Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10795 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 10795 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

Data Udienza: 28/11/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto
da
Lupo Elisabetta, nata il 2 marzo 1961
avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza del 13 luglio 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale, Aldo
Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Domenico Battista di Roma sostituto processuale.

i

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 13 luglio 2012, la Corte d’appello di Potenza ha
confermato la sentenza del Tribunale di Matera del 7 giugno 2011, con la quale
l’imputata era stata condannata, per il reato di cui all’art. 483 cod. pen., in relazione
all’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, perché, al fine di conseguire una sanatoria
edilizia, presentava al Comune la relativa istanza dichiarando di aver ultimato le opere
abusive alla data del 1° marzo 2003 e allegando una dichiarazione sostitutiva di atto

stessa imputata aveva presentato per le stesse opere domanda di permesso di
costruire, dalla quale emergeva che al luglio 2004 le opere in questione non erano
ancora state realizzate.
2. – Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo, in primo luogo, la violazione della disposizione incriminatrice e
la manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che le opere erano state realizzate
prima del 10 marzo 2003 e che il fatto che la stessa imputata avesse presentato
anche istanze di permesso di costruire per la realizzazione di tali opere, allegando
fotografia, dalle quali emergeva che, fino al luglio 2004, le stesse non erano state
ancora realizzate, è da considerarsi non rilevante. La pratica di condono edilizio
sarebbe priva di una relazione tecnica, essendo costituita da una documentazione
fotografica e da elaborati grafici che rappresentano e descrivono le caratteristiche
dell’immobile, indicando opere da condonare consistenti in infissi metallici a tutta
larghezza.
Con un secondo motivo di doglianza, si rilevano la violazione dell’art. 133 cod.
pen. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla determinazione
della pena, perché non si sarebbe considerato che uno dei figli della ricorrente si trova
in grandi in gravi condizioni fisiche, che avevano reso necessari gli ampliamenti

di notorietà in tal senso, mentre dagli atti esistenti presso il Comune risultava che la

dell’immobile, e non si sarebbe considerato che questi ultimi erano, comunque, di
modesta entità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità.
Si propone, infatti, una ricostruzione alternativa dei fatti, senza prendere
minimamente in considerazione la completa e corretta motivazione della sentenza
impugnata, la quale – ponendosi in totale continuità con quella di primo grado evidenzia che nel 2004 l’imputata aveva chiesto il permesso per la realizzazione di

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opere che successivamente, con domanda corredata da dichiarazione sostitutiva di
atto notorio, aveva affermato essere già state realizzate alla data del 10 marzo 2003.
La stessa Corte evidenzia, inoltre, che nessun rilievo può essere attribuito alla tesi
difensiva secondo cui le fotografie allegate all’istanza di condono erano state scattate
dopo aver smontato gli infissi di cui si chiedeva e si affermava l’esistenza al 1° marzo
2003, perché ciò che conta nel caso in esame è proprio l’identità tra l’oggetto della
richiesta di condono e l’oggetto della richiesta di permesso di costruire ex novo.

circa la determinazione della pena. La Corte d’appello richiama, infatti, per relationem
la motivazione contenuta nella sentenza di primo grado, nella quale vi è un’adeguata
disamina delle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen. E non può essere dato rilievo, in
questa sede, alle asserzioni difensive circa la necessità dì realizzare le nuove opere
per ovviare alle gravi condizioni fisiche di uno dei figli della ricorrente, trattandosi, con
tutta evidenza, di mere generiche asserzioni.
4. – Né può essere dichiarata la prescrizione del reato, commesso il 10
dicembre 2004 (in presenza di cause di sospensione per complessivi giorni 193). A
fronte di un ricorso inammissibile, quale quello in esame, trova infatti applicazione il
principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui
la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129
cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall’inammissibilità del ricorso
per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi,
che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3,
8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005,
n. 4).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013.

Del pari inammissibile è il secondo motivo di doglianza, relativo alla motivazione

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