Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10826 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 10826 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto
dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Massa
contro
Ricatti Michele, nato il 28 gennaio 1961
avverso l’ordinanza del Tribunale di Massa del 5 giugno 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per la rimessione del procedimento alle sezioni
unite e, in subordine, per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Data Udienza: 27/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 5 giugno 2013, il Tribunale di Massa ha «in accoglimento
del riesame proposto», disposto «il dissequestro dei beni […], con conseguente
restituzione», sostanzialmente annullando il decreto di sequestro preventivo per
equivalente emesso dal Gip dello stesso Tribunale il 30 gennaio 2013, in relazione al
reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto all’indagato quale legale
rappresentante di una s.r.I., ed avente ad oggetto la somma di euro 380.133,00, per

mantenimento del sequestro non sussistono, perché dagli atti risulta che l’indagato è
stato ammesso alla rateizzazione della cartella esattoriale comprensiva delle somme
dovute a titolo di Iva e che l’indagato sta corrispondendo con regolarità le predette
rate. Per le stesse ragioni, il Tribunale ritiene sussistente anche il presupposto del

periculum in mora.
2. – Avverso l’ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Massa ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con unico motivo di doglianza,
la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen., sul rilievo che il periculum in mora non
sarebbe previsto dalla legge quale presupposto per il sequestro preventivo finalizzato
alla confisca. Si sostiene, inoltre, che il pagamento parziale del debito tributario è
privo di rilevanza, perché le ragioni del sequestro possono venire meno solo con il
completamento del pagamento rateale e, sino ad allora, il sequestro rimane legittimo,
ferma restando la possibilità di ottenere riduzioni in ragione degli importi versati.
3. – Il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato memoria, con la
quale pone il problema della natura giuridica della confisca per equivalente e chiede
che venga rimessa alle sezioni unite di questa Corte la questione se detta confisca
permanga anche in caso di adempimento parziale o totale dell’obbligazione tributaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. – Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
4.1. – Non può attribuirsi rilievo, in sede di riesame del provvedimento di
sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, all’accordo per la rateizzazione e ai
conseguenti pagamenti parziali effettuati dall’indagato.
4.1.1. – Va condiviso, in linea di principio, quanto evidenziato dal Procuratore
generale nella memoria depositata di fronte a questa Corte circa il fatto che la
funzione sanzionatoria della confisca per equivalente viene meno con il versamento
dell’imposta evasa. Il versamento realizza, infatti, l’eliminazione dell’ingiustificato
arricchimento derivante dalla commissione del reato ed impedisce, perciò, che,

Iva non pagata. In particolare, il Tribunale afferma che i presupposti per il

attraverso l’impiego di beni di provenienza delittuosa o del loro equivalente, il
colpevole possa assicurarsi il vantaggio economico oggetto specifico del disegno
criminoso come precisato da questa Corte, con le sentenze sez. 3, 1° dicembre 2010,
n. 10120/2011, rv. 249752, e sez. 3, 12 luglio 2012, n. 46726. In particolare, nella
prima di tali due pronunce, si è adottata un’interpretazione costituzionalmente
conforme delle richiamate disposizioni, affermando che è manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale degli artt. 322 ter cod. pen. ed 1, comma 143,

equivalente anche per i reati tributari previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74,
contrasterebbero, nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l’Amministrazione
finanziaria, con gli artt. 23 e 25 Cost., in quanto la restituzione all’Erario del profitto
del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confisca, escludendo la
temuta duplicazione sanzionatoria.
In altri termini, se il reo provvede al pagamento dell’imposta evasa, considerato
che l’ammontare suscettibile di confisca corrisponde al quantum dell’imposta stessa,
viene meno l’indebito vantaggio da aggredire con il provvedimento ablatorio, perché
viene meno la necessità di evitare che il conseguimento dell’indebito profitto del reato
si consolidi. Ne consegue che la natura prevalentemente sanzionatoria della confisca
per equivalente non può portare ad un indiscriminato automatismo nella sua
applicazione, perché, diversamente opinando, vi sarebbe un’indebita duplicazione in
malam partem:

l’indagato, oltre ad aver adempiuto il suo debito verso

l’amministrazione finanziaria, si vedrebbe privato, all’esito dell’accertamento della
responsabilità penale, anche di beni equivalenti per valore al profitto iniziale del reato,
ormai venuto meno proprio a seguito del versamento dell’imposta evasa.
L’adempimento del debito verso l’amministratore finanziaria fa, dunque, venire meno
lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca.

della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per la parte in cui, nel prevedere la confisca per

4.1.2. – Tali principi non trovano, però, applicazione nel caso di specie,
concernente il giudizio di riesame conseguente all’applicazione del sequestro
preventivo per equivalente.
Oggetto del presente giudizio è, infatti, la situazione che si presentava al
momento dell’emanazione del provvedimento cautelare impugnato, da valutarsi anche
alla luce degli eventuali elementi di prova successivamente forniti dall’indagato, ma
non le eventuali mutazioni della stessa realizzate attraverso pagamenti parziali del
debito tributario. Tale pagamenti possono, al più, essere posti a fondamento di una
richiesta di revoca parziale ai sensi dell’art. 321, comma 3, cod. proc. pen., potendo

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configurarsi come quei fatti sopravvenuti idonei a far mancare le condizioni di
applicabilità del sequestro, sotto il profilo della non corrispondenza fra la somma
sequestrata e il profitto effettivamente conseguito.
In sede di riesame, invece, può essere data rilevanza alle sole condizioni di
applicabilità originarie della misura, con la conseguenza che la corrispondenza fra il
quantum sequestrato e il profitto deve essere valutata con riferimento al profitto

dell’imposta evasa.
4.2. – Il Tribunale muove, in secondo luogo, dall’erroneo assunto secondo cui,
al fine di procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente,
sarebbe necessario accertare in concreto la sussistenza del periculum in mora e che
tale periculum verrebbe meno a seguito di pagamenti parziali del debito tributario
effettuati dall’indagato.
Va precisato, sul punto, che la confisca per equivalente prevista dall’art. 322 ter
cod. pen., cui fa rinvio l’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 24 dicembre 2007
in tema di reati tributari, ha carattere obbligatorio, con la conseguenza, che trova per
essa applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui la revoca del sequestro preventivo in relazione a fattispecie di reato per le quali è
prevista la confisca obbligatoria è possibile soltanto nell’ipotesi nella quale vengano a
mancare gli elementi costituenti il fumus commissi delicti e non per il venire meno
delle esigenze cautelari, atteso che in tali ipotesi la pericolosità della

res non è

suscettibile di valutazioni discrezionali, ma è presunta dalla legge (sez. 3, 6 aprile
2005, n. 17439, rv. 231516). Più in particolare, per il sequestro preventivo dei beni di
cui è obbligatoria la confisca, eventualmente anche per equivalente, e quindi, dei beni
che costituiscono prezzo o profitto del reato, non occorre la prova della sussistenza
degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, né il periculum richiesto per il sequestro

inizialmente conseguito dall’indagato e, di regola, corrispondente all’entità

preventivo di cui all’art. 321, comma primo, cod. proc. pen., essendo sufficiente
accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto
in una determinata ipotesi di reato (argomento ex sez. 2, 16 febbraio 2006, n. 9829,
rv. 233373).
Ad analogo principio si ispira, del resto, la giurisprudenza in tema di sequestro
preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria ex art. 12-sexies del d.l. n. 306 del
1992, la quale evidenzia che, trattandosi di una misura cautelare obbligatoria in
ragione della diretta strumentalità con una confisca obbligatoria, di cui deve

A

assicurare l’effettività, per detto sequestro non è necessario verificare la sussistenza

del presupposto del periculum in mora, essendo la stessa postulata dal legislatore
(sez. 2, 8 novembre 2007, n. 45210, rv. 238901; sez. 1, 1° aprile 2010, n. 19516, rv.
247205).
Quanto al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente in tema di reati
tributari, dunque, il legislatore ha semplicemente inteso far coincidere il peri culum in
mora con il presupposto per la confisca; con la conseguenza che non sono richieste al
giudice valutazioni in concreto circa la sussistenza di tale presupposto.

in presenza di meri pagamenti parziali di ammontare non meglio precisato, ha
annullato integralmente il sequestro preventivo per equivalente, disponendo la
restituzione dei beni sequestrati all’indagato, così effettuando una valutazione
preclusa al giudice del riesame.
L’ordinanza impugnata deve essere, dunque, annullata senza rinvio, con
conseguente integrale reviviscenza del sequestro preventivo disposto dal Gip.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

4.3. – Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione di questi principi, perché,

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