Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1077 del 25/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1077 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DUBOLINO PIETRO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI MATTEO ALBINO N. IL 08/07/1959
avverso la sentenza n. 3900/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 21/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIETRO DUBOLINO;

Data Udienza: 25/11/2013

CONSIDERATO IN DIRITTO:
– che il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto:
a) con riguardo al primo motivo, lo stesso appare caratterizzato da evidente
genericità ed assertività, non essendo in alcun modo riportato lo specifico contenuto
delle richiamate deposizioni testimoniali che si assumono dimostrative della pretesa
estraneità del ricorrente all’amministrazione dell’impresa fallita né potendosi dire,
d’altra parte, che , quand’anche la Costantini si fosse specificamente dedicata,
secondo la testuale affermazione contenuta nell’atto di gravame, alla “organizzazione
del lavoro”, ciò precludesse la possibilità di ritenere sussistente, in capo al Di Matteo,
il ruolo di amministratore o, almeno, coamministratore di fatto, posto che l’attività di
gestione di un’impresa non si esaurisce, di norma, nella sola “organizzazione del
lavoro” dei dipendenti; ruolo, quello anzidetto, che, per converso, la corte territoriale,
con motivazione del tutto immune da profili di censurabilità in questa sede, ha
ritenuto pienamente comprovato, facendo riferimento a quanto si afferma
“concordemente riferito dalle dipendenti della società”, le quali avrebbero anche
ricevuto “le confidenze della Costantini circa l’effettiva titolarità della posizione di
amministratore da parte del predetto (Di Matteo — N.d.R.), il quale appariva, quindi,
“il vero dominus di tutta la vicenda, interessandosi dell’attività, essendo sempre
presente negli uffici, gestendo i rapporti con altra società albanese a lui facente
capo”;
b) con riguardo al secondo motivo, anch’esso appare caratterizzato (se possibile,
ancora più del primo) da genericità e assertività, atteso che, per un verso, la ritenuta
qualità di amministratore di fatto del ricorrente non risulta certo basata, in modo
determinante, sulla sola esistenza di rapporti commerciali tra l’impresa che a lui

Li

RILEVATO IN FATTO:
– che con l’impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado, DI MATTEO
Albino fu ritenuto responsabile di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione
al fallimento della Dapper s.p.a. della quale, secondo l’accusa, era stato
amministratore di fatto;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa
dell’imputato, denunciando:
1) erronea applicazione della legge penale sull’assunto che sarebbe stata da
escludere, in capo al Di Matteo, la veste attribuitagli dall’accusa di amministratore di
fatto, o “occulto”, dell’impresa fallita, avuto riguardo alle dichiarazioni rese dai testi
Iacone Lucia, Marroccu Anna Maria, Almonte Bettina, Lombi Cinzia, Lelii Cinzia,
secondo le quali costoro non avrebbero avuto alcun contatto con il Di Matteo,
essendo l’attività di organizzazione del lavoro svolta soltanto da Costantini Elena,
nella sua veste di amministratrice legale ed effettiva della summenzionata impresa;
2) vizio di motivazione con travisamento della prova, sull’assunto che nessun rilievo
avrebbe potuto assumere, ai fini del giudizio di penale responsabilità dell’imputato, il
fatto che costui, essendo amministratore di altra società, denominata “Ital Tre Di”,
avesse in tale veste “interloquito” talvolta con la Costantini, nell’ambito dei rapporti
commerciali esistenti tra le due imprese;

P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento nonché al versamento della somma di euro mille alla cassa
delle ammende.
il 25 novembre 2013
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Il Presidente

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1 3 GEN 2014
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faceva formalmente capo e quella di cui era legale amministratrice la Costantini; per
altro verso, non si fornisce, nell’atto di gravame, alcuna indicazione circa quelle che
sarebbero state, nello specifico, le “interlocuzioni” tra il ricorrente e la Costantini
che, male interpretate dai giudici di merito, avrebbero invece trovato la loro più
naturale e logica giustificazione sull’esistenza dei suddetti rapporti societari;
– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo
di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo
stimasi equo fissare in euro mille;

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