gottuso. Di conseguenza la pronunzia di non doversi
procedere per estinzione del reato non può essere contestata.

Seidita Fausto. Per quanto riguarda il primo motivo con il quale

l’imputato contesta le conclusioni assunte dalla Corte palermitana in punto
di responsabilità per il reato associativo, le censure del ricorrente sono
destituite di fondamento. Il motivo, infatti, pur denunciando formalmente
violazione delle regole che governano la formazione della prova, costituisce,
con tutta evidenza, reiterazione delle difese di merito ampiamente e
compiutamente disattese dai Giudici di appello, oltre che censura in punto
di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione
degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a
giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere
discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in
sede di legittimità, se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e
congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.

14.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di valutazione della

prova, i riscontri esterni alle chiamate in correità possono essere costituiti
anche da ulteriori dichiarazioni accusatorie, le quali devono tuttavia
caratterizzarsi:
a) per la loro convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della
narrazione;
b) per la loro indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese
fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare il
valore della concordanza;
c)

per la loro specificità, nel senso che la c.d. convergenza del

molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la
persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che
non può pretendersi una completa sovrapponibilità degli elementi d’accusa
forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro
concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da

18

13.

decidere (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13473 del 04/03/2008
Ud.(dep.31/03/2008 ) Rv. 239744).

15.

Nel caso di specie la sentenza impugnata ha preso in

considerazione le obiezioni in materia di tenuta della prova dichiarativa,
fondata sulle dichiarazioni dei collaboratori Nuccio, Pulizzi, Bonaccorso e
Spataro, e le ha respinte con motivazione puntuale, priva di vizi logico
giuridici e coerente con i principi di diritto in materia di formazione della

delle dichiarazioni del Bonaccorso, del Pulizzi e dello Spataro circa la
condotta di latore di “pizzini” e di altre comunicazioni riservate che Seidita
Fausto svolgeva fra alcuni esponenti mafiosi, fra cui gli stessi collaboratori,
ed il fratello Giancarlo – reggente del mandamento di Cruillas – ed ha
specificamente motivato sulla non circolarità delle informazioni fornite dai
collaboratori. La Corte, inoltre, ha risposto ai rilievi sollevati dall’appellante
circa l’episodio riguardante la latitanza del Franzese (cfr. pagg. 150-153).
Nessun dubbio può sussistere, pertanto, in ordine alla responsabilità di
Seidita Fausto per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso.

16.

Quanto al secondo motivo, con il quale viene contestato il valore

probatorio del contenuto della conversazione indiziante intercorsa fra
Maranzano e Bonura in data 27/3/2006, anche in questo caso le censure del
ricorrente sono destituite di fondamento. Infatti, secondo l’insegnamento di
questa Corte, il giudizio di colpevolezza, che superi ogni ragionevole dubbio,
ben può essere sostenuto da un compendio probatorio di natura indiziaria,
intendendosi per tale un complesso di prove esclusivamente indirette,
purché queste possano essere significative al pari della prova
rappresentativa, e ciò che qualifica l’indizio non è né la fonte né l’oggetto
della prova ma il suo contenuto ed il suo grado di persuasività (Cass. Sez.
1, Sentenza n. 47250 del 09/11/2011 Ud. (dep. 20/12/2011 ) Rv. 251502).

17.

Nel caso di specie la sentenza impugnata è coerente con tale

principio di diritto ed ha specificamente motivato, respingendo le eccezioni
dell’appellante, in ordine all’affidabilità delle informazioni fornite dalla
conversazione intercettata ed ha rilevato che

il fatto indiziario

rappresentato dalla conversazione intercettata ha trovato puntuale
conferma nella stipula del rogito con il quale il villino di San Vito Lo Capo

19

prova sopra richiamati. In particolare la Corte ha rilevato la convergenza

veniva intestato a Seidita Fausto.

18.

Ugualmente infondato è il quarto motivo con il quale il ricorrente

contesta la ricorrenza della circostanze aggravanti di cui ai commi IV e VI
dell’art. 416 bis cod. pen. Secondo l’insegnamento di questa Corte, la
circostanza aggravante prevista dai commi quarto e quinto dell’art. 416-bis
cod.pen. è integrata dalla mera disponibilità delle armi da parte
dell’associazione, indipendentemente dal fatto che essa configuri le ipotesi

necessariamente corrisponde all’attuale ed effettiva detenzione, e tanto
meno al porto, sia perché essa può riguardare perfino armi legalmente
detenute, con la conseguenza che l’associazione mafiosa armata non è un
reato complesso nel quale possono restare assorbiti l’illegale detenzione o
porto di armi (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2833 del 27/09/2012 Ud. (dep.
18/01/2013 ) Rv. 254295). Con specifico riferimento al sodalizio mafioso
denominato “Cosa Nostra”, questa Corte ha statuito che non si espone a
censura la sentenza del giudice di merito che ritenga sussistente
l’aggravante della disponibilità delle armi di cui all’art. 416-bis, comma
quarto, cod. pen., quando il delitto associativo sia contestato agli
appartenenti di una “famiglia” mafiosa aderente all’organizzazione
denominata “cosa nostra”, anche nel caso in cui la disponibilità delle armi
sia provata a carico di un solo appartenente.(Cass. Sez. 6, Sentenza n.
11194 del 08/03/2012 Cc. (dep. 22/03/2012) Rv. 252177).

19.

A questo riguardo la Corte territoriale ha riconosciuto la sussistenza

di entrambe le aggravanti, osservando che lo stesso contesto associativo in
cui si è mosso Seidita Fausto «ha interessato anche i Lo Piccolo, risultati
in possesso dell’arsenale di armi rinvenuto a Villa Malfitano e dagli anni 70
impegnati, come i maggiori esponenti dell’opposta fazione (i Rotolo, i
Bonura, etc.) in operazioni di reimpiego di proventi illeciti in iniziative
imprenditoriali, in particolare nel settore dell’edilizia con conseguente
condizionamento dei trasferimenti delle aree edificabili e dell’attribuzione
dei lavori relativi a tanti appalti e costruzioni». Quanto alla sussistenza
dell’elemento soggettivo in testa al Seidita, vale a dire la consapevolezza
del carattere di associazione armata di Cosa Nostra e del reimpiego dei
proventi illeciti in iniziative imprenditoriali, la Corte ha correttamente
motivato, osservando che «tale realtà sotto gli occhi di tutti gli associati

20

delittuose di porto e detenzione, sia perché la disponibilità non

da moltissimi anni e della stessa opinione pubblica non può essere ignorata
tanto meno senza colpa dal Seidita, a carico del quale, pertanto, ai sensi
dell’art. 59 cod. pen., come precisato dal primo giudice debbono valutarsi le
suddette circostanze oggettive».

In proposito – contrariamente a quanto

eccepito dalla difesa – deve escludersi che la Corte territoriale abbia
dedotto la circostanza oggettiva del reimpiego di capitali illeciti in attività
economiche di cui il sodalizio mira ad assumere il controllo, sulla base di
una mera presunzione sociologica fondata sul carattere criminale

ha richiamato l’attività di reimpiego dei profitti illeciti da parte dei Lo Piccolo
e dei principali esponenti dell’opposta fazione (i Rotolo, i Bonura, etc.) in
iniziative imprenditoriali, in particolare nel settore dell’edilizia, con
conseguente condizionamento dei trasferimenti delle aree edificabili e
dell’attribuzione dei lavori relativi agli appalti delle costruzioni. La Corte
quindi non ha fatto riferimento a presunzioni di sociologia criminale circa la
natura di Cosa Nostra, ma si è riferita ai profili concreti di ingerenza
nell’attività economica, in particolare edilizia, di esponenti di spicco
dell’associazione mafiosa, di cui vi è traccia agli atti di questo processo. Di
conseguenza la motivazione della sentenza impugnata giustifica
l’applicazione al prevenuto dell’aggravante di cui al sesto comma dell’art.
416 bis cod. pen.

20.

Infine è manifestamente infondato il quarto motivo in punto di

diniego delle attenuanti generiche e di dosimetria della pena, in quanto la
Corte ha respinto la richiesta di concessione delle generiche e di mitigazione
della pena con motivazione congrua e coerente con i principi di cui agli artt.
133 e 62 bis cod. pen., osservando che «il disvalore desumibile dalla
condotta di partecipazione ad un’associazione mafiosa, armata, di
eccezionale pericolosità qual’è Cosa Nostra, a fianco di esponenti assai attivi
e qualificati, giustifica il diniego di attenuanti generiche».

21.

Vaccaro Pietro. Quanto al primo motivo le censure in punto di

sussistenza degli estremi del tentativo punibile per il delitto di estorsione
sono destituite di fondamento. Valgono al riguardo le stesse osservazioni
svolte con riferimento alla posizione di Rotolo Antonino. In punto di diritto,
la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle
conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto

21

dell’associazione denominata Cosa Nostra, in quanto la sentenza impugnata

organico ed inscindibile, una sola entità logico- giuridica, alla quale occorre
fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il
giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può
limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del
fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure.
In applicazione di tali principi, può osservarsi che, con riferimento alla
posizione del Vaccaro, la sentenza di secondo grado recepisce in modo
critico e valutativo la sentenza di primo grado, correttamente limitandosi a

oggetto di valutazione critica da parte della difesa.

22.

la Corte territoriale ha preso in considerazione i principali argomenti

sollevati dalla difesa del Vaccaro e li ha respinti, confutandoli con
motivazione congrua e priva di vizi logici. In particolare la Corte ha rilevato
che, seppure la persona offesa, il Di Stefano, nella sua deposizione abbia
tentato di ridimensionare il significato estorsivo delle richieste di “regali”
ricevute dal Vaccaro, tuttavia dalle conversazioni intercettate emergeva
chiaramente che il Di Stefano, rivolgendosi al Bonura per ben due volte,
mostrasse di rendersi conto di essere tenuto all’osservanza della regola del
“pizzo” imposta dai locali esponenti mafiosi. Quindi la Corte palermitana
correttamente ha concluso (pag. 30) che «il Vaccaro, facendosi di nuovo
vivo con il Di Stefano per rappresentargli la pretesa della “messa a posto”,
forniva con piena consapevolezza l’apporto causale alla condotta delittuosa,
tradottosi nel consentire agli esponenti mafiosi di agganciare la vittima e
conseguentemente di inoltrarle la richiesta di denaro senza esporsi in prima
persona».

Orbene è indubitabile che le ripetute richieste del Vaccaro di

«fare un regalo a chiddi da sutta» riscontrano i caratteri della minaccia
implicita (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11922 del 12/12/2012 Cc. (dep.
14/03/2013 ) Rv. 254797), idonea a coartare la volontà della persona
offesa, proprio per il contesto mafioso in cui viene formulata.

23.

Per tali motivi deve essere respinto anche il secondo motivo di

ricorso del Vaccaro in tema di art. 7 D.L. 152/91. La sussistenza
dell’aggravante della finalità di agevolare l’associazione mafiosa emerge
proprio dal ruolo assunto dal ricorrente il quale ha operato proprio al fine di
consentire agli esponenti dell’associazione mafiosa di agganciare la vittima
senza esporsi direttamente.

22

ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio

24.

Troia Massimo Giuseppe. Quanto al primo motivo in punto di non

sufficienza o idoneità degli elementi di prova per affermare la penale
responsabilità del Troia in ordine al reato di cui all’art. 12 quinquies D.L.
356/92, le censure del ricorrente sono destituite di fondamento. Al riguardo
valgono le osservazioni sviluppate sopra, con riferimento alla posizione di
Seidita Fausto. In particolare, quanto all’obiezione del ricorrente che
contesta che – all’epoca dei fatti – egli fosse un importante esponente di

censura in fatto che non può essere presa in considerazione in sede di
legittimità, ove non venga dedotto e documentato il travisamento della
prova. Pertanto non possono sussistere dubbi sull’esistenza del dolo
specifico richiesto dalla norma per l’integrazione della fattispecie legale di
cui all’art. 12 quinquies.

25.

Deve essere ugualmente respinto il secondo motivo in punto di

diniego di concessione delle attenuanti generiche. La Corte ha negato le
attenuanti generiche con una motivazione congrua e perfettamente logica,
richiamando l’allarmante personalità criminale del soggetto, ben evidenziata
dal ruolo da lui assunto all’interno di Cosa Nostra. Tale motivazione è
perfettamente coerente con i principi dettati dagli artt. 133 e 62 bis cod.
pen.

26.

Sbeglia Francesco Paolo. Il primo motivo in punto di inutilizzabilità

delle intercettazioni in atti è inammissibile. Il ricorrente si duole che la Corte
d’appello abbia dichiarato inammissibili le sue censure alla validità dei
decreti 2401/03, 8/05 e 2424/05, però non fornisce alcuna indicazione sui
vizi che renderebbero nulli tali decreti, limitandosi a riportarsi per
relationem ai motivi d’appello (da pag. 3 a pag.22). In effetti il giudice di
primo grado aveva analizzato le censure sollevate dalla difesa in ordine alla
validità dei tre decreti di cui sopra, respingendole con motivazione specifica.
La Corte territoriale nel dichiarare inammissibile il motivo d’appello ha
osservato che «nella sentenza di primo grado (pagg. 35 — 38) ci si è
ampiamente soffermati, in un apposito paragrafo intitolato “Le altre
eccezioni sulle intercettazioni”, a confutare i rilievi difensivi sul punto in
forza di argomentate e specifiche considerazioni concernenti i singoli decreti
e le modalità operative di cui si è ritenuta la ritualità. Sicché, a fronte di una

23

Cosa Nostra, come argomentato dai giudici dell’appello, si tratta di una

motivazione al riguardo sicuramente non meramente apparente o limitatasi
al solo richiamo di formule di stile, i rilievi in proposito come sopra
riproposti per intero negli atti di appello, in osservanza del disposto di cui
all’art. 581 lett. c) c.p.p., avrebbero dovuto specificare quali particolari
obiezioni mosse nel corso del giudizio di primo grado non sarebbero state
neppure confutate o sarebbero state confutate in modo censurabile,
spiegandosene in tale ultimo caso le specifiche ragioni>>. In effetti delle
censure specifiche alle argomentazioni con le quali il giudice di primo grado

tre decreti autorizzativi contestati non sono state articolate neppure nel
ricorso, che si è limitato a dolersi delle conclusioni assunte sul punto dalla
Corte territoriale, richiamando genericamente i motivi d’appello. Per quanto
riguarda, poi, le censure sollevate sull’utilizzabilità dei risultati delle video
riprese, la questione non ha pregio, dal momento che nel compendio
motivazionale non c’è alcun riferimento alle videoriprese, né il ricorrente ha
indicato in cosa le videoriprese incidano sulla formazione della prova. Di
conseguenza il motivo deve essere dichiarato inammissibile per aspecificità,
a norma dell’art. 581, lett. c) cod. proc. pen.

27.

Per quanto riguarda il secondo motivo in punto di ricorrenza dei

presupposti della condotta punibile per il reato di cui all’art. 416 bis cod.
pen, le censure del ricorrente sono destituite di fondamento. Dalla lettura
della sentenza impugnata si deve escludere che la Corte territoriale abbia
fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato sulla base di un facile
sillogismo per cui l’imprenditore che abbia avuto contatti con soggetti
mafiosi, deve conseguentemente ritenersi un imprenditore colluso con la
mafia. Al contrario la motivazione della sentenza impugnata , richiama
specificamente una serie di contatti dello Sbeglia con “uomini d’onore” e
personaggi di rilievo del sodalizio criminale (Bonura, Rotolo, Cinà, etc.)
soffermandosi sulle specifiche caratteristiche e sulle modalità delle attività
imprenditoriali gestite in cooperazione e sotto il controllo del sodalizio
mafioso. Attraverso questo percorso argomentativo la Corte ha ben chiarito
quali vantaggi abbia tratto l’associazione mafiosa, precisando che: «detti
vantaggi sono stati perseguiti concretamente in vario modo tramite: il
preventivo riconoscimento di contribuzioni in favore delle “famiglie” del
luogo in cui si svolgevano i lavori (come avvenuto inizialmente per quelli
avviati a Carini); la preferenza accordata nelle forniture e nei subappalti ad

24

ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni per nullità dei

altre imprese vicine agli esponenti mafiosi (si considerino le discussioni sul
calcestruzzo e sulla ditta di movimento terra facente capo al Cancemi); il
favorire l’ingresso diretto di imprese di quel genere in lucrosi affari
(esemplificativo a tal riguardo sono le vicende relative alla società
intervenuta con genero del Bonura); il garantire la partecipazione agli utili
in favore dei capimafia nelle condizioni di imporre l’acquisizione dei lavori e
di farsi autorevoli portavoce degli interessi dello Sbeglia rispetto ad altri
esponenbti mafiosi (in ciò si è manifestato ripetutamente l’intervemnto di

richieste mafiose ad altre imprese (si ricordi quanto emerso sulle pretese
nei confronti delle altre due società dell’ATI aggiudicataria dei lavori per il
Parco d’Orleans)».

Alla luce di tali elementi, correttamente la sentenza

conclude che dagli atti emerge: «una disponibilità incondizionata dello
Sbeglia che si è posto stabilmente ed in modo organico a servizio degli
interessi di Cosa Nostra in un settore strategico per il suo mantenimento in
vita ed il raggiungimento dei suoi fini, tramite il condizionamento mafioso
ad attività imprenditoriali ed il conseguente accesso continuo a vantaggi
economici quanto mai rilevanti».

Va da sé che i vantaggi conseguiti dalla

consorteria mafiosa sono strettamente intrecciati ai vantaggi conseguiti
dall’imprenditore colluso che ha ottenuto il via libera e la protezione
dell’ambiente mafioso per i lucrosi lavori edilizi sviluppati dalle imprese dal
medesimo gestite. E’ indubitabile, pertanto, che nella fattispecie debba
essere riconosciuta l’intraneità dell’imprenditore colluso all’associazione
mafiosa.

28.

Ugualmente infondate sono le censure sollevate con il terzo motivo

in punto di sussistenza delle aggravanti di cui al IV e VI comma dell’art. 416
bis cod. pen. A questo riguardo valgono le osservazioni già sviluppate con
riferimento alla posizione del coimputato Seidita Fausto. Si confrontino in
proposito le sentenze già citate di questa Corte (Cass. Sez. 2, Sentenza n.
2833 del 27/09/2012 Ud. (dep. 18/01/2013 ) Rv. 254295; Sez. 6,
Sentenza n. 11194 del 08/03/2012 Cc. (dep. 22/03/2012 ) Rv. 252177).
Anche su questo punto la motivazione della sentenza impugnata è specifica
e coerente con gli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte.

29.

Per quanto riguarda le censure sollevate con il quarto motivo in

relazione all’art. 12 quinquies L. n. 356/92 e 7 D.L.156/91, le obiezioni del

25

Rotolo e soprattutto di Cinà); il rendersi disponibile a fare da tramite per le

ricorrente riprongono le stesse questioni già sollevate con i motivi d’appello
che la Corte territoriale ha specificamente esaminato confutandole con
motivazione congrua, priva di vizi logico-giuridici e coerente con la
giurisprudenza di questa Corte. In particolare la Corte palermitana ha
correttamente riconosciuto la sussistenza del dolo specifico in testa
all’agente osservando che:

«Sbeglia Francesco Paolo aveva più che

fondati motivi per ritenere di correre il pericolo dell’avvio di un
procedimento di prevenzione riguardante i beni a lui riferibili destinati

considerqazione del passaggio in giudicato della condanna per il reato di
riciclaggio che, seppure per fatti non vicini nel tempo, aveva riguardato il
reimpiego in detto settore di proventi illeciti di boss mafiosi all’epoca di
primo piano. (..) Ad ogni modo la stessa condotta di cui detto imputato in
quel periodo era artefice, lo poneva ad evidente rischio della sottoposizione
al procedimento di prevenzione poiché indiziato di appartenenza ad
associazione mafiosa proprio a motivo del fatto di portare avanti ancora una
volta attività economiche messe a servizio di Cosa Nostra in modo duraturo
ed assai ramificato sul territorio».

30.

Quanto agli elementi oggettivi da cui trarre la prova dell’intestazione

fittizia della Rekoa s.r.I., della Immobiliare Palagio s.r.l. e della Domè s.r.I.,
la sentenza impugnata sviluppa un’articolata motivazione, prendendo in
considerazione tutte le obiezioni sollevate dall’appellante e respingendole
con motivazione congrua, specifica e priva di vizi logico-giuridici, come tale
incensurabile in questa sede.

31.

Anche le censure sollevate con il quinto motivo in punto di

sussistenza dell’aggravante speciale di cui all’art. 7 D.L. 152/91 sono
destituite di fondamento. La Corte palermitana ha compiutamente
argomentato in ordine al percorso di imprenditore colluso con la mafia
attuato dall’imputato. Nell’ambito di tale percorso rileva, ex sé, la finalità di
favorire il sodalizio mafioso sottesa alle operazioni di trasferimento
fraudolento di valori.

32.

Sono manifestamente infondate le censure sollevate con il sesto ,

settimo motivo e ottavo motivo riguardanti il diniego delle generiche e la
dosimetria della pena. Al riguardo la motivazione della Corte territoriale sul

26

(..:2._/•—____,

7

all’esercizio di imprese nel settore dell’edilizia. In primo luogo in

punto, lungi dall’essere una mera clausola di stile, sviluppa argomenti
concreti, osservando che, malgrado la condanna per riciclaggio, appena
riacquistata la libertà il prevenuto ha riallacciato contatti criminali con
esponenti di vertice di Cosa Nostra. Pertanto essa sfugge ad ogni censura
anche in punto di dosimetria della pena, avendo la Corte specificamente
motivato sul punto.

33.

Per quanto riguarda le censure sollevate con l’ultimo motivo con il

quale il ricorrente si duole della confisca della metà della quota del capitale
sociale della Domè s.r.l. intestata a Sbeglia Marcello, nonché della quota del
20% del capitale sociale della Palagio s.r.l. da prelevarsi in proporzione delle
rispettive quote dagli intestatari Chiazzese Francesco, Emanuele e Valeria,
soggetti risultati estranei alle condotte di fittizia intestazione dei beni in
parola, le stesse sono inammissibili per carenza d’interesse. Saranno i
diretti interessati che potranno dolersi della confisca e chiederne la revoca
al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen. Di
conseguenza il ricorso di Sbeglia Francesco Paolo deve essere rigettato.

34.

Sbeglia Francesco. Il primo motivo in punto di inutilizzabilità delle

intercettazioni in atti è inammissibile per le stesse ragioni già esposte con
riferimento all’analogo motivo di ricorso sollevato da Sbeglia Francesco
Paolo, alle quali si rinvia; in ogni caso tale questione rimane assorbita sulla
base delle considerazioni che seguono.
35.

Per quanto riguarda il secondo motivo, le censure sono inammissibili

poiché, secondo l’insegnamento di questa Corte, in presenza di una causa di
estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono rilevabili in sede
di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché
l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la
pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immediata
declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 cod. proc. pen., salvo
che nella sentenza impugnata si dia atto della sussistenza dei presupposti
per la pronunzia di assoluzione, sia pure ai sensi del secondo comma
dell’art. 530 cod. proc. pen., atteso che, nel vigente sistema processuale, la
assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto
equiparata alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più
favorevole rispetto a quella di estinzione del reato (Cass. Sez. 4, Sentenza
n. 40799 del 18/09/2008 Ud. (dep. 31/10/2008 ) Rv. 241474). Nel caso di

27

il_.-2■—

specie siamo in presenza di una condanna in primo grado e di una
pronunzia in grado d’appello che, al contrario, danno atto della sussistenza
di robusti elementi di prova a conferma dell’accusa contestata a Sbeglia
Francesco. Di conseguenza la pronunzia di non doversi procedere per
estinzione del reato non può essere contestata.

36.

Infine deve essere respinto anche il terzo motivo in punto di confisca

della quota del capitale sociale della Rekoa s.r.l. intestata a Sbeglia

motivato, osservando che:

«dalle risultanze già evidenziate è emerso

chiaramente che la partecipazione societaria di Sbeglia Francesco
rappresenta l’essenza della sua condotta delittuosa in favore del padre che
se ne è servito per realizzare anche i fini associativi, senza che in tale
ambito funzionale possa enudearsi, seppure idealmente, una parte lecita
della titolarità delle quote sociali>>.

Tale conclusione è frutto di una

valutazione in fatto rispetto alla quale non sarebbe ammissibile una diversa
valutazione da parte di questa Corte. Di conseguenza il ricorso di Sbeglia
Francesco deve essere dichiarato inammissibile.

37.

Maranzano Antonino. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso,

la questione processuale sollevata è del tutto infondata. Come risulta dallo
stesso ricorso, il Gip di Palermo ha emesso un decreto di archiviazione nei
confronti del medesimo Maranzano con riferimento al reato di cui all’art.
416 bis cod. pen. in data 10/4/2001. E’ evidente, pertanto, che tale decreto
riguardava fatti e condotte antecedenti al 10/4/2001. Pertanto è di palmare
evidenza che per procedere per fatti successivi (a far data dal 10/4/2001)
non era necessario alcun decreto di riapertura delle indagini poiché il
provvedimento autorizzatorio di cui all’art. 414 cod. proc. pen. si riferisce a
fatti già indagati coperti dal decreto di archiviazione e non può pregiudicare
il potere del P.M. di procedere ad atti di istruzione preliminare per fatti
successivi, che possono essere conosciuti e valutati anche alla luce del
pregresso comportamento dell’agente. Del resto sul punto si è chiaramente
espressa la giurisprudenza di questa Corte. In particolare è stato rilevato
che nell’ipotesi di reato permanente, l’efficacia preclusiva del decreto di
archiviazione impedisce soltanto che, in assenza di autorizzazione alla
riapertura delle indagini, si indaghi sul segmento temporale della condotta
illecita già presa in considerazione o che si utilizzino per lo stesso periodo gli

28

Francesco, in quanto la Corte territoriale sul punto ha adeguatamente

elementi probatori in precedenza acquisiti. (Cass. Sez. 5, Sentenza n.
17380 del 18/01/2005 Ud. (dep. 06/05/2005 ) Rv. 231780). Nella specie,
la Corte ha ritenuto legittimo l’esercizio dell’azione penale per il reato di cui
all’art. 416 bis cod. pen., posto che l’imputazione riguardava il segmento
temporale successivo al decreto di archiviazione e la formulazione della
accusa poggiava su risultanze probatorie acquisite autonomamente in epoca
successiva al provvedimento. Quindi la S.C., in una fattispecie
perfettamente sovrapponibile alla presente, ha ribadito che nell’ipotesi di

ai sensi dell’art. 414 cod. proc. pen. non preclude la possibilità di valutare i
comportamenti ed i fatti successivi all’archiviazione, che valgano a
dimostrare la consumazione del reato anche alla luce delle condotte
pregresse poste in essere dall’imputato (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 6547
del 10/10/2011 Ud. (dep. 17/02/2012) Rv. 252113).

38.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere trattati

congiuntamente in quanto entrambi si riferiscono alla contestata
responsabilità di Maranzano Antonino per il reato di partecipazione ad
associazione mafiosa. Il materiale probatorio in atti si basa essenzialmente
sulle intercettazioni di numerose e prolungate conversazioni del Maranzano
con Bonura Vincenzo, esponente di vertice di Cosa Nostra che vanta
un’esperienza fuori dal comune nel campo delle infiltrazioni mafiose nel
tessuto economico-imprenditoriale. La Corte d’appello, in conformità a
quanto già accertato dal primo giudice, dopo aver passato in rassegna tutti i
rapporti sviluppatisi fra il Bonura ed il Maranzano, arriva a concludere che le
risultanze istruttorie: «consentono di tratteggiare la figura del Maranzano
come quella di un soggetto postosi permanentemente e consapevolmente a
servizio degli interessi associativi, il quale operando come imprenditore li ha
fatti costantemente propri, rendendosi disponibile nel fondamentale settore
della “messa a posto” e della distribuzione delle commesse ad imprese
prescelte da Cosa Nostra e consentendo ad esponenti mafiosi del calibro del
Bonura e del Sansone di continuare ad operare in modo occulto le loro
infiltrazioni nel settore dell’edilizia in una condizione dominante avendo
costoro la possibilità di sfruttare le prerogative mafiose nel territorio
interessato. La stabilità di siffatti rapporti di “collusione”, aventi
fondamentale importanza per il perseguimento delle peculiari finalità di
Cosa Nostra, ha fatto sì che il Maranzano sia venuto ad occupare,

29

reato permanente, l’archiviazione non seguita dalla riapertura delle indagini

q,

consapevolmente e con il riconoscimento da parte degli interlocutori mafiosi
via via interessati, una posizione di intraneità nell’ordinario funzionamento
dei meccanismi associativi.».

39.

Nel suo percorso argomentativo la Corte palermitana ha preso in

considerazione le principali obiezioni sollevate dalla difesa dell’appellante e
le ha confutate con motivazione adeguata. In particolare la Corte ha
confutato la tesi che il rapporto intrattenuto dal Maranzano con il Bonura

adeguatamente motivando sul punto (fol. 70-73). Non risultano fondate, in
proposito, le censure di travisamento della prova sollevate dal ricorrente,
che non è stato in grado di indicare quando e dove la Corte abbia fondato il
suo convincimento su una prova che non esiste o su di un risultato di prova
palesemente diverso da quello reale, limitandosi – in sostanza – a
contestare l’interpretazione di alcuni passaggi nelle intercettazioni
richiamate dai giudici del merito. In proposito va ribadito che in materia di
intercettazioni telefoniche o ambientali, l’interpretazione del linguaggio e del
contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla
valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se
motivata, come nel caso di specie, in conformità ai criteri della logica e delle
massime di esperienza (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 11794 del 11/02/2013
Ud. (dep. 12/03/2013 ) Rv. 254439; Sez. 6, Sentenza n. 15396 del
11/12/2007 Ud. (dep. 11/04/2008 ) Rv. 239636; Sez. 6, Sentenza n.
35680 del 10/06/2005 Cc. (dep. 04/10/2005 ) Rv. 232576; Sez. 4,
Sentenza n. 40172 del 16/06/2004 Ud. (dep. 13/10/2004) Rv. 229568).
Va poi precisato che -contrariamente a quanto eccepito dalla difesa – la
motivazione della sentenza impugnata non ha attribuito al Maranzano la
qualifica di “uomo d’onore”, essendo tale questione irrilevante ai fini del
giudizio sull’intraneità dell’imprenditore colluso; in proposito la sentenza ha
osservato che:

«l’assunto accusatorio che riconduce i rapporti del

Maranzano con Cosa Nostra a quelli dell’imprenditore “colluso”, non
presuppone l’acquisizione o meno da parte dello stesso di quella qualifica di
uomo d’onore – sia essa “riservata” o no – di cui invece si discute più volte
nell’atto di impugnazione». Di conseguenza il terzo e quarto motivo di
ricorso devono essere rigettati in quanto infondati.

40.

Ugualmente infondate sono le censure sollevate con il quinto motivo

30

riguardasse un singolo soggetto e non l’organizzazione mafiosa,

in punto di applicazione dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/1991 con
riferimento al reato di cui all’art. 12 quinquies L. 356/1992. In proposito la
Corte d’appello ha specificamente e compiutamente argomentato sulla
sussistenza della natura teleologica della condotta di trasferimento
fraudolento obiettivamente caratterizzata dal fine di agevolare l’atività del
sodalizio mafioso. La Corte palermitata ha osservato come: «l’attività di
partecipazione a Cosa Nostra del Maranzano si è manifestata in un intreccio
di rapporti con esponenti mafiosi che, a mezzo dell’attività nel settore cui

mafioso, grazie a partecipazioni occulte, al controllo di forniture e dei
subappalti ed all’intermediazione nell’imposizione del “pizzo” ad altri
imprenditori. E proprio questo, stando a quanto emerso dalle discussioni su
molteplici vicende intercettate, ha inteso fare il Maranzano continuando ad
operare in maniera occulta attraverso la 3G con a fianco il Bonura
esponente di vertice del famiglia di Uditore che veniva a lucrare dalla
medesima attività e che, in accordo con detto imputato, progettava di
coinvolgervi anche Sansone Gaetano, altro uomo d’onore di primo piano
della zona in cui vi era intenzione di estendere le iniziative. Sicché non può
disconoscersi che nella specie la condotta delittuosa abbia oggettivamente
assunto quelle particolari caratteristiche che ne manifestano concretamente
il consapevole indirizzo verso l’agevolazione dell’attività del sodalizio
mafioso e che come tali sono sufficienti ad integrare la suddetta
aggravante».

41.

Risultano infondate anche le censure sollevate con il sesto motivo in

punto di confisca della somma in contanti sequestrata nell’abitazione
dell’imputato in cui si ipotizza che possa essere sfuggito alla Corte d’appello
l’esame della documentazione reddituale, relativa agli anni dal 2007 al
2009, che l’imputato ha allegato all’istanza di dissequestro. Tale tesi non è

era interessata la 3G, ha stabilmente supportato le finalità del programma

confermata dagli atti poiché la Corte territoriale nella motivazione dà atto
che la difesa ha eccepito che tale somma sarebbe frutto di redditi da lavoro.
Tuttavia la Corte supera l’argomento della compatibilità della somma
sequestrata con i redditi prodotti dall’imputato, osservando che: «che tale
somma, attesa la sua costituzione in banconote e custodia in casa in
assenza di qualsiasi giustificazione, è con evidenza riferibile a quei
movimenti di denaro fuori contabilità e pertanto non tracciabili desumibili
dalle conversazioni intercettate che hanno consentito al Maranzano di

31

s`•••L____,–…___

continuare a gestire in modo occulto le cointeressenze con i Bonura ed
architettare altre fittizie operazioni per prevenire gli effetti di nuove
iniziative di prevenzione. Di talché, anche di tale somma, in considerazione
della sua ingiustificata origine della sua destinazione a perpetuare la
condotta delittuosa, va disposta la confisca sussistendo i presupposti
previsti sia dall’art. 416 bis comma VII c.p. che dall’art. 12 sexies D.L.
306/1992>>. Le conclusioni della Corte palermitana sono ineccepibili in
punto di diritto e non possono essere oggetto di una differente valutazione

42.

Sono manifestamente infondate, infine, le censure sollevate con il

settimo motivo riguardanti il diniego delle generiche e la dosimetria della
pena. Al riguardo la motivazione della Corte territoriale sul punto è fondata
su una motivazione congrua avendo la Corte richiamato la eccezionale
pericolosità del sodalizio mafioso armato Cosa Nostra, elemento più che
sufficiente, alla luce dei principi di cui agli artt. 133 e 62 bis cod. pen. per
escludere le generiche. Per quanto riguarda la dosimetria della pena, La
Corte palermitana, accogliendo parzialmente l’appello ha proceduto alla
riduzione della pena inflitta. In punto di adeguatezza della pena non
sarebbe ammissibile un intervento in sovrapposizione argomentativa di
questa Corte rispetto alla valutazione formulata del giudice d’appello.

43.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – nell’ipotesi di
inammissibilità – anche al pagamento a favore della Cassa delle ammende
di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella
sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00
(mille/00) ciascuno. Cancemi Carmelo, inoltre, deve essere condannato
anche alla rifusione in favore della parte civile Fecarotta Armando delle
spese del grado, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del RG.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Gottuso Francesco e Sbeglia Francesco,
che condanna

al pagamento delle spese processuali e ciascuno al

32

da parte di questa Corte in punto di fatto.

versamento della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Rigetta i ricorsi di Rotolo Antonino, Cancemi Carmelo, Seidita Fausto,
Vaccaro Pietro, Troia Massimo Giuseppe, Sbeglia Francesco Paolo e
Maranzano Antonino, che condanna al pagamento delle spese
processuali;condanna, altresì, Cancemi Carmelo alla rifusione in favore
della parte civile Fecarotta Armando delle spese del grado, che liquida in
complessivi €.2.000,00, oltre IVA e CPA.
Così deciso, il 21 febbraio 2014
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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