Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10829 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 10829 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Ierace Riccardo, n. a Cinquefrondi il 12/10/1988;

avverso la ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, in data
16/08/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale G. Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. Papa, che ha concluso per l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO

1. Ierace Riccardo propone ricorso per cassazione avverso la ordinanza del
Tribunale del riesame di Reggio Calabria con cui è stata confermata, nel

procedimento penale n.6412/2012 R.G.N.R. DDA, l’ordinanza applicativa della
misura cautelare della custodia in carcere emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di
Reggio Calabria per i reati di cui agli artt. 74 (capo a) e 73 del d.P.R. n. 309 del

Data Udienza: 28/01/2014

1990 (capi I e m) e in materia di detenzione e porto in luogo pubblico di armi
(capo p).

2. Lamenta, con un primo motivo, insistendo nella eccezione già sollevata
dinanzi al Tribunale, la violazione degli artt. 27, 291 e 649 c.p.p. e la
conseguente nullità dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Premette che

fatti di cui ai suddetti capi di addebito; il G.i.p. presso il Tribunale di Palmi aveva
quindi emesso ordinanza di non convalida del fermo e contestuale ordinanza di
applicazione della custodia cautelare in carcere in ordine ai reati di cui ai capi I) e
m), riqualificata la condotta nel reato di offerta o messa in vendita di cocaina,
nonché p), quest’ultimo limitatamente alla condotta detentiva contestata, e
dichiarando la propria incompetenza limitatamente alla posizione di Bruzzese,
per il quale veniva ordinata la restituzione degli atti al P.M. ex art. 27 c.p.p.. A
fronte di tale ordinanza, non impugnata, la Procura distrettuale aveva quindi
richiesto al G.i.p. di Reggio Calabria l’emissione di nuova ordinanza per il reato di
cui al capo a), venendo inoltre emessa misura anche in relazione ai capi 1), m) e
p) per i quali non vi era stata nessuna richiesta ed in mancanza di una esplicita
trasmissione degli atti

ex art. 27 c.p.p; di qui, dunque, l’emissione del

provvedimento relativamente a fatti già oggetto di giudicato cautelare.

3. Con un secondo motivo lamenta la inutilizzabilità di tutte le intercettazioni
ambientali e di tutte le video riprese per inosservanza degli artt. 266, 267 e 268
c.p.p. avendo le ordinanze di convalida della autorizzazione recepito unicamente
la richiesta di autorizzazione avanzata dal P.M., a sua volta riferita alle
argomentazioni svolte dai verbalizzanti; nella specie i decreti non menzionano gli
elementi dei quali vengono desunti sufficienti indizi che giustificherebbero il
ricorso allo strumento di intercettazione né vengono indicate le ragioni
dell’urgenza che farebbero ritenere fondato il motivo per il quale dal ritardo
potrebbe derivare pregiudizio alle indagini; lamenta l’ulteriore inutilizzabilità
derivante dall’illegittimo impiego di apparati di intercettazione installati in luoghi
diversi da quelli della procura indagante e senza che tale uso sia stato
giustificato con provvedimento motivato; lamenta ancora la inutilizzabilità
derivante dalla violazione dell’articolo 268, commi 1 e 2, c.p.p. in relazione
all’art. 89 bis disp. att. c.p.p., non risultando dagli atti, unitamente al documento
cartaceo che avrebbe dovuto verbalizzare le operazioni di captazione, i
nominativi dei soggetti che hanno proceduto all’ascolto delle conversazioni,

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in data 26/06/2013 la Procura distrettuale aveva emesso decreto di fermo per i

rendendo tra l’altro non possibile il controllo giudiziale in ordine all’attendibilità
del riconoscimento delle voci che sarebbe avvenuto a seguito dell’ascolto.

4. Con un terzo motivo lamenta la violazione di legge e la mancanza, illogicità e
contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancanza delle condizioni ex
artt. 273 e 274 c.p.p. legittimanti l’applicazione della misura coercitiva in

appena 24 anni e incensurato cui è stato contestato di aver fatto parte del
sodalizio criminoso con il compito di manipolare presso la sua officina i veicoli
utilizzati dall’organizzazione per il trasporto dello stupefacente ed ha aggiunto
che il G.i.p. presso il Tribunale di Palmi ha ritenuto l’insussistenza dell’elemento
soggettivo per lo stesso non essendo tale ipotesi stata riscontrata dalle
risultanze in atti. Lo stesso collaboratore Basile non avrebbe mai fatto il nome di
Ierace non avendolo mai descritto fisicamente e non avendolo mai riconosciuto
in foto, pur sottopostagli dinanzi, come il gommista o il meccanico, sicché non è
dato comprendere quali elementi abbiano consentito di identificare in costoro
l’indagato; inoltre dall’informativa dei carabinieri di Taurianova emergerebbe che
il gestore della officina – autolavaggio considerata quale luogo dell’attività
contestata sarebbe da individuarsi in tale Fonte Michele e soprattutto che il
gommista dovrebbe identificarsi nella persona di Ierace Michele e non Ierace
Riccardo. Rileva ancora come l’indagato non abbia mai partecipato a incontri con
i sodali, non abbia mai partecipato a viaggi di sorta e non abbia mai utilizzato
cautele o particolari contatti telefonici; di qui la considerazione secondo cui le
dichiarazioni di Basile non potrebbero in alcun modo essere considerate
individualizzanti nei confronti di Ierace, che non viene né nominato né descritto.
Né sarebbe possibile valorizzare come riscontro il fatto che le macchine siano
state trovate manomesse, non emergendo che tale condotta sia stata tenuta
specificamente da Ierace; parimenti non sarebbe valorizzabile, né ai fini della
sussistenza della partecipazione al reato associativo né ai fini delle ulteriori
specifiche contestazioni, l’episodio, risultato da intercettazione ambientale, nel
quale l’indagato ebbe a rivolgersi, al fine di farsi restituire delle armi rubategli, a
Ieranò quale zio dei presunti ladri né sarebbe valorizzabile l’ulteriore episodio,
che, se vero, sarebbe del tutto comunque occasionale, circa l’offerta di
stupefacente fatta dall’indagato stesso sempre a Ieranò.
Contesta infine la sussistenza delle esigenze cautelari non avendo il giudice
tenuto conto della condizione di incensuratezza anche al fine di individuare la
misura cautelare per garantire al meglio le esigenze nel rispetto peraltro dei
principi costituzionali e non essendo in alcun modo possibile parlare di
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relazione a tutti i capi d’imputazione. Rileva che nella specie Ieraci è persona di

sistematicità di condotte illecite da parte di soggetto incensurato e lontano da
comportamenti violenti o minacciosi, come emerso dalle stesse indagini espletate
per lungo tempo.

5. Quanto al primo motivo di ricorso, risulta in effetti dagli atti che il G.i.p.
presso il Tribunale di Palmi, investito dal P.M. di Reggio Calabria della richiesta di
convalida del fermo e di applicazione della custodia cautelare in carcere nei
confronti di Bruzzese Giuseppe, Giovinazzo Andrea e Ierace Riccardo ebbe, in
data 30/06/2013, ad emettere la misura, nei confronti di Bruzzese, per i reati
sub a) (art. 74), c) (art. 73) ed f) (art. 73), nei confronti di Ierace per i reati sub
I) (art. 73), m) (art. 73) e p) (artt. 2, 4 e 7 I. n. 895 del 1967) e nei confronti di
Giovinazzo per i reati sub I) e m); lo stesso G.i.p. ebbe poi a ritenere di dovere,
in accoglimento della richiesta per il reato associativo nei confronti di Bruzzese,
tale da spostare la competenza di tutti i reati a lui contestati in capo al G.i.p. di
Reggio Calabria, declinare la propria competenza e trasmettere gli atti a
quest’ultimo ex art. 27 c.p.p., mentre ritenne, avendo rigettato analoga richiesta
per Ierace e Giovinazzo, di essere competente per i reati sub I), m) e p) e di non
dovere effettuare quindi alcuna trasmissione ex art. 27 cit.
Risulta ancora (questa volta dalle premesse dell’ordinanza del G.i.p. di Reggio
Calabria) che, successivamente, in data 11/07/2013, il P.M. di Reggio Calabria,
senza impugnare il provvedimento di rigetto del G.i.p. di Palmi ebbe a richiedere
al G.i.p. di Reggio Calabria la emissione di ordinanze di applicazione della misura
della custodia di contenuto analogo rispetto a quelle già emesse dal Gip di Palmi
per tutti gli indagati (e dunque anche per Giovinazzo e Ierace per i quali detto
G.i.p. non si era dichiarato incompetente) e l’applicazione della misura anche per
i reati di cui al capo a) nei confronti di Giovinazzo e Ierace per i quali analoga
richiesta era stata rigettata dal G.i.p. di Palmi. Il G.i.p. di Reggio Calabria
emetteva allora la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti in
particolare di Ierace per i delitti di cui ai capi a), I), m) e p) e nei confronti di
Giovinazzo Andrea per i reati di cui ai capi a), I) e m).
Il Tribunale del riesame, investito della eccezione relativa alla violazione del
principio della domanda cautelare in relazione ai reati di cui ai capi I), m) e p) nei
confronti di Giovinazzo (per i quali già era stata emessa la misura dal G.i.p. di
Palmi), riteneva che, in presenza della domanda del P.M. di confermare la
misura, nessuna violazione vi fosse stata e, quanto alla misura emessa per il
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CONSIDERATO IN DIRITTO

reato sub a), non riscontrava alcuna violazione del giudicato cautelare giacché il
giudicato doveva presupporre l’esaurimento dei relativi mezzi di impugnazione e
non anche la mancata attivazione di tali strumenti.
Ciò posto, è infondata la censura con cui si lamenta la violazione del “giudicato
cautelare” sia con riferimento alla emissione di ordinanza per il reato per il quale
una precedente richiesta era stata rigettata, sia con riferimento ai reati per i

tenersi conto del fatto che la formazione del giudicato cautelare presuppone,
evidentemente, che la nuova richiesta di misura venga formulata innanzi al
medesimo giudice cui era stata avanzata la precedente posto che, diversamente
ragionando, resterebbe preclusa la possibilità, invece insita, ad esempio, nelle
disposizioni di cui agli artt. 54 e 55 c.p.p., di interessare, in ragione di una
migliore individuazione della competenza per materia, e della trasmissione degli
atti da un P.M. all’altro, un nuovo giudice diverso dal primo.
Del resto, se è vero che questa Corte ha già affermato che l’omessa
impugnazione dell’ordinanza reiettiva della richiesta di applicazione di una
misura restrittiva dà luogo alla formazione del giudicato cautelare, che preclude
la reiterazione della richiesta laddove la stessa non sia fondata su elementi nuovi
(Sez. 6 n. 13083 del 09/02/2011, P.M. in proc. Docea, Rv. 249845), ciò ha fatto,
appunto, proprio in relazione alla reiterazione della richiesta sempre innanzi al
medesimo giudice.
Allo stesso modo, proprio a riprova della ultronea invocazione di un giudicato, si
è affermato non sussistere conflitto positivo di competenza tra il G.i.p.
originariamente competente, che ha emesso il provvedimento cautelare, e il
G.i.p. che sia stato richiesto dell’emissione di nuova misura cautelare, non
essendovi “contemporanea” cognizione dello stesso fatto, bensì una diacronica
investitura di giudici diversi (Sez. 1, n. 23977 del 27/05/2008, confl. comp. in
proc. Avagliano, Rv. 240346 e Sez. 4, n. 24385 del 13/03/2003, Pintus, Rv.
225337), a nulla rilevando che nella specie, peculiarmente caratterizzata dalla
intersecazione, con gli ordinari profili di competenza per territorio, della
competenza funzionale di cui all’art. 390 c.p.p., e della competenza distrettuale
di cui all’art. 328, comma 1 bis, c.p.p. l’ufficio del P.M. sia sempre quello facente
capo al Tribunale del capoluogo del distretto. Nella specie, infatti, mentre la
prima richiesta di misura coercitiva venne rivolta ex artt. 390 e 391 c.p.p. al
G.i.p. del Tribunale di Palmi, in quel momento competente in ragione del luogo
dell’intervenuto fermo degli indagati, la seconda è stata correttamente rivolta al
G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria stante la competenza di questi, non posta
in discussione neppure dal ricorrente, determinata, per la presenza, tra i reati
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quali, invece, era già stata adottata analoga misura coercitiva; deve infatti

contestati, anche di quello ex art. 74 c.p.p., a norma dell’art. 328, comma 1 bis,
c.p.p. Non vi è dubbio infatti che la fattispecie di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309
del 1990 rientra tra i reati ex art. 51, comma 3 bis, c.p.p., per i quali l’art. 328,
comma 1 bis, c.p.p. attribuisce le funzioni di giudice per le indagini preliminari al
magistrato del Tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il
giudice competente (ovvero, nella specie, al G.i.p. presso il Tribunale di Reggio

misura coercitiva sia stata rigettata non vale certo a far venire meno la
competenza funzionale ai fini della individuazione, dovendo la competenza
essere individuata, secondo i criteri generali, cui anche l’art. 328 cit. non può
non fare riferimento, sulla base dei reati in ordine ai quali si proceda e non,
evidentemente di soli quelli per i quali la misura sia stata applicata (cfr., Sez. 4,
n. 40332 del 04/10/2007, Picillo, Rv. 237788).

6. Il secondo motivo è inammissibile, stante il consolidato principio secondo cui
è onere del ricorrente, che lamenti l’inutilizzabilità dei risultati delle
intercettazioni effettuate, indicare specificamente l’atto asseritamente affetto dal
vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo
trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel
giudizio di cassazione (Sez. 2, n. 24925 dell’11/04/2013, Cavaliere e altri, Rv.
256540 e Sez. 2, n. 25315 del 20/03/2012, Ndreko e altri, Rv. 253073). Nella
specie, nessuna indicazione in tal senso è stata operata dal ricorrente.
Quanto poi alla lamentata omessa indicazione, nei verbali, dei nominativi del
personale che ha proceduto all’ascolto delle conversazioni, va in ogni caso
ricordato anche che la sanzione d’inutilizzabilità degli esiti di intercettazioni
telefoniche, stante il principio di tassatività, non può essere dilatata sino a
comprendervi l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 89 disp. att. c.p.p.,
non espressamente richiamato dall’art. 271 (cfr., proprio con riferimento alla
mancanza di indicazioni, nel verbale delle operazioni, dei nominativi delle
persone che hanno preso parte ad esse, Sez. 1, n. 8836 del 02/12/2009,
Bragaglio e altri, Rv. 246377; Sez. 4, n. 49306 del 17/09/2004, Cao ed altri, Rv.
229922).

7. Quanto al terzo motivo, volto a censurare la motivazione resa dall’ordinanza
impugnata con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati indicati
in premessa, lo stesso può ritenersi fondato limitatamente alla motivazione
svolta dall’ordinanza in ordine alla ritenuta partecipazione di Ierace, sotto il

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Calabria) e che la circostanza che, rispetto a tale reato, la eventuale richiesta di

profilo gravemente indiziario, al sodalizio finalizzato al traffico illecito di sostanze
stupefacenti provvisoriamente addebitato nel capo d’imputazione sub a).
Va ricordato che allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito
di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti

delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a
carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante
la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi
di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n.
26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del
03/05/2007, Terranova, Rv. 237012; Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv.
215828).
Nella specie il provvedimento impugnato ha ritenuto di individuare nell’indagato
la figura di colui che, secondo le dichiarazioni rese nel procedimento dal
collaboratore Basile Carmelo, aveva il compito, in un’officina sita nei pressi di
una rotatoria e di una fontana in Cinquefrondi, di allestire all’interno degli
autoveicoli destinati a trasportare cocaina, mediante operazioni di smontaggio e
successivo rimontaggio, vani appositamente finalizzati a tale scopo, in tal modo
partecipando, appunto, alla associazione a delinquere in oggetto; infatti, pur non
avendo il Basile mai indicato il nome di detta persona, l’ordinanza ha posto in
rilievo la circostanza dell’accertata gestione, da parte di Ierace Riccardo, insieme
al padre Ierace Orazio e al fratello Ierace Michele, del distributore di carburante
Tamoil posto accanto alla ex officina di tale Misiti Francesco; ha aggiunto che
Ierace è stato poi riconosciuto da Basile, in una fotografia allo stesso esibita,
come la persona che, in compagnia di Ieranò Rocco Francesco e Giovinazzo
Raffale, in occasione di una visita al ristorante “il fungo” effettuata per
visionare dello stupefacente da trasportare nel mantovano, aveva stazionato
innanzi al locale nel ruolo di “sentinella”.
Ciò posto, e considerato che lo stesso pur provvisorio addebito di cui
all’ordinanza applicativa della misura in atti mostra di ritenere determinante, ai
fini della contestata partecipazione al sodalizio criminoso, proprio la attività di
predisposizione delle autovetture, posto che una tale condotta avrebbe fornito
uno stabile ausilio nella realizzazione degli scopi illeciti, non risulta tuttavia
spiegato perché, atteso che Basile non ha mai fatto il nome né fornito descrizioni
fisiche di detto gommista, quest’ultimo dovrebbe individuarsi, a fronte, a quanto
pare di comprendere, di una stessa attività svolta, oltre che dall’indagato, anche
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che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto

dal fratello e dal padre, in Ierace Riccardo e non in una delle altre due persone,
tanto più deducendo il ricorrente che dall’informativa dei carabinieri di
Taurianova sarebbe emerso che il gommista avrebbe dovuto, in realtà,
identificarsi nella persona di Ierace Michele; né l’ordinanza risulta confutare la
circostanza, secondo il ricorrente dedotta in memoria difensiva presentata avanti
al Tribunale, per cui la “ex officina” di Misiti Francesco, posta, a quanto pare di

forse ancor più, in astratto idonea a porre in essere una condotta del tipo di
quella contestata, avrebbe in realtà funzionato sino al 28/06/2013 e, dunque, in
un periodo di tempo ancora compatibile con la commissione del fatto in oggetto.
Né la assiduità di frequentazioni o la particolare confidenzialità di rapporti con gli
altri indagati Giovinazzo e Ieranò, sottolineata dall’ordinanza in più parti, con
riferimento in ispecie a fatti che non paiono risultare annoverabili neppure tra i
reati – fine dell’associazione (ci si vuole riferire in particolare alle condotte del
01/06/2013 di cui ai capi le me alla condotta del 25/04/2013 di cui al capo p
che rendono evidente, nella stessa interpretazione data dal Tribunale, come
Ierace si sia in entrambe le occasioni mosso per tutelare interessi personali o, al
più, estesi a Giovinazzo) possono dare motivatamente conto della sintomaticità
di una partecipazione ad un sodalizio illecito e non anche di condotte di mero
concorso con terzi nella realizzazione di reati determinati.
In tale complessivo contesto la motivazione impiegata non pare dunque dare
conto, in maniera logica e coerente rispetto anche alle deduzioni difensive, della
natura di gravità, necessaria per l’adozione della misura coercitiva, degli indizi
relativi alla partecipazione al reato di cui all’art. 74 cit..; di qui la necessità di
annullamento dell’ordinanza per nuovo esame sul punto.

7.1. Ad una diversa conclusione deve invece giungersi con riferimento alla
motivazione spesa dal provvedimento impugnato con riferimento alla riferibilità
all’indagato delle condotte di cui ai capii, m e p già indicati in premessa.
Quanto agli addebiti di cui al capo I e m, peraltro relativi alla ricezione e alla
conseguente illecita detenzione ai fini di spaccio del medesimo quantitativo di
marijuana (giusta la precisazione sul punto della natura dello stupefacente
effettuata dal Tribunale), l’ordinanza ha posto in rilievo il contenuto della
intercettazione ambientale relativa alla conversazione intervenuta 1’1/06/2013 in
Cinquefrondi presso l’ex ristorante “il Fungo”, di proprietà dei genitori di Ieranò
Francesco, tra Ierace e Giovinazzo Andrea da una parte e Ieranò Rocco
Francesco, dall’altra, essendosi i primi due rivolti al terzo per mostrargli lo
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comprendere, in adiacenza al distributore di carburante Tamoil e anch’essa, o

stupefacente ricevuto il giorno prima ed essere da lui aiutati a rivenderlo; ha a
ciò aggiunto le dichiarazioni rese dallo stesso Ieranò in ordine al motivo di tale
incontro e di altri due, appunto relativi ad un quantitativo di marijuana di dieci
chilogrammi, ricevuto dai due (e di cui gli stessi ebbero a fargli vedere un
campione) e poi successivamente finalmente venduto tanto da esserne rimasto
soltanto un chilogrammo.

relativo alla detenzione di armi, la conversazione, oggetto di intercettazione
ambientale, del 25/04/2013 nel corso della quale Ierace ebbe a chiedere a
Ieranò di interessarsi per far sì che le armi sottrattegli gli fossero restituite
nonché le dichiarazioni rese da Ieranò, e collimanti con detto quadro, circa la
detenzione da parte dell’indagato, presso un’abitazione di Polistena, di due
pistole ed un fucile a canne sovrapposte oltre ad un mitra con munizionamento
di vario calibro.
A fronte di ciò il ricorrente non ha sostanzialmente opposto alcuna disamina
critica, essendosi limitato ad una generica negazione del significato invece
logicamente attribuito alle predette conversazioni da parte del Tribunale.

7.2. Infine, insindacabile si appalesa la motivazione dell’ordinanza con riguardo
alle esigenze cautelari : la pur constatata insufficienza dei gravi indizi di
colpevolezza con riguardo all’ipotesi associativa non fa perdere efficacia
argomentativa al passaggio dell’ordinanza impugnata con cui, con riferimento al
reato di cui al capo p), si sono valorizzate la disponibilità da parte dell’indagato
di armi e, con riferimento al più generale contesto, la gravità delle condotte
illecite realizzate in modo da rendere logicamente recessivo il profilo
dell’incensuratezza reclamato, quale unico elemento di contraddizione rispetto
all’esigenza del pericolo di reiterazione, dall’indagato.
8. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata limitatamente al reato di cui
all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 dovendo nel resto il ricorso essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 74 del d.P.R.
n. 309 del 1990 con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria; rigetta nel resto.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2014

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L’ordinanza impugnata ha infine valorizzato correttamente, quanto al capo p,

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