Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10813 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 10813 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SERVIDA MAURIZIO N. IL 10/07/1947
avverso la sentenza n. 21/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. fbn…P
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che ha concluso per :t52sta O ,

Data Udienza: 06/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1.

La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell’ odierno ri-

corrente SERVIDA MAURIZIO, con sentenza del 20.3.2013 depositata il
2/4/2013, riformava parzialmente la sentenza emessa dal Tribunale di Milano
1’11.6.2012, concedendogli il beneficio della non menzione.
Il Giudice di primo grado aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato
previsto dall’art. 10ter D.L.vo 74/2000, perché nella qualità di legale rappresentante della società Decalcomania srl ometteva il versamento dell’acconto iva per

27/12/2007, termine previsto per il pagamento, condannandolo alla pena di mesi

4 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, con l’applicazione delle pene accessorie e la sospensione condizionale della pena.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con
l’ausilio del proprio difensore, l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. erronea applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 10 ter D.
L.vo 74/2000 – contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame.
Deduce il ricorrente la carenza dell’elemento soggettivo del reato.
La Corte avrebbe, erroneamente, ritenuto esistente la volontà di non versare le imposte. Il mancato versamento, invece, sarebbe dipeso dalla mancanza di
mezzi finanziari. L’imputato si sarebbe trovato nell’oggettiva impossibilità di
adempiere. Tale circostanza risulterebbe ampiamente provata nell’istruttoria dibattimentale. L’impossibilità di adempiere impedirebbe di ritenere integrato il
reato previsto dall’art. 10 ter D.L.vo 74/2000.
b. erronea applicazione delle norme di cui all’art. 53 L. 689/81 e all’art. 133
cod. pen. – contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione risultante

l’ammontare di euro 110.909,00 per il periodo d’imposta 2006, in Milano

dal testo del provvedimento impugnato.
La Corte avrebbe ritenuto sussistenti le condizioni di meritevolezza per la
concessione del beneficio della non menzione di cui all’art. 175 cod. proc. pen.,
mentre avrebbe ritenuto di non operare la richiesta di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria in considerazione della “entità delle somme evase”.
L’imputato sostiene che i criteri cui il Giudice debba fare riferimento ai fini
della concessione di entrambi i benefici siano gli stessi, previsti dall’art. 133 cod.
proc. pen.
Pertanto la mancata concessione della sostituzione della pena detentiva sarebbe contraddittoria rispetto alla concessione del beneficio della non menzione.

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Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con tutte le conseguenze di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato.
2. A norma dell’art. lOter del D.Lgs. n. 74 del 2000, inserito con l’art. 35
2006, la sanzione prevista dall’art. 10bis per il delitto di omesso versamento di
ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.
Con l’intervento legislativo del luglio 2006 è stata, dunque, introdotta una
nuova fattispecie criminosa, diretta a sanzionare l’omesso versamento dell’IVA in
base alle risultanze della dichiarazione annuale, cui è stata estesa la sanzione
penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente art. 10bis, in forza del quale è punito “con la reclusione da sei mesi a
due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ritenute risultanti dalla certificazione
rilasciata ai sostituiti,per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d’imposta”.
Il comportamento del soggetto che non versa l’IVA dichiarata a debito in
sede di dichiarazione annuale è stato quindi dal legislatore assimilato, sotto il
profilo sanzionatorio, ma come vedremo non solo, a quello del sostituto che non
versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.
Il momento consumativo del reato è individuato alla scadenza del termine
previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.
Tale termine è fissato dalla L. n. 405 del 1990, art. 6, comma 2, al 27 dicembre.

co. 7 del D.L. 4 luglio del 2006, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto del

Conseguentemente per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi
ritardo nel versamento rispetto alla scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento. Nella
fattispecie al 27 dicembre del 2006.
La giurisprudenza di questa Corte ha anche risolto in senso positivo, tenuto conto che la disposizione de quo è entrata in vigore il 4 luglio del 2006 e che il
delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per I’VA relativa
alla dichiarazione dell’anno precedente, il dubbio se la nuova disposizione sanzionatoria trovasse applicazione per i reati riguardanti VIVA relativa all’anno
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2005 e in senso negativo quello per l’applicabilità dell’indulto, di cui alla L. n. 241
del 2006, che copre i reati commessi fino al 2 maggio del 2006 (sez. 3 , n.
38619 del 14.10.2010, RG. in Proc. Mazzieri, rv. 248626).
Il reato di omesso versamento dell’IVA ex art.10ter, D.Lgs. 74/2000 si
consuma, infatti, nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per
il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo
sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste.
E’ necessario, quindi, che l’omissione del versamento dell’IVA dovuta in

periodo di imposta di riferimento, giusto quanto disposto dall’art. 6, comma secondo, della legge 29 dicembre 1990, n. 405.
Condivisibilmente è stato precisato che in tema di omesso versamento
IVA, il reato omissivo a carattere istantaneo previsto dall’art. 10ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute
sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di “IVA per cassa”, è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate (Sez. Unite, n. 37424
del 28.3.2013, Romano, rv. 255758; sez. 3, n. 19099 del 6.3.2013, Di Vora, rv.
255327).

3. Se quello appena delineato è il quadro normativo e giurisprudenziale di
riferimento, va detto che il primo motivo di ricorso appare infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente precisato, all’esito di
un’approfondita disamina della normativa tributaria in materia, proprio in tema
di elemento soggettivo, che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico
(Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758)
Mentre, invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal d.lgs. 10
marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo
scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà il-

base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al

lecita non emerge in alcun modo dal testo dell’art. 10ter d.lgs. n. 74 del 2000.
Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di
non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore.
La prova del dolo – hanno condivisibilmente affermato le SS.UU. nella
sentenza 37424/13- è insita in genere nella presentazione della dichiarazione
annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve,
quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di Euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto.
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Nel caso in esame siamo pacificamente al di sopra di tale soglia essendo
stato omesso un versamento di euro 110.909.
Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali
operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e
deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili
in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
In tal senso appare evidente la similitudine con quanto accade per il sosti-

stenziali sulle retribuzioni dei propri dipendenti. Ed evidentemente non è estranea a tale valutazione la scelta del legislatore del 2006 di equiparare le sanzioni.
L’introduzione della norma penale di cui all’art. 10ter Dlgs 74/2000, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende
evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale.

4. Le Sezioni Unite scrivono, anche, nella citata sentenza 37424/13: “Non

può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del
soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del 2006) di non far debitamente fronte
alla esigenza predetta (per l’esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in sé considerate v., in riferimento alla parallela norma dell’art.
10-bis, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale)”.
Le SS.UU. dunque, richiamano la giurisprudenza di questa Sezione secondo che ha già più volte stabilito, in materia di omesso versamento di ritenute
previdenziali che il reato è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far
fronte a debiti ritenuti più urgenti (Sez. 3, n. 13100 del 19.1.2011, Biglia, Rv.

tuto d’imposta rispetto alle trattenute operate per oneri previdenziali ed assi-

249917; conf. Sez. 3, n. 29616 del 14.6.2011, Vescovi, rv. 250529).

5. Va chiarito che il Collegio ritiene che tale assunto non sia incompatibile
con la più recente precisazione fornita da questa Corte secondo cui non è escluso
che, in astratto, siano possibili casi – il cui apprezzamento è devoluto al giudice
del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente
motivato – nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di
adempiere l’obbligazione tributaria (così sez. 3, n. 5467 del 5.12.2013 dep. il
4.2.2014, Mercutello).

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E’ tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti
gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità,
dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il
versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma
anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il
ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto
(non ultimo, il ricorso al credito bancario).
In altri termini, il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimen-

sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale,
atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per
cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili (così la già citata e
condivisibile sentenza 5467/14 di questa Sezione).
Nel caso in esame tali allegazioni, valutato anche quanto scrive il giudice
di prime cure, non ci sono state.
Al contrario, l’affermazione operata dal ricorrente di avere preferito pagare dipendenti e fornitori, appare frutto di una scelta imprenditoriale, sulla cui
condivisibilità non spetta a questa Corte giudicare, ma certo non prova
l’illiquidità e la crisi, nei termini di cui si diceva in precedenza, atte a consentire
che non si sia realizzata la fattispecie penale che incrimina l’omissione del versamento all’Erario.
La motivazione della Corte territoriale, dunque, non pare condivisibile – e
pertanto in tal senso va corretta- laddove sembra affermare che neanche in
astratto potrebbe realizzarsi ed essere provata dal ricorrente un’impossibilità ad
adempiere dovuta al dissesto economico aziendale e personale. Ma, in concreto,
tale impossibilità non è stata provata.

6. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, circa la lamentata con-

traddittorietà tra il riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziario ex art. 175 cod. pen. e il diniego della sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria.
Vi sarebbe una contraddizione, ad avviso del ricorrente, in quanto il riferimento comune sarebbe alla medesima norma di cui all’art. 133 cod. pen.
In realtà, legittimamente, la Corte territoriale perviene a diverse conclusioni, motivando, quanto alla mancata conversione della pena pecuniaria (e anche alla mancata riduzione della pena) con riferimento alla entità delle somme
evase.
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te, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, dovrà dare prova che non gli

E’ vero che ai fini della sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria il giudice ricorre ai medesimi criteri previsti ex artt. 133 cod. pen..; tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata
motivando solo su alcuni aspetti, magari diversi da quelli valutati per la non
menzione, ritenuti decisivi in proposito, quale, nel caso in esame, l’entità della
somma evasa (vedasi sez. 5, n. 10941 del 26.1.2011, Orabona, rv. 249717).

pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 6 febbraio 2014
Il Co

liere este

re

Il Presidente

7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al

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