Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 107 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 107 Anno 2014
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MORFO’ Lucia, n. Rossano (Cs) 5.3.1979
avverso l’ordinanza n. 727/13 Tribunale di Catanzaro, Sez. per il Riesame del 09/07/2013
esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G. dott. L. Riello che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito il difensore della ricorrente, avv. Giovanni Zagarese che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro, sezione per il Riesame, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza del 19/06/2013 con cui il GIP del locale
Tribunale aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere (successivamente sostituita dagli arresti domiciliari) nei confronti di Morfò Lucia, con l’imputazione provvisoria del
reato di cui all’art. 12 quinquies d.l. n. 306 dell’8 giugno 1992 convertito nella legge n. 356 del
7 agosto 1992, aggravato ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152 del 13 maggio 1991 convertito nella legge n. 203 del 12 luglio 1991 in relazione all’attribuzione fittizia alla medesima Modò della
titolarità di alcune imprese, di fatto gestite dal padre Salvatore esponente di rilievo del sodalizio di stampo mafioso denominato Acri – Morrò.
Premetteva il Tribunale che l’esistenza della consorteria criminale in questione, dominante nel
territorio della città di Rossano Calabro fin dal 2002, era stata affermata da diverse sentenze,
alcune delle quali passate in giudicato mentre altre risultavano non ancora irrevocabili e risultava, altresì, confermata dalle concordanti dichiarazioni rese da almeno otto collaboratori di
giustizia nominativamente indicati (alcuni già organici al sodalizio in questione, altri appartenenti a consorterie criminali della medesima natura) la cui attendibilità e credibilità non poteva
essere revocata in dubbio, sia per l’intrinseca coerenza delle propalazioni sia per l’acclarata
assenza di vizi genetici nella collaborazione fornita agli inquirenti (indipendenza delle fonti, as-

Data Udienza: 12/12/2013

senza di pregressi motivi di rancore con i chiamati in correità, inesistenza di una preventiva
concertazione, assenza di una comune origine dalle medesime fonti informative).

Proseguiva il Tribunale che, già affermata dalla giurisprudenza la possibilità di ravvisare il concorso di cui all’art. 110 cod. pen. nel reato provvisoriamente contestato, il tenore delle citate
intercettazioni telefoniche deponeva per la sussistenza in capo alla ricorrente della piena consapevolezza dell’intestazione fittizia, emergendo anzi la sua volontà di volersene disimpegnare, in ragione tanto di contrasti insorti all’interno del gruppo familiare allargato quanto per
l’incrinarsi del rapporto con il coniuge, anch’egli coinvolto nelle attività economiche di famiglia.
Respingendo le doglianze difensive circa il carattere preclusivo di alcune decisioni giudiziali riguardanti sia la ricorrente che il padre Morfò Salvatore, concludeva, infine, il Tribunale per la
sussistenza di concrete esigenze cautelari e per l’adeguatezza della misura adottata dal GIP,
ancorché successivamente superata dalla concessione degli arresti domiciliari.
2. Avverso detta ordinanza ha presentato ricorso Lucia Morfò, con atto sottoscritto dal suo difensore, con cui deduce violazione di legge ai sensi dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. in
relazione all’art. 273 cod. proc. pen. ed inoltre assenza, incoerenza, incompletezza ed irragionevolezza della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., nonché travisamento
del fatto ed omessa valutazione delle risultanze probatorie.
Denunziando in generale il mancato esercizio da parte dei giudici del riesame del compito di
controllo della legittimità dell’ordinanza cautelare, con il primo motivo la ricorrente censura la
mancata considerazione del carattere preclusivo all’adozione della misura cautelare di diverse
pronunzie passate in giudicato (Tribunale di Rossano n. 369/06 del 10/05/2006, n. 354/2008
del 15/04/2008 e Tribunale di Cosenza, Sez. Misure di Prevenzione n. 1/03 del 15/01/2003)
che ne avevano riconosciuto l’autonomia economica ed imprenditoriale, ritenendo di conseguenza insuscettibili di sequestro e confisca i beni in sua titolarità, essendone stata esclusa la
riconducibilità al padre Morfò Salvatore.
Con il secondo motivo, si censura in primo luogo l’assenza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni rese dai collaboratori dì giustizia concernenti la posizione della ricorrente; in secondo luogo il carattere inconferente e non significativo delle risultanze delle intercettazioni telefoniche, il cui contenuto risulterebbe estrapolato rispetto ad un contesto familiare stretto intorno
alla figura del genitore paterno; in terzo luogo, l’assenza di qualsivoglia apporto critico – valutativo da parte dei giudici del riesame rispetto alle argomentazioni svolte dal GIP, tale da integrare il vizio di totale carenza di motivazione, nei termini definiti da copiosa giurisprudenza di
legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta infondato e come tale deve essere rigettato.
Con la decisione impugnata, il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha confermato la misura
cautelare in carcere, sostituita in corso di procedimento dagli arresti domiciliari, adottata nei
confronti della ricorrente in relazione all’ipotesi accusatoria di concorso con il padre Salvatore
nel reato di trasferimento fraudolento di vari cespiti economici (art. 12 quinquies legge n. 356
del 7 agosto 1992), aggravato ai sensi dell’art. 7 di. n. 152 del 13 maggio 1991 in riferimento
alla posizione apicale rivestita da quest’ultimo nell’ambito della ‘ndrina Acri – Morfò, dominante
nella città di Rossano Calabro a partire dall’anno 2002.

Più in particolare, precisava il Tribunale che le risultanze delle intercettazioni telefoniche acquisite nell’ambito del procedimento – le più significative venendo riportate per esteso nel corpo
dell’ordinanza – ed il carattere esplicito del loro tenore, come tale di immediato apprezzamento
cognitivo, delineavano un solido compendio di gravità indiziaria a carico della ricorrente, in relazione alla contestazione provvisoria di concorso nell’attribuzione fittizia di alcune imprese, in
realtà riconducibili e di fatto gestite dal padre Salvatore, ma formalmente intestate alla congiunta per ragioni di tutela contro l’eventualità di provvedimenti ablatori giudiziali in materia di
prevenzione.

Allude la ricorrente alla sentenza n. 369/06 del 10/05/2006 con cui il Tribunale di Rossano la
aveva assolta per difetto dell’elemento psicologico dai reati di cui agli artt. 1161 cod. nav. e
633, 639 bis cod. pen. in relazione alla contestata occupazione di suolo demaniale in qualità di
rappresentante legale e gerente lo stabilimento balneare `La Balera’ con annessa struttura adibita a bar e ristorante; ricorda, inoltre, la sentenza n. 354/08 del 15/04/2008 con cui sempre il
Tribunale di Rossano aveva assolto il padre Salvatore dall’analoga accusa di intestazione fittizia
di beni in proprio favore in relazione al medesimo stabilimento balneare ed alle quote sociali
della Europub 2000 srl e del bar a detta società intestato; richiama, infine, la sentenza Tribunale di Cosenza, Sez. Misure di Prevenzione n. 1/03 del 15/01/2003 con cui era stata respinta
la proposta della locale Questura di disporre il sequestro di prevenzione a carico del genitore
ancora in relazione al citato stabilimento balneare, di cui era stata riconosciuta la piena disponibilità da parte di essa ricorrente.
Secondo la prospettazione difensiva, tali decisioni sarebbero preclusive finanche della possibilità di configurare l’ipotesi di reato per cui si procede, rappresentando le uniche statuizioni definitive intervenute sul tema dell’assetto dei rapporti economici intercorrenti con il padre.
La decisione impugnata fa poi menzione di altri provvedimenti giudiziari di carattere non definitivo (decreti di giudizio immediato, di convalida di sequestro), riguardanti talvolta il citato
stabilimento balneare, talaltra il panificio ‘Pane del Patire’, la cui gestione costituisce l’oggetto
delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche riportate nel corpo del provvedimento.
Rispetto a tale doglianza, i giudici del merito cautelare hanno opposto le argomentazioni che
una delle decisioni ricordate (Tribunale Cosenza n. 1/03) avrebbe fatto un mero riferimento incidentale alla struttura balneare denominata ‘La Balera’; che la sentenza del Tribunale di Rossano n. 354/08 riguarda un periodo temporale di molto antecedente (gennaio-luglio 2002) ai
fatti contestati nel presente procedimento; che quand’anche dovesse riconoscersi a detta pronunzia valore preclusivo con riferimento alla fittizia intestazione dello stabilimento balneare, la
prognosi di penale responsabilità dovrebbe essere confermata con riferimento agli altri cespiti
parimenti intestati all’indagata (impresa individuale ‘Panificio del Patire’ con sede in Rossano,
Contrada Sant’Irene avente ad oggetto la produzione e la distribuzione di prodotti da forno;
impresa individuale ‘Angolo della Sila’ con sede in Rossano, v. B. Telesio e impresa individuale
‘La Campagnola’ con sede in Rossano, v. Lazio, 73 aventi ad oggetto la rivendita di prodotti alimentari).
Osserva in proposito il collegio che gli argomenti spesi dal giudice cautelare appaiono immuni
da censure di carattere logico, l’ultimo in particolare iscrivendosi in una linea di piena conformità con l’interpretazione che dell’art. 12 quinquies legge n. 356 del 7 agosto 1992 dà la giurisprudenza di questa Corte.

3.1 Già sopra evidenziati i passaggi motivazionali su cui il Tribunale ha fondato la decisione di
confermare la decisione del GIP ed apprezzato il perdurante interesse della ricorrente ad ottenere una pronunzia che investe il punto della gravità indiziaria, occorre soffermarsi in particolare sulla censura mossa all’ipotesi d’accusa che la vuole prestanome del padre Salvatore,
smentita a suo dire da alcune decisioni giudiziali che hanno riguardato sia lei personalmente
che il genitore.

Come del resto la stessa lettera della previsione evidenzia, la legge intende infatti perseguire
l’intestazione fittizia a terzi della titolarità o disponibilità di denaro, beni ed altre utilità specificamente individuati per le finalità ivi indicate, configurando un reato istantaneo ad effetti permanenti (Cass. Sez. 1, n. 14373 del 28/02/2013, Perdichizzi, Rv. 255405) avente ad oggetto
precisamente quei cespiti e quei valori di cui in maniera fraudolenta si trasferisca la titolarità a
persone diverse da quelle che ne dispongono in maniera effettiva.
Non è, invece, necessario ai fini dell’integrazione degli estremi del reato il trasferimento dell’intero patrimonio di colui che procede all’attribuzione fittizia, in primo luogo perché la previsione
non lo contempla e poi perché diversamente, da un lato essa risulterebbe di difficilissima applicazione e dall’altro perché sconterebbe probabili problemi di tassatività, specie considerando
che il comma 2 dell’art. 12 quinquies è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 48 del 17 febbraio 1994.

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(

Deve, pertanto, affermarsi il ‘principio di diritto’ che la preclusione, determinata da pregresse
decisioni giudiziali che abbiano escluso alcuni cespiti economici dal fenomeno del trasferimento
fraudolento di valori tra determinati soggetti, riguarda esclusivamente tali beni, non costituendo infatti esse ostacolo alla possibilità di ravvisare, nel concorso delle altre condizioni di
legge, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato di cui all’art. 12 quinquies L. n.
356/92 in relazione ad altri cespiti ed altre utilità economiche specificamente individuati.

Con argomentazioni immuni da censure di carattere logico e pienamente ancorate alle risultanze indiziarie, i giudici del merito cautelare hanno infatti evidenziato il carattere significativo e di
piana interpretazione delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, in cui la ricorrente appare pienamente consapevole del ruolo di soggetto interposto esplicato nella gestione del panificio ‘Forno del Patire’ e del peso anche psicologico che ciò le comporta, tale infatti da indurla
a desiderarne l’abbandono, anche per timore delle gravi, possibili conseguenze di carattere
giudiziario (carcerazione) che possono derivarle a causa dei contrasti e dei dissapori insorti
all’interno del gruppo familiare.
Quanto poi alla pretesa assenza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia concernenti la posizione della ricorrente, vale rilevare che le dichiarazioni rese da
quelli nominativamente indicati nel provvedimento impugnato riguardano propriamente l’esistenza della consorteria criminale denominata cosca (o ‘ndrina) Acri – Morfò e non la partecipazione alla medesima dell’indagata: è dunque del tutto comprensibile che nessun collaboratore
abbia fatto il nome della ricorrente, per il semplice motivo che non era la specifica posizione di
costei a costituire l’oggetto delle relative dichiarazioni.
Del tutto coerente con la ricostruzione del contesto criminale in cui le vicende si collocano, costituente antefatto logico della contestazione provvisoria formulata a carico della ricorrente, è
infatti l’ipotesi accusatoria di concorso nell’intestazione fittizia dei beni, aggravata dall’intento
di favorire la cosca di cui il genitore rappresenta uno dei componenti di rilievo apicale (per l’applicabilità della circostanza aggravante prevista dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 anche al delitto
di trasferimento fraudolento di valori, v. Cass. sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, Biondo e altri,
Rv. 252282, dove è stato affermato che l’intestazione fittizia rafforza il sodalizio criminale determinando un accrescimento della sua posizione sul territorio attraverso il controllo di un’attività economica).
Dalle ora esposte premesse, discende che la sentenza censurata non presenta affatto quella
carenza o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua dei
principi affermati da questa Corte (v. ex plurimis Sez. U n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv.
226074), può indurre a ritenere sussistente il vizio denunciato, poiché pone in adeguata connessione logica una serie di elementi di fatto correttamente apprezzati nella loro obiettività; né
si tratta di una decisione manifestamente contraddittoria, essendo sorretta nei suoi punti essenziali da argomentazioni non viziate da errori nell’applicazione delle regole della logica (per
un puntuale riepilogo dei momenti di verifica della motivazione demandati al giudice di legittimità, v. Cass. sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516).
4. Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P. Q. M.
rigetta il rico

e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 12/12 2013

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

3.2 Con riferimento al secondo motivo di ricorso, osserva il collegio che non hanno pregio le
doglianze difensive in ordine all’assenza di apporti critici che i giudici del riesame avrebbero
omesso di svolgere.

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